Jobs Act e part-time: l’estensione di un diritto per i malati cronici

In questi anni, diverse normative si sono occupate della salute dei lavoratori affetti da patologie croniche attraverso la strumentazione di politiche di carattere passivo, al fine di garantire l’accesso a pensioni o a sussidi di invalidità. Ogni volta, infatti, che un diritto in più per i lavoratori affetti da una malattia è emanato, il senso di responsabilità morale del paese nei confronti di questa categoria di persone si arricchisce, producendo un avanzamento delle politiche sociali.

 

A riguardo, l’art. 46 del Decreto legislativo n. 276/2003 di attuazione della c. d. legge Biagi, ha introdotto il diritto per il lavoratore affetto da patologia oncologica di trasformare il contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

La criticità più rilevante di questo diritto fu nella sua natura esclusiva, rivolta soltanto ai lavoratori malati di cancro e, di conseguenza, questa condizione creava differenze di trattamento che potevano anche dar luogo a situazioni di discriminazione tra questi soggetti e gli altri lavoratori con una patologia cronica. (M. Tiraboschi, Le nuove frontiere dei sistemi di welfare: occupabilità, lavoro e tutele delle persone con malattie croniche, ADAPT Labour Studies, e-Book series, n. 36/2015, p. 38). Nel 2007, la legge n. 247 di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibile, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale, ha riconosciuto la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale anche ai caregivers, ovvero a coloro che si prendono cura della persona malata.

 

L’art. 6 dello schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 si prefigge di dare una soluzione a questa differenziazione attraverso l’estensione del diritto al part-time ai lavoratori affetti da “gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti”, appartenenti al settore pubblico e privato. Tale diritto si pone come utile strumento di conciliazione tra il diritto del lavoro e l’inclusione sociale di questi malati.

 

Riguardo ai diritti concessi ai lavoratori malati cronici, l’art. 6.3. dello schema di decreto legislativo in oggetto segnala che «i lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno».

 

La prima criticità che si osserva è legata all’interpretazione del concetto “gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti”, poiché determina l’ambito d’applicazione della disposizione e i soggetti che possono usufruire di questo diritto. L’adozione del termine “ingravescenti”, ovvero malattie che si aggravano progressivamente, esclude, dal campo di attuazione, quelle patologie che, anche essendo croniche, non peggiorano progressivamente nel corso del tempo.

 

Secondo le diverse definizioni di malattia cronica (S. Varva, Una prima rassegna ragionata della letteratura di riferimento, ADAPT Labour Studies, e-Book series, n. 27/2014, p. 11), il termine ingravescenza non è una caratteristica principale per definire una malattia cronica, anzi una malattia può essere considerata cronica sebbene non abbia effetti ingravescenti. A ragione di ciò, l’estensione del diritto al part-time a tutti i malati cronici dipenderà dall’interpretazione che si farà dell’espressione “gravi patologie cronico-degenerative”.

 

Una delle figure più importanti per i malati affetti da patologie croniche è il caregiver. Nel nostro Paese, il caregiver è prevalentemente donna (80%) in età lavorativa, con figli da accudire, per cui lo stress emotivo e le responsabilità di riguardo verso un malato si uniscono all’impegno della famiglia e del lavoro e alla difficoltà di conciliare le varie esigenze (A. Tognetti, Le problematiche del caregiver, Giornale di Gerontologia, Vol. 52, pp. 505 -510, 2004).

Su questo argomento, il provvedimento in oggetto al comma 4 dell’art.6 stabilisce che «nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale».

 

Su questo argomento, ci saremmo aspettati una minore rigidità inerente la percentuale di invalidità necessaria che servirebbe a richiedere il part-time da parte di un caregiver. Non sempre, infatti, le percentuali di invalidità riconosciute possono esprimere effettivamente la difficoltà di un familiare a far coincidere la sua assistenza al malato con gli aspetti concernenti la sua carriera lavorativa. Questa rigidità dimostra una limitazione nell’acceso alle misure di conciliazione vita-lavoro sia per il cittadino sia per le imprese che gestiscono queste persone in stato di necessità. In particolare, nelle Piccole e Medie imprese, questa priorità potrà essere soggetta a problematiche di applicazione pratica.

 

Il comma 5 dell’articolo 6 in oggetto contiene previsioni in favore del lavoratore con un figlio malato e segnala che «in caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 104 del 1992, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale». Stabilire un requisito basato sull’età e non sulla gravità dell’handicap del figlio non serve a soddisfare i particolari bisogni di questi lavoratori. Questa condizione esclude dall’ambito di applicazione i lavoratori con figli minorenni con più di 13 anni che hanno lo stesso bisogno di quelli con età inferiore.

 

Ad ora questo provvedimento non è ancora applicabile ma, qualora lo diventasse non sarebbe una misura risolutiva di inclusione sociale e lavorativa perché la riduzione del tempo di lavoro è accompagnata dalla corrispettiva riduzione del salario, in un periodo della vita in cui le spese dovute alle cure sono a carico del lavoratore.

 

Silvia Fernandez Martinez

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@Silvia_FM_

 

Fabiola Silvaggi

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@FabiolaSilvaggi

 

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