Lavoro agile, competitività e ruolo della contrattazione

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Bollettino ADAPT 8 aprile 2019, n. 14

 

La disciplina sugli incentivi di carattere fiscale (tassazione al 10%) ha di fatto anticipato l’ingresso nel nostro ordinamento di diritto positivo della modalità di lavoro agile, al paio con l’intervento della contrattazione collettiva. Ci riferiamo in particolare al decreto interministeriale 25 marzo 2016, art. 2, che affianca a meccanismi di riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario, anche il lavoro agile, quale strumento per perseguire miglioramenti dei fondamentali aziendali.

 

La legge n. 81/2017 in materia di lavoro autonomo e agile, al suo art. 18 co. 4, ha poi statuito: “Gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile.”.

 

Di recente, qualche voce della dottrina (C. Garofalo, Produttività, efficienza e lavoro agile, in D. Garofalo (a cura di), La nuova frontiera del lavoro: autonomo-agile-occasionale, ADAPT University Press, 2018, 399 e ss.) giustamente evidenzia come la mera introduzione del lavoro agile non comporti di per sé l’accesso alla tassazione agevolata, essendo necessario verificare l’incremento dei criteri ad esempio di produttività, redditività o qualità, rispetto ad un periodo congruo. La stessa autrice annovera tra gli indicatori proprio il lavoro agile. Invero, è lo stesso Ministero che nel format da compilare per il deposito dell’accordo, indica il lavoro agile tra i criteri “disponibili” alle parti.

 

Neppure questa soluzione convince, per una serie di motivi, tra i quali in particolare: (1) gli indicatori/criteri normalmente sono valutati in termini economici (es. fatturato) o comunque calcolabili (es. numero non conformità), mentre il lavoro agile rimane pur sempre una forma di esecuzione della prestazione; (2) la prassi amministrativa/fiscale (e ancor prima la legge) impone che gli incrementi dei criteri debbano essere valutati a livello collettivo e non individuale, quindi semmai ci si dovrà riferire ad un gruppo di lavoro (tutti quelli ammessi al lavoro agile); (3) nella prassi negoziale non sembrano rintracciarsi specifici criteri incrementali connessi al lavoro agile.

 

A rinforzare tale ultima notazione, abbiamo condotto una rapida ricerca nella banca dati ADAPT www.farecontrattazione.it, prendendo a riferimento i più recenti integrativi di grandi e grandissime aziende nei quali risultassero trattate le materie del premio di risultato e del lavoro agile.

Negli emblematici contratti aziendali di Coca-cola (2018), Lamborghini (2018) e Schneider Electric (2018), seppure si abbiano statuizioni con le quali si mette in luce la possibilità di addivenirsi, grazie allo smart working, al soddisfacimento di istanze di conciliazione vita-lavoro per i dipendenti, al contempo mancano disposizioni che diano il segno della funzionalizzazione dell’istituto rispetto a una maggiore performatività del lavoro.

 

Così pure in altri importanti integrativi come Barilla (2018), l’attenzione delle parti sembra rivolgersi non tanto allo smart working come modalità di esecuzione della prestazione “produttiva”, quanto al medesimo come evoluzione organizzativa da esplorarsi con cautela: non a caso, si danno numerose disposizioni volte a prevenirne la degenerazione applicativa, su temi quali il diritto alla disconnessione, nonché l’adeguamento della formazione su salute e sicurezza degli smart workers.

 

Entro le premesse del contratto aziendale Bonfiglioli (2018), emerge invero una considerazione interessante ai nostri fini: si afferma infatti che il lavoro agile può portare a risultati positivi in termini di maggiore autonomia e responsabilizzazione dei lavoratori coinvolti. E tuttavia, rispetto a come potrebbero misurarsi detti risultati positivi in un’ottica di costruzione della retribuzione incentivante secondo modalità innovative, l’integrativo Bonfiglioli rimane silente.

 

Nell’integrativo Ansaldo (2018), infine, lo smart working è istituzionalmente definito come orientato al raggiungimento di effetti migliorativi sia sul campo della conciliazione vita-lavoro, sia su quello della maggiore “produttività e competitività aziendale”. Ed è proprio alla luce di tale affermazione, che riteniamo di poter leggere una norma di carattere ‘aperto’ collocata all’interno della disciplina del Premio di risultato.

Nell’accordo, si stabilisce che, per il termine dell’anno, direzione aziendale e rappresentanti sindacali individuino “i processi soggetti ad azioni di miglioramento o innovazione più significativi per livello di coinvolgimento, strategicità e valore economico che concorrono allo sviluppo del business aziendale”.

 

Laddove quindi, i soggetti citati constatino che lo smart working è modalità di esecuzione della prestazione che, contribuendo a responsabilizzare i lavoratori, pure determina miglioramenti nella conduzione del business aziendale, pare ragionevole affermare che la sua implementazione, sulla base di dati trasparenti, misurabili ed economicamente rilevanti, potrà essere considerata valida ragione in virtù della quale rafforzare la legittimità dell’interesse aziendale all’accesso alla tassazione agevolata.

 

Si tratta però, in tal caso, di fare uno sforzo ulteriore per evitare che simili clausole rimangano mere petizioni di principio, e quindi di individuare criteri di misurazione con specifico riferimento ai lavoratori agili: criteri con i quali poter valutare gli incrementi, ad esempio, in produttività o efficienza che sono favoriti dalla modalità di lavoro c.d. smart.

In tal senso, potrebbero fare al caso indicatori quali:

n. commesse evase nei giorni di presenza in azienda / n. commesse evase nei giorni in lavoro agile (al netto della differenza numerica delle giornate)

produttività lavoratori agili vs produttività altri lavoratori

assenteismo (come media collettiva) lavoratori agili vs gli altri

 

In questo senso però il lavoro agile assurge quasi a categoria di riferimento e non già indicatore.

 

Sembra cioè di poter dire che più che la “fuga in avanti” del decreto del marzo 2016, abbia inciso sulla diffusione del lavoro agile, la legge n. 81/2017, nella sua essenza di “norma incentivo” (di carattere normativo) che – al di là di alcuni punti ancora scoperti – nella percezione degli operatori ha comunque portato una serie di chiarimenti (si vedano, ad esempio, la copertura INAIL o la definizione degli elementi essenziali dell’accordo individuale).

 

Allargando lo sguardo, e abbandonando la sola logica premiale della detassazione, la disposizione “finalistica” della legge 81 (l’art. 18 co. 1 così recita: “(…) allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, (…)”) sembra rimanere sulla carta, almeno laddove non si predispongano effettivi strumenti, anche a livello individuale, di verifica della produttività del lavoratore agile, anche quale parametro di riferimento ad esempio per la prosecuzione della modalità o quale elemento legittimante il recesso. Si potrebbero in questo senso recuperare le buone prassi di processi valutativi delle performance piuttosto che sulle tecniche del c.d. Management by Objectives (su cui si veda il recente contributo A. Cezza, Management by Objectives e relazioni industriali: dalla teoria al caso Ducati Motor Holding S.p.A., ADAPT University Press, 2019).

 

Solo cioè per il tramite di queste modalità di misurazione, che nulla hanno a che vedere con la direzione e il controllo tipici del Novecento industriale, si riuscirebbe a dimostrare l’effettivo giovamento in termini di competitività per l’impresa.

 

Marco Menegotto

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@MarcoMenegotto

 

Andrea Rosafalco

Adapt Junior Fellow

@AndreaRosafalco 

 

Lavoro agile, competitività e ruolo della contrattazione
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