Il riformismo non può consistere di proposte di legge pensate a tavolino

Gino Giugni era prima di tutto una persona «di grande onestà intellettuale. Suscitava in tutti noi grande fiducia. Era credibile, determinato e tenace». Carlo Azeglio Campi ricorda così «il suo» ministro del Lavoro nel 1993. Lo fa rileggendo alcuni passi del libro «Socialismo, l’eredità difficile», scritto da Giugni nel 1996: «Il riformismo non può consistere di proposte di legge pensate a tavolino. Se il riformismo non ha premesse culturali chiare, può diventare uno strumento di scambio per baratti facili, e a volte anche ineguali. Un riformismo che non sia radicato su una conoscenza del Paese e dei suoi problemi scende al basso profilo e al piccolo cabotaggio».

Tutta la seconda parte dell’accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993, quella sui diritti del lavoro «è sua, è opera di Gino».

Un uomo «che ha saputo combattere mille battaglie senza faziosità, anteponendo sempre l’interesse generale».

Il governo si era insediato il 29 aprile. Appena due mesi Ciampi giocava la partita più impegnativa. «Il 29 giugno andai al 12° Congresso della Cisl, con la quasi assoluta certezza che i sindacati e la Confindustria non erano disponibili a firmare l’accordo sul costo del lavoro. Nel pomeriggio l’intesa sembrò quasi sfumare. Si prospettava un rinvio a settembre». Tre mesi, un’eternità «perché i mercati finanziari avevano riposto fiducia in quella trattativa, ne avevano percepito la rilevanza». La posta in gioco era alta e ambiziosa: «Sradicare dai meccanismi di formazione dei prezzi quella che era stata negli ultimi vent’anni la causa maggiore dell’elevata inflazione», vale a dire le indicizzazioni, gli automatismi, la scala mobile. «Un mancato accordo avrebbe provocato l’arresto e l’inversione della tendenza alla riduzione dei tassi di interesse: condizione essenziale per cominciare a rendere meno gravoso l’onere del debito pubblico. Ecco perché quell’accordo andava firmato, subito, prima dell’estate».

Il giorno successivo la situazione parve precipitare in modo irreversibile. Il testo della bozza presentata alle parti sociali «fu oggetto di proposte di modifica da parte dei sindacati e della Confindustria tra di loro inconciliabili. Uscii da Palazzo Chigi a notte fonda. Alcuni giornalisti mi chiesero: presidente allora getta la spugna? Risposi: sono preoccupato ma al tempo stesso deciso a non mollare. Non potevo accettare l’idea che un’intesa di così enorme importanza per l’intera collettività fallisse quando orami era maturata in tutti la consapevolezza di una politica dei redditi fondata su un ampio concerto tra il governo e le parti sociali, che avesse come primo obiettivo quello della stabilità dei prezzi. Volli quell’accordo con tutte le mie energie, e Gino fu costantemente al mio fianco»…

 

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