L’accordo separato della Castelfrigo S.r.l. e la tenuta delle relazioni industriali in Italia

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Il 27 dicembre 2017 a Castelnuovo Rangone si è verificato un evento che ha inciso e che probabilmente inciderà molto sulle relazioni industriali nostrane. Difatti, nel distretto emiliano famoso per la lavorazione delle carni suine, un’azienda, la Castelfrigo S.r.l., ha firmato un accordo aziendale finalizzato all’assorbimento di una parte dei lavoratori precedentemente impiegati da alcune cooperative attive nella zona. Queste ultime venivano utilizzate per eseguire lavorazioni nelle linee di produzione della società in questione, appartenente al consorzio industriale modenese.

 

L’iniziativa, pur avendo il nobile fine di non lasciare a casa i lavoratori precedentemente impiegati negli appalti, ha una peculiarità di non poco conto: l’accordo è stato sottoscritto da una sola organizzazione sindacale territoriale, ossia la FAI-CISL Emilia Centrale, mentre l’altro sindacato più rappresentativo del settore, la FLAI-CGIL di Modena, è rimasto fuori dal negoziato.

 

La vicenda comincia pochi mesi prima, quando la Castelfrigo annuncia lo scioglimento dei contratti di appalto (presumibilmente di servizi) che la legano ad alcune cooperative molto attive nel territorio del modenese. Secondo quanto affermato dai sindacalisti della zona, si tratterebbe addirittura di cooperative “spurie”, ossia create artatamente per ridurre il costo del lavoro e le tutele dei dipendenti impiegati negli appalti, con a capo dei prestanome e con nessuna garanzia in termini di sopravvivenza economica nel lungo periodo.

 

Una volta annunciata la cessazione degli appalti, a loro volta le due cooperative interessate (Ilia D.A. e Work Service) avviano l’iter per il licenziamento collettivo dei soci lavoratori utilizzati nelle linee di produzione dell’azienda alimentare. A quel punto le due organizzazioni sindacali territoriali coinvolte (FLAI-CGIL e FAI-CISL) tentano di aprire il negoziato al fine scongiurare i numerosi licenziamenti paventati. Non ottenendo i risultati sperati, il 17 ottobre la Cgil comincia una mobilitazione ad oltranza, con sciopero della fame annesso.

 

Tuttavia la trattativa continua con la FAI-CISL e si arriva alla firma di due accordi aziendali “separati”: uno (preliminare) siglato il 22 novembre 2017 e l’altro (definitivo) del 27 dicembre 2017.

 

Dal testo dell’accordo del 22 novembre emerge come la società di Castelnuovo, che apparentemente avrebbe anche potuto rimanere estranea al destino dei lavoratori coinvolti nei possibili esuberi delle due cooperative, giustifichi il suo ruolo di primo piano nell’operazione di assorbimento affermando una generica “responsabilità sociale di impresa sul territorio di Castelnuovo Rangone.

 

Con il successivo accordo del 27 dicembre la Castelfrigo cerca di prendere ancora tempo in vista di una verifica più approfondita della situazione economica aziendale. Nelle more, si impegna comunque ad utilizzare per sei mesi, tramite agenzia di somministrazione, i “lavoratori attualmente in forza e presenti in azienda, che hanno conferito incarico e mandato alla FAI-CISL Emilia Centrale di assisterli nel percorso di ricollocamento”. Conclusi i sei mesi, l’azienda valuterà se sussisteranno le condizioni per l’assunzione diretta, ritagliandosi così ampia libertà di manovra sul destino dei somministrati.

 

Sullo sfondo, la prospettiva dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori tutta da valutare in sede di proiezione giudiziaria della vicenda ma già annunciata dalla FLAI-CGIL di Modena. Difatti, a detta di quest’ultimo sindacato, la direzione aziendale non solo sembrerebbe aver escluso la Cgil dal negoziato sul possibile riassorbimento a causa delle diverse mobilitazioni proclamate e poi realizzate da detta organizzazione sindacale: con l’accordo del 27 dicembre andrebbe anche oltre, concordando l’utilizzazione in somministrazione, e quindi l’avviamento nel percorso di riassorbimento, dei soli lavoratori che hanno dato mandato alla Cisl e, di conseguenza, che non hanno partecipato alle mobilitazioni sindacali. Tuttavia, se fosse vero quanto sostiene la FLAI-CGIL, sembrerebbe esserci un paradosso in quanto la condotta antisindacale sarebbe stata realizzata con la complicità di un’altra organizzazione sindacale, la quale ha prima partecipato alle trattative e poi ha firmato gli accordi in questione.

 

La vicenda però è interessante soprattutto sotto altre chiavi di lettura. Anzitutto, sotto il profilo delle ripercussioni sul sistema di relazioni industriali ampiamente inteso, si è anche ipotizzato che l’iniziativa della Cisl di sedere al negoziato e di firmare l’accordo nonostante le rimostranze della Cgil sia in grado di minare il clima di unità sindacale che ha caratterizzato la recentissima stagione sindacale: quella dell’accordo interconfederale tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, del rinnovo del CCNL dell’Industria metalmeccanica del dicembre 2016 e dell’annunciato “Patto per la fabbrica”. La stessa stagione in cui si parla con insistenza di misurazione della rappresentatività sindacale in un’ottica di selezione dell’interlocutore negoziale; prospettiva che non sembra più così lontana dopo la firma dell’accordo integrativo del 4 luglio 2017, con cui si è stabilito che sarà esclusivamente l’INPS ad occuparsi della rilevazione sia del dato associativo sia di quello elettorale.

 

Ad emergere in modo netto è anche la profonda diversità di visione delle due più grandi confederazioni sindacali italiane: la strada dello sciopero e della visibilità per la Cgil, la via del confronto e della collaborazione per la Cisl. Dunque, potrebbe venirne fuori uno scenario in cui è già cominciata la lotta per la crescita in termini di rappresentatività e le due più grandi confederazioni hanno già messo in mostra le loro tradizionali caratteristiche.

 

Bisogna comunque dare merito alla mobilitazione che ha coinvolto la Castelfrigo di aver riportato l’attenzione sul fenomeno patologico delle cooperative spurie, ormai così diffuse da essere in grado di inquinare sia il mercato del lavoro italiano sia (come in questo caso) lo stesso clima sindacale. È ormai noto che si tratta di strumenti spesso messi a punto al fine di eludere non solo la normativa in materia fiscale e contabile, ma anche le tutele previste dal nostro ordinamento in favore del lavoro subordinato. Non è un caso che alle loro dipendenze si trovino spesso lavoratori stranieri disposti ad accettare condizioni lavorative e retributive umilianti e ai limiti del vero e proprio caporalato. Non è un caso neppure che oggi, in piena campagna elettorale, si torni a parlare di salario minimo legale anche come strumento di contrasto a questi fenomeni di dumping salariale e sociale.

 

Per adesso l’allarme sembra essere stato colto perlomeno a livello regionale. L’Alleanza delle Cooperative, Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e la Regione Emilia Romagna hanno siglato un accordo con il quale si impegnano, in primis, alla ricollocazione dei lavoratori in esubero dalle due cooperative e, in secondo luogo (ma non per importanza), a porre un argine al dilagare delle false cooperative nel territorio emiliano. L’auspicio è che iniziative come questa non rimangano casi isolati. Piuttosto si cominci a comprendere che la ripartenza del nostro Paese è possibile soprattutto grazie alla diffusione di due valori fondamentali: la cultura del fare impresa (in modo sano) e il rispetto verso il lavoro in tutte le sue forme. E in questo scenario il ruolo delle relazioni sindacali può essere quello di protagonista.

 

Matteo Di Gregorio

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@matteo_gregorio

 

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