#lavoro. Le vere responsabilità nelle difficoltà a reperirlo – quali rimedi?

 

C’è qualcosa che non funziona nel dibattito aperto da molto tempo sull’utilità dei servizi pubblici per il lavoro, re-innescato dall’articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della sera del 23 novembre scorso.

 

L’assunto di qualsiasi inchiesta è: i servizi pubblici sono inefficienti, intermediano poco, costano troppo (su questo si tornerà dopo), dunque sarebbe il caso di chiuderli e lasciare il tutto in mano ai privati.

 

Da un lato, questa recrudescenza del dibattito lascia molto pensare, perché si accende proprio alla vigilia della possibilità di spesa di 1,5 miliardi circa per il progetto di aiuto all’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani Youth Guarantee. Inutile girarci attorno: le agenzie private, in grandissima difficoltà finanziaria a causa della crisi, ambiscono a ricevere quei finanziamenti per rimettere a posto i loro conti. E fanno di tutto affinché lo Stato non destini ai servizi pubblici quelle risorse.

 

Dall’altro lato, tuttavia, alla base dei ragionamenti vi sono elementi di contraddittorietà vistosi, ma sempre pretermessi.

 

Il dato di partenza sono le rilevazioni dell’Isfol o di centri studi di varia natura (Rizzo ha rispolverato un’analisi della Confcommercio dell’ottobre 2013, molto incompleta e con vistosi errori), secondo i quali grosso modo i centri per l’impiego pubblici intermediano il 4% dei rapporti di lavoro, le agenzie private il 3%, le aziende intermediano il 20% circa mediante i canali informatici del “lavora con noi”, mentre oltre il 60% delle intermediazioni avviene attraverso i canali della conoscenza personale.

 

Ebbene, questi dati, rilevati per altro in modo abbastanza impreciso e solo per stime campionarie, visto che mancano banche dati e tracciamento dei loro flussi, vengono utilizzati solo come capo d’accusa per i servizi pubblici, quando, invece, è evidente che dovrebbero dimostrare non tanto l’opposto, quanto l’inefficienza complessiva del sistema dell’intermediazione, al netto ovviamente dei problemi attualmente causati dalla crisi economica, che rende difficoltosa la ricerca di lavoro a prescindere dall’efficacia del canale di ricerca.

 

Eppure, se letti all’opposto, dovrebbero impietosamente dimostrare che l’inefficienza sta soprattutto dalla parte dei soggetti privati.

 

Se, infatti, complessivamente il sistema per oltre il 90% si fonda su modalità di ricerca e selezione del personale governata dai soggetti privati, nonostante la loro maggiore flessibilità e, spesso, economicità, ci sarebbe da chiedersi perché mai, allora, risulti così difficile la ricerca del lavoro.

 

Dando per scontate le inefficienze del sistema pubblico, constatata la sua sostanziale irrilevanza, allora non si potrebbe evitare di concludere che i soggetti che operano per la fetta stragrande del mercato, i privati, siano i maggiori responsabili non tanto dei problemi dell’intermediazione, quanto del mismatching, cioè della difficoltà dei lavoratori a trovare lavoro e delle imprese a reperire i lavoratori, dimostrata dalla circostanza che l’occupazione continua a ridursi.

 

L’articolo di Sergio Rizzo citato prima pareva attribuire ai centri per l’impiego pubblici la sola responsabilità di tutto questo. È ovviamente una considerazione erronea ed al limite del provocatorio, considerando appunto la limitata estensione dell’intermediazione pubblica e la profondità della crisi, che rendono sostanzialmente inefficienti anche i soggetti privati che operano nell’intermediazione.

 

Si diceva sopra dei costi che il sistema pubblico, inefficiente, affronta per i servizi per il lavoro. In estrema sintesi, il sistema pubblico dedica per i 7.700 dipendenti dei centri per l’impiego circa 470 milioni di euro l’anno, la gran parte dei quali destinati al pagamento degli stipendi. In effetti, per stipendi la cifra spesi risulta sicuramente inferiore. Considerando il costo medio lordo (Irap e contributi compresi) di un dipendente provinciale, che è di circa 41.949,00 euro l’anno, per stipendi il sistema spende poco più di 323 milioni. Anche fossero circa 10.000 come erroneamente sostiene lo studio della Confcommercio citato da Rizzo, la spesa di personale non supererebbe i 420 milioni, sui circa 470 destinati.

 

Ora, in molti immaginano di eliminare i servizi pubblici per il lavoro, dare il benservito con molte grazie ai dipendenti (con la sgradevole considerazione che i centri per l’impiego servono solo a coloro che vi lavorano all’interno) e creare 7700 disoccupati, dei quali non ci sarebbe da preoccuparsi troppo, perché “pubblici”, dunque “raccomandati” e “fannulloni”. Si ricorda, però, che – giustamente – anche per salvaguardare per i 7000 posti a rischio di Alitalia nel 2008 lo Stato spese 5 miliardi.

 

Il sistema a cui molti vorrebbero ispirarsi è quello della Lombardia. Un’accezione sui generis della sussidiarietà pubblico-privato, che non va verso l’aiuto reciproco, bensì verso l’annullamento del pubblico, a vantaggio dell’azione privata, che resta, tuttavia, finanziata comunque dal pubblico.

 

Il meccanismo è simile al buono-scuola: ogni disoccupato porta in dote circa 3.000 euro, che va a consegnare al servizio al quale si rivolge, che li usa per predisporre nei suoi confronti le azioni di ricerca del lavoro. Insomma, il disoccupato paga chi gli cerca il lavoro. Con risorse pubbliche.

 

Si dirà: chiudendo i centri per l’impiego e licenziando i loro dipendenti, si possono ridurre, però, le tasse di 470 milioni. La spesa pubblica per voucher, dunque, sarebbe ripagata.

 

I disoccupati in Italia sono circa 3,127 milioni, ad agosto 2013. Proviamo ad immaginare di estendere ad ogni disoccupato il sistema del voucher: sarebbe necessaria una cifra di 9,381 miliardi per gestire le attività “a voucher”, che dovrebbero essere finanziate dall’erario pubblico. 20 volte quasi la spesa attualmente sostenuta.

L’idea può essere molto funzionale ed efficiente. Ci sarebbe da capire, tuttavia, dove potrebbero reperirsi le ingentissime risorse richieste.

 

Non è un caso che il sistema dei voucher, quando viene proposto, come dal Prof. Ichino, riguarda sempre solo “sperimentazioni” per ridottissimi target di disoccupati (solo i giovani, solo gli anziani, solo gli immigrati, solo i disoccupati di lunga durata, etc…), o viene applicato in limitati territori, spesso utilizzando finanziamenti straordinari, non rinvenienti dall’erario (Fse, progetti speciali, etc,).

 

Il fatto vero è uno: in Italia i servizi per il lavoro, tutti, pubblici o privati che siano, non lavorano esattamente per il non irrilevante problema che a detti servizi sono destinate troppe poche risorse finanziarie e di personale. Guardiamo i dati impietosi Eurostat.

 

Tabella 1 Spesa per i servizi per il lavoro in Europa ( LMP expenditure) summary  tables) – Millions of euro

GEO/TIME 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
European Union (27 countries) 24.258,853 23.236,823 23.558,468 23.675,731 27.585,653 : :
European Union (15 countries) 23.711,937 22.547,439 22.803,140 22.860,389 26.809,982 : :
Belgium 591,163 629,809 667,365 679,482 737,733 773,442 :
Bulgaria 15,826 15,030 15,592 18,241 15,290 13,923 15,037
Czech Republic 129,170 147,398 169,760 178,983 177,733 167,851 150,871
Denmark 330,054 341,851 328,229 547,143 692,165 1.122,285 1.306,179
Germany (until 1990 former territory of the FRG) 6.565,536 6.261,870 6.540,013 7.129,278 9.048,503 9.468,657 8.872,862
Estonia 2,485 3,029 3,832 5,287 12,145 12,442 13,231
Ireland 321,425 361,364 402,409 390,506 317,361 261,659 :
Greece 22,081 24,342 37,567 26,994 23,883 23,883 :
Spain 833,512 931,692 956,473 1.124,151 1.401,580 1.319,462 :
France 4.035,482 4.356,728 4.237,248 4.006,204 4.893,747 5.866,005 :
Italy 553,290 523,104 600,305 697,229 543,058 483,274 500,822
Cyprus : 5,027 6,676 6,116 6,034 6,198 5,899
Latria 7,988 11,218 13,470 12,402 8,164 7,298 7,195
Lithuania 14,876 20,076 23,838 25,025 26,629 22,472 25,080
Luxembourg 14,200 15,100 16,432 17,878 17,878 20,996 :
Hungary 83,690 81,703 84,491 92,507 81,443 87,042 :
Malta : 4,241 6,021 7,582 6,008 7,239 :
Netherlands 1.990,372 2.043,075 1.927,712 1.798,525 2.179,715 2.301,166 2.233,600
Austria 419,482 451,359 455,807 458,915 508,787 536,195 556,663
Poland 168,717 255,057 297,123 319,027 305,416 327,241 :
Portugal 217,403 198,234 199,107 218,156 200,294 196,458 198,245
Romania 30,657 40,819 46,225 47,786 37,043 34,769 35,231
Slovenia 28,243 28,876 30,030 31,792 35,412 38,619 38,086
Slovakia 65,263 76,909 58,270 70,593 64,353 65,835 :
Finland 214,490 216,823 223,838 211,647 215,352 237,280 233,827
Sweden 527,672 587,388 560,714 539,458 610,127 907,175 956,278
United Kingdom 7.075,775 5.604,702 5.649,922 5.014,824 5.419,801 : :
Norway 292,825 309,880 313,615 : : : :

Fonte: Eurostat 2012

 

I dati sono mortificanti. Al confronto con i principali Paesi competitori, l’Italia investe molto, ma molto meno. Dove c’è un mercato del lavoro efficiente (anche grazie all’assenza di crisi economica)? In Germania, ove gli investimenti sono molto vicini ai 9,3 miliardi annui ipotizzati sopra, nella simulazione dell’estensione del sistema del voucher a tutti i disoccupati.

 

Ma, in Germania, gli addetti ai centri per l’impiego pubblici sono 74.000 circa, non 7.700.

 

Personale e rapporto disoccupati per operatore dei PES

Personale PES (2011) Disoccupato per operatore PES Disoccupati registrati a un PES (2011) (b) Disoccupato registrato a un PES  per operatore PES (2011) Disoccupati + inattivi disponibili a lavorare (15-74 anni) (2011) Disoccupati + inattivi disponibili a lavorare per operatore PES
Spagna 7.996 229,4 4.060.756 358,4 5.959.600 526
Italia © 6.062 494 1.387.686 228 5.005.200 825
Portogallo 3.839 116,9 558.638 139 878.100 218,5
Belgio 6.470 54,6 469.629 47,8 455.300 46,3
Finlandia 3.700 49,6 264.813 98,1 308.800 114,4
Olanda 5.633 49,3 489.800 25,4 674.600 34,9
Germania 74.099 48,6 3.238.421 28,2 3.091.900 26,9
Irlanda 2.240 45,9 441.689 234,7 360.600 191,6
Francia 28.459 45,7 2.679.778 54,2 2.917.500 59,1
Austria 4.348 42,7 250.782 46,3 320.200 59,2
Svezia 10.248 28,9 231.313 21,4 499.600 46,3
Regno Unito 67.110 24,2 1.473.040 19 3.305.500 42,5
Danimarca 6.400 17,3 137.910 55,2 296.000 118,4
(a) Si ipotizza che il personale dei Cpi italiani non abbia subito variazioni a causa del blocco delle assunzioni nella PA. I dati per la Spagna comprendono solo la struttura centrale e la Ctalogna
(b) Nel database Eurostat relativo agli Unemployed registered with Public Employment Service non sono disponibili i dati sull’Italia. E’ stato inserito il numero dei disoccupati e degli inattivi disponibili a lavorare che si sono rivolti a un Cpi da meno di un anno (Istat)
(c)  Si intende il personale che opera nelle attività di front office e nel rapporto diretto con il disoccupati
Fonti: per le prime due colonne, Roberto Cicciomessere e Maurizio Sorcioni, op.cit. ; per la terza, documenti dei PES nazionali; dalla quarta alla settima, Eurostat (Labour market policy LMP e Labour Force Survey ) e Istat (Indagine sulle forze di lavoro)

 

In Germania, ogni addetto ai servizi pubblici per il lavoro ha a che fare con 48 disoccupati. In Italia, con 494, che rappresenta la peggiore media in Europa.

 

Chiunque, deposte le armi da guerra nella faida privato vs pubblico, comprenderebbe, allora, che è inutile gettare la croce della difficoltà al reperimento di lavoro addosso a servizi pubblici che risultano intenzionalmente sottodimensionati e sottofinanziati.

 

Il problema è esattamente l’opposto: cercare di avvicinarsi alla soglia di investimenti sostenuti dagli altri grandi Paesi.

 

Poi, chi gestisce i servizi, pubblico o privato, potrebbe risultare indifferente, se gli investimenti garantiscano ai disoccupati di reperire lavoro.

 

Limitarsi semplicemente a gettare fango sui servizi pubblici, senza delineare una via d’uscita o guardare seriamente a quali costi si andrebbe se si volessero affrontare idee riformatrici non per limitate sperimentazioni, ma incidendo totalmente sul sistema, non serve a nulla, se non a ricevere molti commenti indignati sui giornali.

 

Luigi Oliveri
Dirigente Coordinatore Area Servizi alla Persona e alla Comunità Provincia di Verona
@Rilievoaiace

 

* Il presente articolo è pubblicato anche in rilievoaiaceblogliveri, 23 novembre 2013.

 

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