In che modo la parità di genere è influenzata dalle crisi? Analisi dal nuovo volume dell’OCSE “Joining Forces for Gender Equality: What is Holding us Back?”

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Bollettino ADAPT 5 giugno 2023, n. 21
 
Negli ultimi tre anni abbiamo dovuto affrontare una crisi dopo l’altra, a partire da quella pandemica del Covid-19, per poi passare all’attacco armato della Russia ai danni dell’Ucraina, fino ad arrivare all’attuale crisi inflazionistica. Tutte e tre queste crisi hanno accentuato ulteriormente le disuguaglianze di genere, dimostrando quante sfide siano ancora aperte e quanto sia fondamentale, in primis, colmare il divario di genere nel processo decisionale. Il Covid-19 è stato fondamentale da questo punto di vista, dal momento che ha evidenziato che le donne rappresentavano solo il 24% dei partecipanti ai quadri decisionali per la risposta alla pandemia a livello mondiale. Se manca una rappresentanza di donne ai livelli decisionali, si può correre il rischio che non vengano ideate delle soluzioni per quelle situazioni che riguardano le donne e le famiglie e che non vengano attuate politiche che tutelino i diritti delle donne, spesso tra le maggiori vittime di queste crisi. La Pandemia ha rallentato i progressi in materia di uguaglianza di genere -soprattutto per quanto riguarda la violenza domestica e quella contro le donne- la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha causato un aumento dei prezzi dell’energia e ha aggravato la crisi del costo della vita. In periodi di crisi, le donne hanno maggiori probabilità di subire conseguenze economiche e finanziarie più pesanti a causa del divario di genere nei risparmi e nel reddito.
 
Nel nuovo volume dell’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico- OCSE Joining Forces for Gender Equality: What is Holding us Back? le autrici e gli autori analizzano anche il modo in cui le donne sono (state) colpite dalle ultime tre crisi che hanno coinvolto il mondo intero, dimostrando che se è vero che le crisi possono colpire chiunque, non sono eguali nelle conseguenze e, anzi, gli individui più fragili, sono quelli che vengono maggiormente danneggiati.
 
La pandemia di COVID-19 ha avuto profondi effetti di genere sui mercati del lavoro dei Paesi OCSE e non solo. Le donne costituiscono la stragrande maggioranza degli infermieri e delle ostetriche e rappresentano circa la metà dei medici ed erano anche sovra rappresentate in quei settori maggiormente colpiti dalla pandemia (nei Paesi OCSE nel 2020 le lavoratrici erano circa il 53% nei servizi di ristorazione, il 60% nei servizi di alloggio e il 62% nel settore del commercio al dettaglio). La crisi settoriale ha fatto sì che si arrestassero anche i progressi della parità di genere nell’imprenditoria, dal momento che la maggior parte delle imprese gestite da donne sono quelle dei servizi alla persona, in quelli di alloggio e ristorazione, nelle arti, nell’intrattenimento e nella vendita al dettaglio. A ciò si aggiunga anche che, come è noto, la popolazione femminile si è anche fatta carico del lavoro di cura aggiuntivo e non retribuito derivante dalla chiusura delle scuole e delle strutture di assistenza. È interessante notare che quando i padri continuano ad essere occupati e le madri no, i divari di genere nel c.d. unpaid work aumenta precipitosamente, ma ciò non avviene quando sono i padri ad essere disoccupati.
 
In media, i cali occupazioni hanno interessato nello stesso modo sia gli uomini che le donne, a parte in alcuni Paesi (es. Colombia e Cile) in cui si è registrato un calo particolarmente forte a danno delle lavoratrici e in altri (Costa Rica, Grecia e Israele) in cui la perdita del lavoro ha colpito maggiormente gli uomini. Inizialmente, la perdita di occupazione ha colpito in maniera più forte le giovani donne (di età compresa tra i 15 e i 24 anni), i cui tassi di occupazione sono diminuiti in media di 3,9 punti percentuali in tutta l’OCSE, rispetto ai 3,2 punti percentuali dei giovani uomini.
 
Tra la fine del 2020 e la fine del 2022 si è assistito ad un forte recupero dell’attività economica che ha avuto la conseguenza di aumentare in media i tassi dell’occupazione femminile del 3.2% e quella maschile del 2.7%. In alcuni Paesi (Cile, Estonia, Finlandia, Giappone, Corea, Lettonia e Polonia) la crescita ha riguardato soprattutto le donne, mentre in altri (Costa Rica, Grecia, Islanda e Norvegia) la ripresa ha riguardato principalmente gli uomini. Mediamente, nei Paesi OCSE, la situazione ha raggiunto dei risultati migliori di quelli pre-pandemici, spesso con miglioramenti leggermente più evidenti nell’occupazione femminile; in particolare, questa crescita occupazione ha coinciso con uno spostamento verso posti di lavoro di migliore qualità.
 
Per quanto riguarda la seconda crisi, conseguente all’attacco armato russo, si stima che circa 12 milioni di persone siano sfollate in Ucraina e all’estero e si calcola che almeno il 70% dei rifugiati ucraini all’estero siano donne. Nell’analisi di questa crisi, le autrici e gli autori si concentrano sulle sfide intersezionali delle donne ucraine rifugiate. Infatti, le donne ucraine presentano tre fattori che potenzialmente potrebbero penalizzarle: sono donne, sono immigrate e sono vittime di migrazione forzata. Le sfide connesse al genere, all’immigrazione e alla migrazione forzata si intrecciano tra loro e, alcune volte, si rafforzano a vicenda. Dal canto loro, però, le donne ucraine presentano alcune caratteristiche che potrebbero rendere più facile il loro inserimento nel paese di destinazione. Infatti, presentano dei profili che le aiutano a trovare un impiego e sono state in grado di sfruttare le reti già esistenti nei Paesi in cui si sono trasferite. I primi dati sull’inclusione nel mondo del lavoro hanno dimostrato che le donne ucraine sono entrate con più facilità nel mercato del lavoro, trovando un’occupazione più rapidamente di quanto non avvenga per le altre donne immigrate. La rapidità con cui è stato trovato un impiego è da spiegarsi con il fatto che la maggior parte di questi lavori sono lavori poco qualificati. È quindi necessario -anche rispetto alle altre donne immigrate- che si attuino misure di integrazione mirate e sensibili al genere per garantire il successo della loro integrazione nel mercato del lavoro a livelli adeguati alle competenze.
 
La crisi da Covid-19, insieme a quella conseguente all’aggressione russa in Ucraina, ha messo sotto pressione le famiglie, prima per l’interruzione delle catene di approvvigionamento, poi per l’aumento dei costi dell’energia e dei beni alimentari e di prima necessità, con un salario nominale che è rimasto perlopiù lo stesso. Anche in questo caso, le donne hanno percepito con più violenza la forte inflazione che n’è conseguita: infatti, avendo le donne in genere redditi più bassi, hanno anche maggiori probabilità di conoscere la povertà. In Europa sono molto più numerose le donne degli uomini che non hanno potuto pagare le bollette; situazione che si è maggiormente aggravata dopo l’aggressione russa.
 
Analizzando in questo modo le crisi, risulta sempre più evidente che è fondamentale che i diversi Paesi attuino misure affinché il mercato del lavoro sia forte ed inclusivo e per fare ciò è necessario adottare azioni che tengano in considerazione l’elemento di genere. Per fare ciò è importante che le donne siano coinvolte in tutti i processi decisionali cosicché le conoscenze e le esperienze della metà della popolazione sottorappresentata siano alla base di nuovi strumenti per fronteggiare le prossime sfide.
 

Francesca Valente

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena

@valentefranc

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