Le regole per lavorare felici? Seguite il talento, non la passione. E non sacrificate la libertà per il successo

«Mio padre, a tavola, dopo il mio primo giorno di scuola non mi ha chiesto quel che avevo fatto, ma se amavo quel che stavo facendo. Quella domanda, apparentemente banale, è diventata la bussola della mia vita. Per venticinque anni l’ho usata per orientare la vita degli altri. Ora mi piacerebbe imparassero a usarla». Paolo Gallo ha cinquantatre anni ed è il responsabile delle risorse umane del World Economic Forum – quello di Davos, per intenderci – e prima ancora faceva lo stesso lavoro alla Banca Mondiale. Dire che è un’autorità in materia in tema di colloqui di lavoro e di selezione del personale è quasi limitativo. Ma non è per questo che ha scritto “La bussola del successo” – edito da Rizzoli, sottotitolo: le regole per essere vincenti restando liberi. A spingerlo, dice, sono state due domande che erano diventate ossessioni: « «Da una posizione come la mia vedi passare tanta gente, li assumi, gli dai una posizione in azienda, li segui come dei figli – spiega -. Il problema è che tanti, troppi falliscono. E allora ti chiedi perché. E, soprattutto, che cosa significhi, in fondo, avere successo in un’organizzazione, sul lavoro».

Partiamo dalla prima domanda, Gallo, perché falliscono? Non sarà mica colpa sua che li ha assunti?
Un po’ sì, in fondo. La cosa buffa dei processi di selezioni, soprattutto nelle grandi realtà americane, è che sono lunghi, sofisticati, analitici. Ma alla fine offrono i medesimi risultati di un processo di selezione superficiale, basato sull’istinto o sull’empatia…

 

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