Il Whistleblowing è legge

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Il giorno 15 novembre 2017 la Camera dei Deputati ha espresso il suo sì definitivo alla legge che introduce in Italia il c.d. whistleblowing, termine anglosassone traducibile letteralmente come soffiatore di fischietto per indicare metaforicamente il ruolo di arbitro o di poliziotto assunto da chi richiama l’attenzione su attività non consentite affinché vegano bloccate. Whistleblower, invece, è la persona che lavora in un’impresa o in un ente e che denuncia illeciti commessi al suo interno, riportandoli alle autorità competenti o all’opinione pubblica o anche alla stessa organizzazione se sono previsti meccanismi per raccogliere queste segnalazioni. Tuttavia, nella terminologia giuridica italiana il concetto che in inglese è denominato whistleblower è reso con autore di segnalazioni di reati o irregolaritào in alternativa autore di segnalazioni di illeciti, mentre whistleblowing diventa segnalazione di illeciti. Pertanto, ci si chiede se ora che abbiamo una legge in materia sia ancora giusto parlare di whistleblowing anziché privilegiare la terminologia italiana.

Passando all’analisi del testo di legge, fin da subito è possibile notare la struttura tripartita della disposizione. Infatti, il testo si compone di soli tre articoli: l’art. 1 tutela il dipendente pubblico che segnala illeciti; l’art. 2 si riferisce al settore privato; l’art. 3 fa riferimento alla segnalazione di illeciti come giusta causa di rivelazione di un segreto

 

Settore Pubblico

 

L’art. 1 modifica l’art. 54-bis del Testo unico del pubblico impiego (D.Lgs n. 165 del 2001) rubricato “tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”. La nuova disciplina stabilisce, anzitutto, che il dipendente che –  nell’integrità della P.A. – segnali al responsabile della prevenzione della corruzione dell’ente o all’ANAC o all’autorità giudiziaria le condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza «in ragione del rapporto di lavoro», non possa essere – per motivi collegati alla segnalazione – soggetto a sanzioni, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altre misure organizzative che abbiano effetto negativo sulle condizioni di lavoro. L’eventuale adozione di misure discriminatorie va comunicata dall’interessato o dai sindacati all’ANAC che a sua volta provvede a dare comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica e agli altri organismi di garanzia. In ogni caso, qualora a seguito dell’istruttoria dell’ANAC venga accertata l’adozione di misure discriminatorie da parte della P.A., la prima provvederà ad applicare al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 Euro. Altresì, qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, si applica al responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 Euro.

 

Ad ogni modo, ricade sulla P.A. l’onere di provare che le misure adottate nei confronti del segnalante siano motivate da ragioni estranee alla segnalazione. Qualora questo non venga dimostrato, gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dalla P.A. sono nulli e il segnalatore, in caso di licenziamento, ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro, al risarcimento del danno e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti dalla data di licenziamento fino a quella di reintegrazione. Le suddette tutele, invece, non sono garantite nel caso in cui sia stata accertata – anche con sentenza di primo grado – la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione, ovvero la responsabilità civile nei casi di dolo o colpa grave.

A tale forma di tutela ad effetto ripristinatorio, se ne affianca un’altra a carattere preventivo, predisposta al fine di evitare che sia resa pubblica l’identità del denunciante.

Per realizzare questa forma di tutela è stato sancito un generale divieto di rivelare l’identità del segnalante l’illecito in ogni tipologia di procedimento, sia esso disciplinare, penale o contabile.

Di regola, l’identità del lavoratore non assume rilevanza qualora il procedimento disciplinare riguardi un addebito formulato per fatti dallo stesso segnalati, ma accertabili anche tramite elementi oggettivi in possesso dell’amministrazione. Diversa è l’ipotesi in cui la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, su condotte denunciate dal dipendente. In tal caso, la segnalazione dà origine ad un procedimento disciplinare solo se il dipendente accetti di rendere noto il proprio nominativo, al fine di consentire l’instaurazione di un contraddittorio con l’incolpato che, per difendersi dalle accuse ricevute, deve necessariamente conoscerne la fonte. Nell’ambito di un procedimento penale, invece, l’identità del segnalante è coperta in relazione e nei limiti del segreto degli atti d’indagine di cui all’art. 329 del codice di procedura penale, mentre nei procedimenti davanti la Corte dei Conti rimane soggetta a segretezza fino alla fine della fase istruttoria.

La riservatezza in merito all’identità del segnalante è comunque sottratta sine die all’accesso amministrativo previsto dagli articoli 22 e ss. della legge n. 241 del 1990. Pertanto, il documento non può essere oggetto di visione né di estrazione di copia da parte di richiedenti.

Infine, occorre precisare che non sono in alcun modo prese in carico segnalazioni effettuate in forma anonima.

 

Settore Privato

 

La principale novità riguarda l’articolo 2 della disposizione di legge in esame, riferito alla tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato. In particolare, è prevista l’introduzione di tre nuovi commi all’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001.

Il comma 2-bis prevede, in riferimento ai modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati, un dovere in capo a chi riveste funzioni di direzione dell’ente e a chi è sottoposto alla vigilanza di quest’ultimo, nonché a chi collabora a qualsiasi titolo con l’ente, di presentare segnalazioni di illeciti attraverso uno o più canali idonei a garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e la modalità informatica del canale è uno strumento necessario per la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante. Inoltre, si chiarisce che le segnalazioni devono fondarsi su elementi di fatto che siano “precisi e concordanti”.

A tal proposito, considerato lo spirito della norma – che è quello di incentivare l’emersione dei fenomeni corruttivi nelle aziende e nelle amministrazioni pubbliche – ad avviso dell’Autorità non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell’autore degli stessi, essendo invece sufficiente che il dipendente, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si sia verificato un fatto illecito nel senso sopra indicato. In questa prospettiva, è opportuno che le segnalazioni siano il più possibile circostanziate e offrano il maggior numero di elementi al fine di consentire all’amministrazione di effettuare le dovute verifiche.

Il comma 2-ter prevede che l’adozione di eventuali misure discriminatorie nei confronti dei soggetti segnalanti possa essere oggetto di denuncia all’Ispettorato nazionale del lavoro.

Il comma 2-quater, invece, riprende quanto già stabilito nel settore pubblico in merito all’onere in capo al datore di lavoro di provare che le misure adottate nei confronti del segnalante siano estranee alla segnalazione e alla nullità di tutti gli atti ritorsivi e/o discriminatori.

 

Segnalazione di illeciti come giusta causa di rivelazione di un segreto

 

L’art. 3, introdotto nel corso dell’esame al Senato, introduce come giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio (ex art. 622 c.p.) del segreto professionale (ex art. 622 c.p.), del segreto scientifico e industriale (ex art. 623 c.p.) nonché di violazione dell’obbligo di fedeltà all’imprenditore da parte del prestatore di lavoro (ex art. 2105 c.c.) il perseguimento, da parte del dipendente pubblico o privato che segnali illeciti, dell’interesse all’integrità delle amministrazioni (sia pubbliche che private) nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.

La giusta causa opera come scriminante, nel presupposto che vi sia un interesse pubblico preminente, da intendersi come interesse oggettivo dell’ente e non soggettivo dell’imprenditore.

Si rammenta che la Corte costituzionale (sent. n. 5 del 2004) nonché la giurisprudenza di merito (Trib. Napoli, sent. n. 1238 del 2003) afferma che affinché sussista la giusta causa della rivelazione di segreti professionali è necessario che sussista un interesse positivamente valutato sul piano etico-sociale, proporzionato a quello posto in pericolo dalla rivelazione del segreto, e che la rivelazione costituisca l’unico mezzo per evitare il pregiudizio dell’interesse riconoscibile in capo all’autore della stessa.

Viceversa, qualora la divulgazione del segreto d’ufficio avvenga con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito, continua a sussistere la fattispecie di reato a tutela del segreto d’ufficio, non trovando applicazione la giusta causa.

 

Conclusioni – È evidente che la disposizione approvata tenta di apprestare una prima tutela al fenomeno della segnalazione di illeciti, senza però riuscire a raggiungere i risultati di altre legislazioni, in primis quella degli Stati Uniti, dove è possibile trovare una normativa settoriale con una molteplicità di leggi concernenti il settore pubblico e privato. La principale differenza consiste essenzialmente nell’assenza da parte del legislatore italiano dell’introduzione di qualsivoglia forma di un whistleblower award, vale a dire di un riconoscimento di tipo premiale che va dal 10% al 30% di quanto riscosso, qualora l’azione intrapresa dall’Autorità investigativa si concludesse con la comminazione di una sanzione pecuniaria superiore al milione di dollari. Tale sistema di incentivazione prevede l’istituzione di un fondo finanziato dalle sanzioni pecuniarie comminate, senza oneri a carico dello Stato.

 

Andrea Carbone

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo – ADAPT

@AndreCarbons

 

Lorenza Di Paolo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo – ADAPT

 @lorenza_paolo

 

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