Il mio ricordo di Bruno Trentin

Il 23 agosto 2007 moriva a Roma Bruno Trentin per i postumi di una caduta in bicicletta mentre trascorreva qualche giorno di vacanza in una località montana che tanto amava. Che può dire in sua memoria uno, come il sottoscritto, che ha avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo e di lavorare con lui per anni prima alla Fiom, poi in Cgil?

Trentin è stato sicuramente una delle personalità più apprezzate e stimate – non solo nel sindacato, nella politica e nella sinistra – della seconda metà del secolo scorso. In parole povere, vista la statura intellettuale, etica e politica che esprimevano gli appartenenti a quelle generazioni, Bruno Trentin oggi ci appare come un gigante tra i giganti. E la sua statura intellettuale è tanto più elevata se osservata dall’angolo di visuale della pochezza delle generazioni attuali. Una personalità di grande spicco, non c’è dubbio. Per certi versi un predestinato.

Suo padre, Silvio, combattente della prima guerra mondiale, eletto deputato nel 1919 per il Blocco democratico, fu uno dei pochi professori universitari (ed uno dei più importanti studiosi del diritto amministrativo e del federalismo) che si rifiutarono di giurare fedeltà al Fascismo. Per questa ragione, nel 1926, prese la via dell’esilio in Francia, dove rimase fino al 1943. In terra straniera continuò la sua attività politica che lo vide tra i fondatori del movimento “Giustizia e libertà”. La sua libreria a Tolosa (la famosa “la Librairie du Languedoc”) divenne un importante punto di riferimento per gli antifascisti. Rientrato in Italia, venne arrestato dalla polizia fascista il 19 novembre 1943. Liberato poco dopo, malato di cuore si spense il 12 marzo 1944.

Bruno Trentin nacque – appunto nel 1926 – durante l’esilio del padre a Pavie in Guascogna. Il francese fu la sua lingua madre. Per anni, confessò, aveva continuato a ragionare in francese anche quando parlava in italiano. Non a caso, sono stati sempre forti i suoi legami con la classe politica e gli intellettuali francesi. Rientrato giovanissimo in Italia partecipò ad alcuni episodi della Resistenza. Fu comandante di un raggruppamento militare di “Giustizia e Libertà”. Si raccontava che, travestito da tedesco, avesse contribuito ad un’azione di commando per liberare alcuni prigionieri. Laureatosi in giurisprudenza a Padova, Trentin si era recato negli Usa per un corso di specializzazione. Al ritorno, andò a lavorare nel mitico Ufficio studi della Cgil, diretto allora da un altro grande: Vittorio Foa. Abbandonò la fede liberale ed azionista di famiglia e si iscrisse al Pci.

Alcuni anni dopo, divenuto responsabile dell’Ufficio studi e vice segretario confederale, fu promotore di una fase di importante vivacità intellettuale della Cgil che preparò, sul piano culturale, la svolta seguita alle sconfitte della metà degli anni cinquanta. Poi, andò a dirigere all’inizio degli anni sessanta la Fiom in condominio con il socialista Piero Boni (un’altra grande personalità di quell’epoca). Il successo nel rinnovo contrattuale del 1963 gli procurò una trionfale elezione alla Camera in Puglia (allora non c’era l’incompatibilità), grazie al voto dei braccianti. Ma la grande stagione di Trentin coincise con l’autunno caldo del 1969 e con la conclusione di quello straordinario contratto di lavoro che cambiò la storia dell’Italia. Certo, Bruno ebbe dei partner eccezionali nei leader delle altre organizzazioni (Pierre Carniti, della Fim-Cisl, e Giorgio Benvenuto della Uilm-Uil). Ma il suo ruolo fu decisivo…

 

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