Industria 4.0: non chiamatela ancora rivoluzione

Una fase storica merita il nome di “rivoluzione industriale” solo se ad essa si associa un’eccezionale crescita della produttività. Se guardiamo alle statistiche ufficiali, oggi il mondo non si trova in una “rivoluzione industriale”. Negli USA , ad esempio, la produttività del lavoro è cresciuta in media del 3,2% annuo nel periodo 1948-1973;  dell’1,5% annuo nel periodo 1973-1995; del 3,3% annuo nel periodo 1996-2003 per poi rallentare nuovamente a circa 1,5% medio annuo nel periodo 2004-2015. Ad oggi, non si registra alcun segno di accelerazione. Se si guarda dunque alle statistiche aggregate, si deve concludere che  siamo in un periodo di bassa crescita della produttività e  che  il rallentamento è precedente allo scoppio della crisi finanziaria del 2008 ed alla successiva fase di recessione.

 

La situazione nazionale

In termini relativi, la situazione italiana è ancora più critica :  ponendo pari a 100 il livello della produttività oraria del lavoro dell’anno 2000, nel 2016 il livello in Italia è arrivato a mala pena a 101.In Francia e Spagna a circa 115, in Germania a oltre 118. Nel pieno di una fase di crescita molto modesta, si celebra l’arrivo di una “quarta rivoluzione industriale”  (ovvero l’ Industria 4.0) che permetterebbe alla manifattura (e non solo) di fare un balzo nella crescita ed all’economia di rilanciarsi con vigore.

 

I tre scenari futuri  possibili:

Primo scenario: entro pochi anni le evidenze di forte impatto sulla produttività, che oggi sono confinate in alcune singole realtà industriali, si estendono in modo sistemico ad ampi settori dell’economia e della manifattura. Questo si  tradurrebbe in dati aggregati della produttività che permettano di affermare definitivamente che siamo entrati in una nuova era tecnologica.

Secondo scenario: ci si convince che c’è qualcosa in questa rivoluzione tecnologica che sfugge alle tradizionali metodologie statistiche di misura dell’output. Pertanto, – dopo aver corretto errori di misura come evidenziato da recenti studi – emergerà nel prossimo futuro anche nelle statistiche ufficiali una crescita importante della produttività.

Terzo scenario: se non si  verificheranno né il primo né  il secondo scenario, si dovrà ammettere che Industria 4.0 è una realtà molto importante per alcune aziende e alcuni particolari ambiti industriali. Ma ad essa   non  avrà corrisposto una trasformazione di sufficientemente ampi settori dell’economia tale da avere l’impatto sperato sull’efficienza complessiva del sistema.

Ritengo che le ragioni degli “ottimisti” (i primi due scenari) siano complessivamente più forti, ma l’adesione al “partito degli ottimisti” non può essere fatta senza uno spirito critico pronto a  riconoscere che, ad oggi, mancano le prove definitive  per affermare l’avvenuto ingresso in una quarta rivoluzione industriale.

 

La difficile scommessa del governo

Il governo italiano nella recente legge di bilancio ha deciso di scommettere pesantemente sull’innovazione tecnologica per invertire la drammatica tendenza che ha portato la manifattura italiana a perdere oltre ¼ del proprio fatturato dall’inizio della crisi. È forse l’unica “scommessa” possibile, ma  in ogni caso,  una scommessa rischiosa. Non solo non abbiamo certezza circa la reale portata delle tecnologie di Industria 4.0 in termini di produttività e di occupazione, ma gli incentivi offerti dal governo (in particolare l’iper-ammortamento e il credito d’imposta alla ricerca) hanno anche un’efficacia  molto incerta nello stimolare nuovi investimenti delle imprese. È possibile che tali incentivi attivino un grande volano che, attraverso maggiori investimenti in tecnologia, determinerà un aumento della competitività delle imprese italiane generando nuova occupazione e nuova domanda. Tuttavia, il livello degli investimenti non dipende solo dagli incentivi offerti, ma dal clima complessivo di fiducia degli imprenditori rispetto alle prospettive di crescita del Paese.

 

Aziende poco propense a investire

A questo proposito, una recentissima indagine condotta da Federmeccanica  rivela che le imprese manifatturiere italiane hanno una buona conoscenza delle tecnologie individuate dagli estensori  come “abilitanti” (meccatronica, robotica, robotica collaborativa, IoT, Big Data, Cloud Computing, sicurezza informatica, stampa 3D, simulazione, nanotecnologie, materiali intelligenti). Tuttavia – prima del varo degli incentivi da parte del governo – le intenzioni di investimento nell’arco dei prossimi 5 anni erano molto modeste. A titolo di esempio, solo il 16% delle imprese rispondenti ha dichiarato di avere intenzione di investire nei prossimi 5 anni in robotica collaborativa e solo il 29% in stampa 3D (pur essendo quest’ultima una tecnologia molto conosciuta cui è stata riservata una significativa eco mediatica)…

 

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