Il mio canto libero – Pubblico impiego: rinnovo o novazione contrattuale?

Bollettino ADAPT 11 novembre 2019, n. 40

 

La legge di Bilancio ha disposto un oneroso accantonamento per il rinnovo contrattuale dei pubblici dipendenti. Come al solito, le risorse sono giudicate insufficienti dalle organizzazioni sindacali e invero la probabile scelta di una spalmatura egualitaria (o quasi) su tutti darà luogo ad aumenti modesti che lasceranno insoddisfatte tanto le aspettative dei lavoratori quanto le esigenze di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Eppure, le nuove tecnologie digitali potrebbero determinare una profonda reingegnerizzazione non solo dei procedimenti (quale avrebbe dovuto produrre l’informatizzazione) ma delle stesse funzioni fondamentali dello Stato. Basta osservare la trasformazione delle banche tradizionalmente considerate come i modelli aziendali più prossimi alle strutture pubbliche. Certo, anche l’attuale governo ribadisce la volontà di una diffusa digitalizzazione degli enti e dei ministeri ma con modalità assolutamente separate dal coinvolgimento dei dipendenti pubblici che pure dovrebbero garantirne l’efficacia attraverso processi di vera formazione e adeguati incentivi retributivi. Ha senso quindi ripetere il tradizionale rito dei contratti nazionali di comparto o non sarebbe più utile un robusto ripensamento delle relazioni collettive di lavoro nello Stato?

 

Nella dimensione centralizzata, che tutti considera uguali, sarebbe forse più opportuno un accordo cornice per tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, dedicato a formulare i criteri generali del cambiamento, una nuova struttura della retribuzione, il diritto all’apprendimento ed il concreto avvio del tanto atteso welfare complementare già diffuso nel lavoro privato. La vera contrattazione dovrebbe invece realizzarsi nei singoli enti in modo da favorire lo scambio tra la condivisione dei nuovi assetti organizzativi, i corrispondenti inquadramenti dei lavoratori in poche aree funzionali, la garanzia di percorsi di professionalizzazione, gli aumenti salariali alimentati non solo dal fondo a bilancio ma anche dalle economie generate da risultati misurabili. È ben vero che in passato la contrattazione decentrata si è caratterizzata per accordi viziati dalla ricerca del facile consenso attraverso generose erogazioni che hanno incrementato il debito sommerso di molte amministrazioni.

 

Oggi sono tuttavia disponibili strumenti idonei a controllare tanto i flussi finanziari secondo la tradizionale contabilità pubblica quanto la spesa per personale di ogni ente secondo i criteri della contabilità economica analitica per ciascun centro di costo. Ne soffrirà il vecchio egualitarismo “a prescindere” ma ne guadagnerà il circolo virtuoso della emulazione delle buone pratiche ed una autentica rivalutazione dei civil servants. D’altronde, ha senso immaginare distribuzioni a pioggia tanto nel servizio sanitario di una Regione efficiente quanto in quello ove gli amministratori insistono a non voler razionalizzare l’offerta ospedaliera per sviluppare i servizi territoriali e le organizzazioni sindacali rifiutano i corrispondenti processi di mobilità? E, in ogni caso, la declinazione dei modi migliori con cui impiegare le nuove tecnologie ed attuare la correlata formazione si realizza solo in prossimità.

 

Ovviamente, questo radicale cambiamento deve essere in primo luogo proposto dal buon datore di lavoro che troppo spesso nella dimensione pubblica è stato del tutto assente. Forse, più del burocratico mandato all’Aran, servirebbe in questo passaggio storico un negoziato direttamente gestito dal governo per produrre innovazioni radicali nel merito e nel metodo.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

 

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