Le nuove regole sulla co-datorialità nelle reti di impresa

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Bollettino ADAPT 7 marzo 2022, n. 9
 
Il D.M. 29 ottobre 2021 n. 205 ha introdotto, all’art.3 (secondo comma), l’obbligo dei «co-datori» di lavoro associati in una rete di imprese, di applicare la retribuzione imponibile «in base al contratto collettivo applicabile all’impresa di provenienza del lavoratore (o, in caso di nuova assunzione, dell’impresa alla quale imputare il lavoratore assunto sotto il profilo previdenziale e assicurativo)».
 
La retribuzione applicabile, dispone il decreto, è quella applicata dall’impresa presso la quale il lavoratore ha svolto nel mese prevalentemente la propria attività. Ai fini assicurativi e previdenziali la retribuzione va indicata nella dichiarazione contributiva mensile all’INPS, a cura dell’impresa obbligata alla denuncia.
 
Con propria comunicazione del 22 febbraio 2022 la Direzione Centrale Giuridica dell’INL ha precisato a sua volta che:

a) l’impresa referente per le comunicazioni telematiche relative alla codatorialità sarà l’unica responsabile per eventuali omissioni riferite a dette comunicazioni,potendo andare incontro, secondo quanto disposto dall’art. 4 del Decreto, alla sanzione di cui all’art. 19, comma 3 del D.Lgs. n. 276/2003, prevista in via ordinaria per le violazioni inerenti tutte le tipologie di comunicazioni telematiche al Centro per l’impiego;
 
b) il lavoratore, benché in codatorialità, in applicazione del disposto dell’art. 2103 c.c. del codice civile, deve essere adibito presso ciascun co-datore alle mansioni per le quali è stato assunto oppure a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento. Resta pertanto intangibile il regime regolatorio del cosiddetto ius variandi, salva la possibilità di riferire il mutamento degli assetti organizzativi abilitanti l’adibizione a mansioni inferiori di cui al comma 2 dell’art. 2103 c.c. proprio all’intervenuto contratto di rete, fermo restando il diritto del lavoratore alla conservazione della categoria di inquadramento e al trattamento retributivo in godimento;
 
c) alla determinazione della mansione è collegata anche la definizione del regime di tutela dei profili di salute e sicurezzadi cui al D.Lgs. n. 81/2008. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo ai sensi del comma 3 dell’art. 2103 del codice civile;
 
d) il CCNL di riferimento (sul quale si determina il livello di inquadramento, la retribuzione ed il trattamento previdenziale ed assistenziale) risulterà, quindi, secondo i principi generali in materia, quello che presenti i requisiti di maggiore rappresentatività comparativa nella categoria;
 
e) laddove la prestazione lavorativa sia stata resa nel mese in termini prevalenti in favore di una impresa che applichi un CCNL che, per la medesima mansione, preveda una retribuzione più elevata rispetto a quella prevista dal contratto applicabile dal datore di lavoro di riferimento, l’imponibile oggetto di denuncia mensile dovrà essere adeguato a tale maggiore importo.A tal fine, le registrazioni sul LUL riportano, ai sensi di quanto previsto dall’art. 3, comma 3, l’impiego orario del lavoratore presso ciascun datore di lavoro;
 
f) l’adempimento degli obblighi connessi al rapporto di lavoro potrà essere richiesto, per l’intero, a ciascuno dei co-datoriferma restando la valenza, nei soli rapporti interni, di accordi volti a limitare il piano delle responsabilità e della natura liberatoria dell’adempimento dell’uno nei confronti degli altri con ogni facoltà di regresso nel rispetto delle regole stabilite tra le parti (c.d. principio di solidarietà).
 
Le regole sopra richiamate trovano applicazione per tutti i rapporti in codatorialità costituiti nell’ambito dei contratti di rete stipulati ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, e comma 4-sexies, del D.L. n. 5/2009 in essere alla data di entrata in vigore del D.M. n. 205/2021 ossia alla data del 23 febbraio 2022 o instaurati successivamente.
 
Si osserva anzitutto  che se lo scopo del Legislatore era quello di «favorire il mantenimento dei livelli di occupazione delle imprese di filiere colpite da crisi economiche in seguito a situazioni di crisi o stati di emergenza dichiarati con provvedimento delle autorità competenti» (come si legge nel preambolo del decreto) il risultato più probabile, anche se non auspicato e non auspicabile, sarà quello di ridurre drasticamente il numero di nuove assunzioni nelle «reti-contratto»”, limitando le nuove assunzioni alle sole  «reti-soggetto», di gran lunga inferiori di numero ma che non scontano le problematiche connesse al distacco dei lavoratori nella rete. Ancora più probabile, sarà la riduzione dei rapporti di lavoro già esistenti nelle reti contratto.
 
Un primo appunto riguarda la retribuzione rapportata su base mensile, che non solo comporta complicati calcoli laddove siano diversi i contratti applicabili, ma espone l’impresa obbligata a possibili rischi nel caso che il contratto applicato nell’impresa in cui il lavoratore ha svolto l’attività non sia quello maggiormente rappresentativo. Per ovviare a questa (inutile) complicazione sarebbe stato meglio far riferimento alla retribuzione applicata dall’impresa co-datrice nella quale nel corso dell’anno il lavoratore presta la sua attività prevalente. Va infatti considerato che molto spesso il distacco non è a tempo pieno.
 
Un secondo aspetto riguarda l’obbligo di ciascuna delle imprese della rete di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento. Appare infatti inverosimile che il lavoratore possa svolgere in tutte le imprese retiste le identiche mansioni di assunzione, avendo ciascuna di esse una diversa esigenza e specificità. Ma ancor più illogico appare l’obbligo esteso a tutte le imprese di sopportare il maggior costo che deriva dall’incremento retributivo dovuto alle mansioni superiori acquisite dal lavoratore in una delle imprese, laddove dette nuove mansioni non siano ugualmente utilizzabili nelle altre imprese retiste. Né si ritiene che un accordo in sede protetta o una certificazione del contratto di lavoro in deroga sia sostenibile al di fuori delle ipotesi che lo stesso art.2103 prevede. Una soluzione, tuttavia, potrebbe essere quella della determinazione di una retribuzione media, concordata (in sede protetta) tra la rete ed il lavoratore, distinta dalle classificazioni e dalle tabelle retributive dei diversi contratti collettivi applicati. Accordo che potrebbe comprendere anche un percorso comune concordato (in tal caso tra le imprese) che assolva in una sola sessione l’obbligo formativo previsto dal comma 3 dell’art. 2103 c.c.  Ma anche questa soluzione sconterebbe il rischio di un contenzioso alla luce di quanto previsto all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338/1989 convertito dalla l. n. 389/1989, come peraltro ci ricorda la nota INL già sopra citata.
 
Un terzo aspetto, forse il più critico, è quello di non aver previsto un periodo transitorio, con sospensione dell’applicazione della nuova disciplina alle posizioni esistenti, in modo da consentire alle imprese retiste di adeguarsi al nuovo regime, anche attraverso un nuovo e diverso percorso,  meno accidentato di quello proposto dal Legislatore.  Avrebbe quantomeno evitato il rischio, che già si prospetta, di rinunciare a quelle posizioni esistenti che possono apparire più esposte a rischio di conflitto con la nuova normativa.
 
Un ultimo aspetto riguarda il principio della solidarietà nelle obbligazioni tra le imprese retiste. Che, al netto degli accordi interni (sempre comunque complicati da far valere in caso di conflitto) comporterà ulteriori problematiche ogni qual volta si porrà un problema di applicazione di un contratto collettivo diverso da quello di assunzione, o qualora si apra un contenzioso con il lavoratore che potrebbe direttamente coinvolgere un’impresa anche diversa da quella di assunzione – ma (a torto o ragione) ritenuta dal lavoratore economicamente più “forte” e affidabile e quindi più in grado di garantire il risultato –  per qualsivoglia violazione, omissione o diversa interpretazione di una norma di legge o contrattuale.  Sotto questo profilo, una ripartizione più netta degli oneri e delle responsabilità tra le imprese sarebbe stata forse auspicabile.
 
In conclusione, siamo alle solite. Si tenta di adattare un abito vecchio (regole scritte per regolamentare un rapporto di lavoro tra due soli soggetti) ad un fisico che col tempo ha cambiato forma e dimensione (un rapporto di lavoro condiviso tra più soggetti), che necessiterebbe di una regolamentazione ad hoc, distinta da quella delle altre figure contrattuali e adeguata al diverso profilo di lavoratore e di datore di lavoro. E, soprattutto, più coerente con la finalità del decreto.
 
Il preludio per un nuovo fallimento.
 
Antonio Tarzia

ADAPT Professional Fellow

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