Le ferie già programmate precludono l’esercizio del diritto di sciopero? Un focus sul settore bancario

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 2 maggio 2022, n. 17

 

Sciopero? Mala tempora currunt

 

In tempi difficili, diventa difficile persino parlare di sciopero. Sembra quasi ineluttabile limitarne gli effetti nei c.d. “servizi pubblici essenziali”, in un esercizio di responsabilità verso la collettività che, giustificabile nei presupposti di principio, appare talvolta apodittico nei suoi postulati pratici. Il problema, appunto pratico, si pone soprattutto quando si sciopera in settori strategici per l’economia e nevralgici per la società civile. Eppure si tratta di un diritto forte, di rango costituzionale.  Ha dunque ancora senso, oggi, sostenere il diritto di sciopero come principio capace non solo di informare di sé l’azione del legislatore ordinario, ma anche di indirizzare e condizionare i comportamenti interprivati? O non si tratta ormai di polveroso retaggio di una “scolastica” civil-costituzionalistica, insomma del tentativo di nostalgica difesa di ufficio di un assunto teorico? Si insegna ancora oggi, negli atenei italiani, che la Costituzione repubblicana (non crea dal nulla, non “costituisce”, ma) “riconosce” giuridicamente lo sciopero quale (preesistente) diritto di libertà della persona: il suo esercizio individuale, così nelle imprese come nella pubblica Amministrazione, non può dunque essere negato o compresso, né tantomeno sanzionato da parte dell’ordinamento.

 

Lo sciopero come diritto potestativo

 

Nei manuali di diritto si descrive tale diritto come potestativo: esso consente cioè al suo titolare (la lavoratrice, il lavoratore) il potere di modificare, con la propria adesione allo sciopero, la sfera giuridica di un altro soggetto (il datore di lavoro), che versa a tale riguardo in situazione di “soggezione” (cioè a dire: soggiace senza potervisi sottrarre alle conseguenze giuridiche, oltre che pratiche, di tale atto). Nella sfera giuslavoristica, il diritto di sciopero costituisce il principale, se non unico, caso di controbilanciamento del cosiddetto potere conformativo datoriale. Il datore di lavoro dispone tradizionalmente del potere di specificare l’attività lavorativa, di determinare le concrete modalità di esecuzione della prestazione di lavoro, e chi lavora soggiace a tale potere, dovendovisi appunto “conformare”.  

 

Con qualche ardimento, potremmo sostenere, analogamente, che il diritto di sciopero si configura anch’esso come una speculare, singolarissima forma di potere conformativo del lavoratore, che si esprime negli effetti della sospensione dell’obbligo della prestazione lavorativa (e nella correlata e corrispettiva sospensione dell’obbligo retributivo datoriale). In una parola, lo sciopero determina “ipso facto” una forma di sospensione del rapporto di lavoro, unilateralmente esercitata e realizzata dal lavoratore, valida e produttiva di effetti “ex se”, indipendentemente, cioè, da una specifica e ulteriore manifestazione di volontà datoriale. La volontà dell’atto (“id est” l’adesione allo sciopero) è anche volontà dei suoi effetti (cioè la sospensione del rapporto di lavoro).
 

Secondo l’articolo 40 della Costituzione repubblicana, “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.  Nel settore bancario, riconosciuto come “servizio pubblico essenziale”, tale ambito di disciplina è costituito dalla legge 146/1990 (come modificata dalla successiva legge n. 83/2000), che non si limita a regolarne l’esercizio, ma introduce pure norme sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati e istituisce altresì la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge.

Incompatibilità della normativa di promanazione unilaterale datoriale col diritto di sciopero

 

Al di fuori di quanto consentito da tale riserva di legge, nessun ulteriore vincolo all’esercizio del diritto di sciopero può essere posto; meno che meno esso potrebbe essere posto da quel datore di lavoro che intendesse unilateralmente normare la materia a salvaguardia del patrimonio aziendale. In particolare, nel settore privato sembra doversi escludere che la fonte regolamentare o i codici etici possano legittimamente introdurre specifiche limitazioni all’esercizio del diritto di sciopero, che è regolato da una fonte gerarchicamente superiore (la Costituzione e la legge ordinaria, cui la prima espressamente rimanda). Diverse, per “ratio” e natura, da quella aziendale sono sia la legittima finalità regolatoria (cioè la salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), sia l’ambito di disciplina dei c.d. “codici di autoregolamentazione” di cui all’art. 2-bis della legge 146/1990, come modificata sul punto dall’art. 13, comma 1, della legge 83/2000.

 

Incompatibilità della normativa frutto di pattuizione individuale col diritto di sciopero

 

È ancora da escludere, per ragioni talmente evidenti che non è neppure il caso di esplicitare, che possa la contrattazione individuale tra datore di lavoro e singolo lavoratore istituire limitazioni al diritto di sciopero: la dismissione, o rinunzia abdicativa da parte del lavoratore, di diritti della persona di rango costituzionale, per patto individuale di lavoro appare come francamente incompatibile con l’ordinamento giuridico repubblicano.

 

L’insufficienza della normativa collettiva a superare la disciplina di legge sullo sciopero

 

Rimane, viceversa, da chiarire se e con quali limiti sia accettabile che la fonte pattizia collettiva (CCNL o accordo collettivo aziendale) sancisca o introduca limitazioni all’esercizio del diritto di sciopero. I demandi di legge alla (eventuale) disciplina di fonte pattizia collettiva riguardano specifiche modalità di esercizio del diritto di sciopero, e non già il diritto stesso, che in quanto tale non può essere compresso o condizionato. Ai sensi del comma 2 dell’art. 2 legge 146/1990 “Le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi, nel rispetto del diritto di sciopero […] concordano, nei contratti collettivi […] le prestazioni indispensabili che sono tenute ad assicurare […] le modalità e le procedure di erogazione e le altre misure dirette a consentire gli adempimenti […] Tali misure possono disporre l’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni ed indicare, in tal caso, le modalità per l’individuazione dei lavoratori interessati, ovvero possono disporre forme di erogazione periodica e devono altresì indicare intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo”. I demandi alla contrattazione collettiva sono considerati questione delicata, da gestire con la rigorosa deferenza dovuta ad una materia di rango costituzionale.

 

Sembra pertanto da escludersi che la disciplina pattizia possa riguardare la ipotetica disponibilità, in sede collettiva, dei diritti individuali della persona afferenti allo sciopero (che sono di per sé collettivamente indisponibili): il diritto di sciopero è riconosciuto dalla Costituzione in capo al singolo lavoratore e non può essere dunque oggetto di transazioni collettive. La sintesi, ovvero l’equilibrio complessivo dei diritti individuali dei lavoratori, sancito dalla sottoscrizione di accordi collettivi a firma delle organizzazioni sindacali dotate della necessaria rappresentatività, non dovrebbe pertanto toccare materie che sono oggetto di “riserva di legge rinforzata” (come è il caso dell’art. 40 Cost.).

 

Se in ipotesi un contratto collettivo, insomma, formulasse una espressa, esplicita limitazione normativa del diritto di sciopero, esso avrebbe sì il pregio della chiarezza normativa, ma si scontrerebbe pur sempre con il limite della indisponibilità del diritto individuale.

 

Se, viceversa, detto contratto collettivo legittimasse una estensione pattizia del potere conformativo datoriale, che (implicitamente e indirettamente) producesse come effetto la compressione del diritto costituzionale allo sciopero, esso avrebbe il doppio difetto della mancanza di chiarezza normativa, da un lato, e della violazione del diritto individuale indisponibile, dall’altro.

 

L’ultima fattispecie merita un approfondimento e una riflessione, anche con riferimento al settore bancario.

 

Incompatibilità tra ferie e sciopero nel settore bancario. La prevalenza dello sciopero

 

Apparirebbe incoerente col quadro normativo un ipotetico tentativo aziendale di negare, in via di principio, ad alcuni lavoratori (che avessero precedentemente convenuto e fissato con il datore di lavoro una assenza dal lavoro per ferie), il diritto di ottenere la modifica della propria causale di assenza (mediante l’imputazione a “sciopero” anziché a “ferie” della giornata di astensione dal lavoro). Tale diniego non sarebbe, ad avviso di chi scrive, giustificabile neppure in forza di una lettura particolarmente rigida e formalistica della normativa contrattuale di settore sulle ferie: la formulazione testuale sancisce, a riguardo, che i turni di ferie, una volta fissati dall’azienda, debbano essere “confermati al lavoratore/lavoratrice e rispettati; solo in casi eccezionali si possono variare di comune intesa”. Non sembra che le Parti del CCNL abbiano inteso, nel normare le ferie, disporre anche, seppur indirettamente, del diritto di sciopero: in quanto riconosciuto da fonte normativa di rango superiore, esso è da intendersi come fattispecie diversa, dotata di disciplina prevalente, deducibile “aliunde” (cioè dalla legge 146/90).

 

Va inoltre chiarito che l’astensione dalla prestazione lavorativa, che parrebbe accomunare le due legittime causali di assenza, assume morfologia ed effetti giuridici profondamente differenti nelle ferie e nello sciopero. Quanto alla diversa morfologia: le ferie sono, secondo le previsioni contrattuali di settore, programmate anticipatamente, anche eventualmente su base annuale, e ciò per consentire al datore di lavoro di organizzare adeguatamente l’attività di impresa e al lavoratore di gestire i propri bisogni personali, familiari e sociali nel recupero delle energie psico-fisiche; lo sciopero è invece proclamato e organizzato dalle Organizzazioni sindacali nell’immediatezza e concreta evidenza di una vertenza collettiva, con il breve preavviso (che è il limite) sancito dalla legge 146 a tutela del servizio pubblico essenziale (e non a tutela della libertà di impresa!), e dunque per sua natura si sottrae ai condizionamenti del potere conformativo datoriale.  Quanto ai suoi effetti: nelle ferie il sinallagma contrattuale continua a produrre tutti interi i suoi effetti (ad esempio, il diritto alla prestazione retributiva, contributiva, la maturazione della anzianità di servizio, e inoltre il dovere della reperibilità se previsto, ecc.), mentre invece nello sciopero le prestazioni corrispettive sono entrambe sospese, ed è in definitiva a tutti gli effetti sospeso il rapporto di lavoro.

 

Ancora: nelle ferie “l’impresa può richiamare l’assente prima del termine delle ferie quando urgenti necessità di servizio lo richiedano, fermo il diritto del dipendente di completare le ferie stesse in un periodo successivo, con diritto al rimborso delle spese derivanti dall’interruzione che il lavoratore/lavoratrice dimostri di avere sostenuto”; nello sciopero, l’impresa non ha invece tale facoltà di richiamo (salvo il diverso caso della c.d. “precettazione”, che risponde però a una disciplina di fonte legislativa, non contrattuale, e consiste in un’ordinanza straordinaria mediante la quale la competente autorità può imporre livelli minimi di funzionamento del servizio).

 

Il diritto di sciopero è riconosciuto come diritto ad un’astensione dal lavoro espressamente motivata dalla volontà di aderire all’iniziativa vertenziale proclamata: il che significa anche che la scelta di utilizzare tale specifica causale di assenza rientra nella esclusiva disponibilità del lavoratore, e non è condizionata alla accettazione datoriale.  Aderire a uno sciopero significa anche accettare i suoi effetti sospensivi della prestazione, anzi: significa poterli rivendicare, esigere, ottenere. Con l’effetto pratico di potere (e dovere) conseguentemente riprogrammare il giorno di ferie non fruito.

 

Sulla tutela giurisdizionale del diritto di sciopero

 

È pacifico che essa rientri nella disponibilità del singolo lavoratore (che può promuovere, in caso di lesione, una causa individuale). È anche vero che, sostanziandosi il diritto di sciopero nel comportamento fattuale di astensione dalla prestazione, comportamento che non è normalmente preceduto da alcuna manifestazione di volontà, la eventuale lesione del diritto (consistente nel diniego datoriale e impugnabile in giudizio), in tal caso si appalesa solo “ex post”, anziché “ex ante”. Diverso è il caso in cui il lavoratore manifesti formalmente, ex ante, al proprio datore di lavoro l’intendimento di riservarsi di modificare la propria causale di assenza e riceva un formale ed espresso diniego a ciò: tale fattispecie ben potrebbe, ad avviso di chi scrive, costituire oggetto di rivendicazione di tutela giudiziale individuale.

 

Non è da escludere che la tutela giurisdizionale del diritto di sciopero possa essere invocata persino, in via residuale, con le forme del ricorso collettivo (ex art. 28 legge 300/1970), per quanto la percorribilità di tale via appaia obiettivamente più ostica. Il presupposto di azionabilità (della richiesta collettiva di rimozione tempestiva degli effetti del comportamento lesivo datoriale) potrebbe poggiare sul seguente iter logico-causale: 1) formale e preventiva richiesta sindacale alla controparte datoriale di confermare il generale diritto individuale alla variazione dell’imputazione di astensione dalla prestazione; 2) risposta negativa datoriale; 3) dimostrabilità del nesso causale tra diniego datoriale e vulnerazione/lesione dell’interesse collettivo alla piena esplicazione delle potenzialità dello sciopero e alla immediata pubblicità dei risultati di piena adesione; 4) dimostrabilità dell’inefficacia/inutilità di una tutela giudiziale individuale resa “a posteriori”, e dunque del periculum in mora.

 

In sintesi, pur non potendosi escludere che la materia possa comunque costituire “res litigiosa”, sembra ragionevole concludere che, difettando di precisi e legittimi vincoli ostativi in base alle disposizioni contrattuali, anche nel settore bancario le ferie programmate non debbano precludere l’esercizio del diritto di sciopero.

 

Domenico Iodice

Giuslavorista

Comitato scientifico Fondazione Fiba

Le ferie già programmate precludono l’esercizio del diritto di sciopero? Un focus sul settore bancario