La circolare ministeriale sul cd. Decreto Trasparenza

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Bollettino ADAPT 27 settembre 2022, n. 32
 
La scorsa settimana – per la precisione il 20 settembre 2022 – il Ministero del lavoro ha emanato la circolare n.19/2022 per approfondire e/o precisare alcuni rilevanti aspetti interpretativi del decreto legislativo 27/06/2022, n. 104, attuativo della direttive europea 2019/1152 riguardante le condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea, facendo peraltro seguito alla circolare INL n. 4/2022 dello scorso 10 agosto 2022.
 
Sulla scorta della natura della fonte giuridica, volta ad introdurre nel territorio dell’Unione delle prescrizioni minime cui i singoli ordinamenti devono attenersi potendo se del caso migliorarle, e della stessa ratio del provvedimento, finalizzato ad assicurare un’informativa completa e trasparente sugli aspetti essenziali del rapporto di lavoro, il provvedimento di prassi in commento ha chiarito che una corretta informativa del lavoratore può e deve esser declinata secondo un criterio di proporzionalità e sostenibilità datoriale.
 
Tale precisazione merita di essere accolta con favore, sia perché costituisce un importante riferimento interpretativo al cospetto del quale intendere l’adempimento dell’obbligo datoriale, sia perché può indirizza l’eventuale reazione sanzionatoria dell’ordinamento e quindi del personale di vigilanza ispettiva, il quale, nella verifica dell’osservanza delle disposizioni normative, è indirettamente invitato a compiere una valutazione di tipo oggettivo sul rapporto tra l’entità dell’obbligo e la sua applicazione pratica.
 
In linea generale, la circolare 19/2022 ha precisato che se il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore le informazioni di base relative ai singoli istituti menzionati nel novellato articolo 1, decreto legislativo 152/1997, può viceversa operare un rinvio al Ccnl o ai documenti aziendali consegnati e/o messi a disposizione del lavoratore per le informazioni di dettaglio.
 
Tuttavia, l’obbligo informativo datoriale «non è assolto con l’astratto richiamo delle norme di legge che regolano gli istituti oggetto dell’informativa, bensì attraverso la comunicazione di come tali istituti, nel concreto, si atteggiano, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro».
 
Ciò in quanto, ad avviso del Ministero del lavoro, l’ampliamento e rafforzamento degli obblighi informativi introdotti dal nuovo testo di legge acquistano senso, e soprattutto assolvono alla propria funzione, soltanto se declinati nel concreto rapporto di lavoro.
 
Tale precisazione, come è già stato rilevato (G. Falasca, Trasparenza e lavoro, limitato il rinvio ai contratti collettivi, su Il Sole24ore del 22/09/2022), sembra porsi in contrasto con quanto già esplicitato dall’INL, alla cui stregua «la relativa disciplina di dettaglio potrà essere comunicata attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato o ad altri documenti aziendali qualora gli stessi vengano contestualmente consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale» (INL, circolare n. 4/2022).
 
L’esposto iato interpretativo, a meno di ulteriori precisazioni e/o chiarimenti a riguardo, potrebbe generare criticità applicative, soprattutto alla luce delle conseguenze sanzionatorie legate all’eventuale inosservanza dell’adempimento dei nuovi obblighi informativi gravanti sul personale di vigilanza ispettiva, essendo l’INL l’organo deputato a tali verifiche.
 
Con riferimento alle singole fattispecie di informazioni dettagliate e trasparenti che il datore di lavoro deve fornire al lavoratore all’atto dell’assunzione, il Ministero del lavoro ha chiarito che i congedi interessati dalla lettera della disposizione sono soltanto quelli retribuiti previsti dalla fonte giuridica primaria o collettiva e vanno intesi in senso stretto, con conseguente esclusione delle altre ipotesi di legittima e retribuita astensione dal lavoro, quali aspettative, permessi o simili. Pertanto, a titolo esemplificativo, saranno oggetto di specifica informativa, anche in relazione al Ccnl soggettivamente applicabile al rapporto di lavoro, il congedo di maternità e paternità, quello parentale, per assistenza a persone disabili, per cure agli invalidi o se vittime di violenza di genere.
 
Per quanto attiene alla retribuzione, la circolare in commento ha posto in evidenza come l’obbligo informativo riguardi le voci dell’emolumento la cui determinazione sia oggettivamente possibile all’atto dell’assunzione sulla scorta della disciplina legale/negoziale applicabile, non comprendendovi il premio di risultato, di importo in tutta evidenza variabile per quanto esso stesso oggetto di esplicitazione dei criteri selettivi che lo determinano. Sulla medesima falsariga non rientrano nell’obbligo informativo le eventuali misure di welfare o i buoni pasto, salvo che per prassi aziendale o fonte negoziale non siano considerati essi stessi elementi della retribuzione.
 
La declinazione concreta dei recenti obblighi di legge gravanti sul datore di lavoro, almeno nell’opzione ermeneutica prescelta dal Ministero del lavoro, ha altresì modo di esprimersi con riferimento all’orario di lavoro programmato, dovendo il datore di lavoro riferirsi, nella sua informativa, al Ccnl ed agli eventuali accordi aziendali per la disciplina dell’orario di lavoro.
 
Pertanto, informazioni relative alla concreta articolazione dell’orario di lavoro, alle eventuali variazioni di turno, alle modalità e limiti di svolgimento del lavoro straordinario e relativa retribuzione, devono essere inserite nella dichiarazione di assunzione. Tale obbligo si estende anche al lavoro discontinuo, su turni ovvero multi-periodale, ove esso possa esser considerato prevedibile, essendo sufficiente, in tali circostanze, rendere edotto il dipendente dell’articolazione oraria in cui è inserito ed esplicitare le modalità informative.
 
Infine, salvo che le variazioni successive del normale orario di lavoro non incidano in modo strutturale e/o per un arco temporale significativo, il datore di lavoro non è obbligato ad informarne il lavoratore.
 
Chiarito che l’informazione al lavoratore deve riguardare tanto gli enti e gli istituti previdenziali ed assicurativi che ricevono i contributi versati dal datore di lavoro quanto la possibilità per il dipendente di aderire a fondi di previdenza integrativa di fonte aziendale o settoriale e che, in ogni caso, l’obbligo informativo può essere assolto anche per via informatica – ferma restandone l’accessibilità al lavoratore e sua conservazione per cinque anni dalla conclusione del rapporto –, la fonte di prassi si è soffermata sulle informazioni dovute ove sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati intervengano nelle decisioni datoriali, distinguendo due fattispecie:

a) la prima, allorché tali sistemi siano volti a generare un procedimento decisionale idoneo ad incidere sul rapporto di lavoro, quali algoritmo/intelligenza artificiale da cui derivino decisioni automatizzate o rispetto alle quali il fattore umano risulti meramente accessorio. Possono rientrare in questa categoria assunzioni, assegnazione di incarichi mediante chatbots, profilazione automatizzata di candidati, assegnazione automatizzata di turni di lavoro, definizione dell’orario di lavoro, determinazione della retribuzione e via dicendo;

b) la seconda, riferita alla sorveglianza e valutazione dei lavoratori, oltre che sistemi incidenti sulle prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni negoziali, quali tablet, dispositivi digitali o per il riconoscimento facciale, gps, e similari.
 
Esulerebbe dall’obbligo informativo l’impiego di mezzi automatizzati per la rilevazione delle presenze dei dipendenti in entrata o in uscita (cd. badge), salvo che tali strumenti non siano inseriti in una procedura automatizzata generatrice di una decisione datoriale.
 
Poiché la novella di fonte europea riguarda anche le condizioni di lavoro, la circolare in commento ha chiarito che, al momento dell’assunzione, il lavoratore va informato del periodo di prova – non superiore a sette mesi, salva diversa durata stabilita dalla contrattazione collettiva – o, nel caso di contratto a termine, in proporzione alla durata del contratto, non potendo la prova esser inserita nuovamente in caso di rinnovo del contratto di lavoro riguardante le medesime mansioni.
 
In ogni caso, il periodo di prova, come risultante dalla legge o dalla contrattazione collettiva, risulta sospeso in presenza di eventi che, come malattia, infortunio, congedo per maternità/paternità obbligatorio, permessi, sciopero, incidono sulla sua effettività, avendo tuttavia il Ministero del lavoro ribadito che l’elenco degli eventi con efficacia sospensiva del periodo di prova non può che essere esemplificativo e non tassativo, pena, in caso contrario, un restringimento delle tutele riconosciute al lavoratore, conseguenza di certo non voluta dal legislatore europeo.
 
Tassativo va viceversa inteso, ad avviso della fonte di prassi ministeriale, l’elenco delle condizioni limitative, dal lato datoriale, della cumulabilità degli impieghi da parte del lavoratore, consistenti nel pregiudizio per la salute e sicurezza del medesimo, anche in relazione all’osservanza della disciplina dei riposi, nella garanzia di integrità del servizio pubblico e nel conflitto di interessi.
 
Precisato che tali condizioni devono essere valutate in modo oggettivo, dovendo quindi esistere ed essere dimostrate dal datore di lavoro, la circolare 19/2022 ha altresì limitato il concetto di «integrità del servizio pubblico» ai servizi pubblici gestiti da enti o società non rientranti nella disciplina del rapporto di lavoro con la P.A., declinando altresì il previsto «conflitto di interessi», di cui alla terza condizione, alla stregua di potenziale insorgenza di interessi in contrasto con quelli datoriali.
 
Mentre per quanto riguarda la prevedibilità minima del lavoro, la circolare in commento ha evidenziato il collegamento che deve sussistere tra le esigenze del settore produttivo richiedenti una certa flessibilità nell’individuazione delle giornate ed orari di esecuzione della prestazione e la ragionevolezza del preavviso che il datore di lavoro/committente deve rispettare per imporre la prestazione al lavoratore, il Ministero del lavoro ha altresì previsto che la formazione obbligatoria, che il datore di lavoro deve garantire in modo gratuito ai dipendenti e che dev’essere svolta, di preferenza, durante l’orario di lavoro, tale essendo, non riguarda le ipotesi di formazione professionale o per ottenere/mantenere una qualifica professionale, salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge o dal contratto individuale o collettivo di lavoro.
 
Infine, il Ministero del lavoro ha precisato che occorre intendere le «misure equivalenti» al c.d. licenziamento ritorsivo alla stregua di tutte le modifiche del rapporto di lavoro, tanto subordinato quanto di collaborazione, capaci di incidere in modo sostanziale sugli elementi essenziali del medesimo negozio di lavoro.
 

Giovanna Carosielli 

Funzionario ispettivo ITL Bologna*

@GiovCarosielli

*Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.

La circolare ministeriale sul cd. Decreto Trasparenza