Il mio canto libero – A vent’anni dalla legge Biagi, la transizione incompiuta

Bollettino ADAPT  30 gennaio 2023, n. 4
 
Siamo entrati nell’anno che tra pochi giorni ci consentirà di celebrare il ventesimo anniversario della legge giustamente intitolata a Marco Biagi. Il provvedimento fu infatti una prima traduzione degli obiettivi contenuti nel suo Libro Bianco. Michele Tiraboschi ebbe modo di ricostruirne puntigliosamente la genesi avendo collaborato ai testi prima e dopo la sua tragica morte. È ben vero che si trattava di una normativa ponte tra il vecchio assetto del nostro diritto del lavoro e il tanto auspicato Statuto dei Lavori. Ma la costruzione di un testo unico semplice e sussidiario, sostitutivo dello Statuto dei Lavoratori, presupponeva l’integrazione e la modifica delle vecchie norme da cucire poi in un nuovo impianto fatto di regole inderogabili, efficaci politiche attive per l’inclusione dei più in una società attiva, rinvio alla contrattazione, specie di prossimità, per il reciproco e duttile adattamento tra imprese e lavoratori.
 
Le date emblematiche sono utili a realizzare un bilancio dei risultati e dei limiti di quelle intuizioni e soprattutto dei percorsi istituzionali e sociali che ne sono derivati. Così avrebbe voluto lo stesso Biagi che tanto prediligeva, accanto alla conservazione dei principi, il metodo pragmatico e reversibile per verificarne la effettività nel mondo che cambia.
 
Egli era un inguaribile ottimista sostenuto dalla convinzione della antropologia positiva. Lo stesso salto tecnologico, che ebbe il merito di comprendere nel suo geometrico sviluppo, avrebbe potuto rappresentare lo strumento della promozione umana se adeguatamente governato soprattutto dagli attori sociali. Lo stesso esaurirsi delle tradizionali tutele con il superamento della seconda rivoluzione industriale avrebbe infatti potuto aprire la strada a una società più inclusiva se alimentata da moderne modalità di potenziamento delle capacità delle persone.
 
Dopo vent’anni non si tratta di riflettere formalisticamente sulle tipologie contrattuali che pure rappresentarono il contenuto dominante della riforma ma di comprenderne le potenzialità sostanziali. La preveggenza del moderno lavoro “agile” per obiettivi attraverso il lavoro a progetto, la intuizione della integrazione tra apprendimento teorico e pratico attraverso l’apprendistato per il conseguimento di qualifiche, diplomi e titoli “terziari” o la istituzione di uffici di placement nelle scuole e nelle università, l’omologazione dei diritti dei lavoratori nei modelli organizzativi fondati sulla specializzazione e quindi nelle esternalizzazioni e negli appalti, l’auspicio di una minore conflittualità grazie all’istituto della certificazione, la volontà di includere i disabili mediante il lavoro nelle cooperative sociali dedicate, la osservazione degli spezzoni lavorativi e la ricerca dei modi di sottrarli alla irregolarità, costituiscono tuttora un giacimento dal quale estrarre soluzioni per il presente e il futuro.
 
Le contraddizioni che segnano gli attuali mercati del lavoro sono la conseguenza di una transizione incompiuta. Come dice il messaggio evangelico, non si può mettere il vino nuovo negli otri vecchi perché la forza del cambiamento, inevitabilmente, li rompe.
 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSaccon

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