Il lavoro minorile e l’attività ispettiva

Una convinzione ormai diffusa fa coincidere il livello di civiltà raggiunto da un Paese con l’effettiva tutela riservata al lavoro svolto dai bambini e dagli adolescenti: infatti, se tale acquisizione appare ormai pacifica almeno nei Paesi occidentali, è sufficiente retrodatare le lancette del tempo alla fine del XIX secolo per individuare una situazione sociale – ben descritta, in Italia, da Giovanni Verga nella sua novella Rosso malpelo – in cui il lavoro minorile, oltre a non essere destinatario di alcuna specifica disciplina, soffriva anche di un trattamento normativo e retributivo dimezzato rispetto al lavoro maschile, al cospetto del quale veniva considerato qualitativamente inferiore.

 

L’impianto normativo di tutela del minore

 

Le direttrici su cui la normativa italiana ha strutturato il lavoro minorile attengono essenzialmente alla tutela della persona, dell’incolumità fisica ed economica del minore, con valorizzazione degli aspetti retributivi, previdenziali ed assicurativi del prestatore di lavoro, predisponendo all’uopo rimedi di natura penalistica – soprattutto per i primi due profili di tutela – ed altri di tipo amministrativo, graduati in proporzione alla gravità della condotta posta in essere.

Le fattispecie di natura penale poste a salvaguardia della salute ed integrità psicofisica dei minori individuano reati contravvenzionali di pericolo a carattere permanente, in cui il valore del bene giuridico tutelato determina l’anticipazione della soglia di punibilità delle condotte alla mera minaccia di lesione, senza che sia necessario il verificarsi dell’evento.

 

La normativa di riferimento nel nostro ordinamento giuridico resta la l. 17 ottobre 1967, n. 977, modificata dal d. lgs. 4 agosto 1999, n. 345, di recepimento della direttiva comunitaria 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, a sua volta emendato dal d. lgs. 18 agosto 2000, n. 262. Alla l. n. 977 si deve ancora la summa divisio definitoria tra bambino ed adolescente, essendo il primo un minore di età inferiore agli anni 15, ovvero ancora soggetto all’obbligo scolastico, ed il secondo un minore di età compresa tra i 15 ed i 18 anni (art. 1, c. 2. l. n. 977 cit.). Il bambino, al netto di ipotesi particolari – partecipazione ad attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario, dietro assenso dei genitori ed autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro ed a condizione che dette attività non siano pregiudizievoli per la sua integrità psicofisica e lo sviluppo (art. 4, c. 2, l. n. 977 cit.) – non può essere adibito al lavoro, mentre l’adolescente può esserlo con l’osservanza di una disciplina particolare, che ne assicuri lo svolgimento di mansioni non eccessivamente gravose, la fruizione di riposi intermedi, giornalieri e settimanali, l’adibizione al lavoro notturno ovvero a turni di lavorazione a scacchi solo a determinate condizioni e previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.

 

Peraltro, avendo l’art. 1, c. 622, l. 27 dicembre 2006, n. 296 previsto che l’istruzione obbligatoria debba necessariamente ricoprire un decennio di studio, l’età minima di ammissione al lavoro è stata innalzata, con decorrenza dall’anno scolastico 2007/2008, a 16 anni, salve alcune ipotesi di collaborazione per minori di età inferiore.

 

In ogni caso, l’adolescente ed il minore, oltre a non essere occupabili in lavorazioni e/o processi lavorativi che potrebbero minare la loro integrità psicofisica, devono essere sottoposti ad una visita medica preventiva e periodica – a cadenza annuale – che ne verifichi l’iniziale e la perdurante idoneità al lavoro. Altresì, la l. n. 977 cit. disciplina una serie di obblighi di informazione dell’adolescente, per il tramite degli esercenti la potestà genitoriale, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, la cui inosservanza genera una responsabilità di tipo penale al datore di lavoro.

L’ipotesi classica di inserimento del minore nel contesto lavorativo, che riesce a combinare le esigenze formative – di tipo scolastico e professionale – con il mercato del lavoro, è costituita dall’apprendistato, attualmente disciplinato dal d. lgs. 14 settembre 2011, n. 167, il quale prevede, mediante il contratto per la qualifica ed il diploma professionale, il conseguimento di un titolo di studio, costituendo l’unico contratto di lavoro con cui è assolvibile il predetto obbligo decennale di istruzione.

 

Meritano infine menzione, in questa panoramica del lavoro minorile nell’ottica ispettiva, gli artt. 18, c. 1 e 2, d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e 603bis c.p., introdotto dal d.l. 13 agosto 2001, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148, riguardanti le ipotesi aggravate dall’impiego di minori, rispettivamente, nella somministrazione e nell’intermediazione caratterizzata da sfruttamento, in cui la condotta antigiuridica posta in essere, consistente nella somministrazione di lavoro svolta al di fuori dei presupposti normativi ovvero nell’intermediazione di manodopera in regime di sfruttamento, è aggravata dalla circostanza per cui i soggetti passivi del reato, i lavoratori somministrati ed intermediati, sono minori.

 

La vigilanza ispettiva

 

Nel delineato panorama normativo volto a salvaguardare il lavoro dei minori, trova ragion d’essere l’attività di vigilanza di tipo sanzionatorio svolta dalle Direzioni territoriali del lavoro, ai sensi dell’art. 29 della legge n. 977/1967. L’ispezione del lavoro minorile, come evidenziato da un pregevole Manuale dell’O.I.L. ad uso degli ispettori del lavoro (ILO, Lotta al lavoro minorile. Manuale per gli ispettori del lavoro, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2007), non è semplicemente una questione di ottemperanza o meno alle leggi, con una sanzione automatica per chi non le rispetta. In tale tipo di vigilanza, bisogna fare appello al proprio ruolo di consulenza/assistenza, ricorrendo a un approccio maggiormente orientato al rispetto delle leggi solo se necessario. Il Manuale suggerisce di preparare l’ispezione con studi di mappatura e/o profilo per identificare luoghi e settori dove si concentrano i bambini lavoratori, al fine di agevolare l’identificazione degli obiettivi e la raccolta di informazioni fondamentali sui minori e i settori nei quali sono impiegati.

 

 

I mezzi di ricerca della prova

 

I due strumenti probatori di cui dispone l’organo ispettivo consistono nell’acquisizione di dichiarazioni delle persone informate sui fatti e nell’esame della documentazione. Il primo strumento d’indagine è normalmente esercitato in costanza di accesso sul luogo di lavoro ed è utilizzato per raccogliere le dichiarazioni dei minori rinvenuti in attività lavorativa. Come prescritto dal Codice deontologico ispettivo (art. 12, c. 8), tali dichiarazioni dovranno essere oggetto di riscontri sia con altre dichiarazioni, di ulteriori lavoratori e/o del datore di lavoro, sia con l’analisi della documentazione aziendale, tra cui spicca il libro unico del lavoro, dove particolare attenzione è dedicata all’orario di lavoro osservato dal minore e maggiormente ai riposi. Tuttavia, la documentazione da visionare consiste anche nei documenti afferenti alle visite mediche di idoneità al lavoro, ed in generale quelli riguardanti la regolare assunzione dei minori.

Come puntualmente evidenziato in dottrina, l’accesso ispettivo e l’acquisizione delle dichiarazioni dai lavoratori minori richiedono un quid pluris di attenzione e sensibilità da parte dell’ispettore, rispetto a quelle generalmente osservate con riguardo ai lavoratori adulti. In tal senso, il personale ispettivo dovrebbe aver cura di acquisire le dichiarazioni del minore in modalità tali che consentano al medesimo di comprendere l’utilità dell’intervento ispettivo, per la sua condizione di vita e per le caratteristiche del suo lavoro. Anche le domande rivolte al minore dovrebbero essere espresse con termini semplici, chiari e privi di qualsiasi tecnicismo.

A seguito del positivo compimento dell’opera di ricerca delle fonti di prova, il personale ispettivo deve applicarsi nell’effettuazione degli atti formali di accertamento.

 

Gli atti accertativi

 

Gli strumenti accertativi utilizzabili dal personale ispettivo variano secondo il tipo di tutela accordata dalla legge al lavoro minorile. In particolare alla tutela di natura penale si associano i tipici atti della prescrizione (art. 15 d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124), ove ammissibile, e della comunicazione di notizia di reato ai sensi dell’art. 347 c.p.p.. Alla tutela di natura amministrativa si connettono gli atti contemplati nell’art. 13 d.lgs. n. 124 cit. della diffida e del verbale unico – che può sfociare nell’ordinanza-ingiunzione ex 18 l. 24 novembre 1981, n. 689 ove i contegni datoriali diffidati vengano disattesi – laddove all’esterno del procedimento sanzionatorio si colloca la disposizione, disciplinata dall’art. 14 d.lgs. n. 124 cit..

 

Per quanto riguarda la tutela penale, la prescrizione costituisce l’istituto agevolativo ed incentivante che consente un’immediata estinzione del procedimento penale secondo la procedura stabilita negli artt. 20 ss. d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758. Essa è applicabile qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola ammenda. Mediante la prescrizione l’ispettore richiama la norma violata imponendo genericamente il ripristino della situazione di legalità – per esempio, facendo cessare l’attività lavorativa del minore per il quale non sia stato rispettato il limite minimo di età all’ammissione al lavoro – ovvero impartendo indicazioni specifiche in merito al comportamento che il contravventore deve tenere ai fini del recupero del bene leso, ad esempio imponendo la visita medica di idoneità al lavoro, omessa dal datore di lavoro. Per le violazioni penali in materia di lavoro dei minori, lo strumento in parola è utilizzabile nella grande maggioranza dei casi, essendo residuali le fattispecie punite con la sola pena dell’arresto, tra cui spicca l’adibizione al lavoro del minore nonostante la sua inidoneità fisica attestata con visita medica, ipotesi per la quale è previsto l’arresto fino a 6 mesi (art. 26 l. n. 977 cit.). Ove la prescrizione non sia utilizzabile, l’ispettore, nella sua qualità di ufficiale di Polizia giudiziaria, deve procedere direttamente alla formale comunicazione della notizia di reato all’Autorità giudiziaria, a norma dell’art. 347 c.p.p..

 

In ordine alla tutela di tipo amministrativo, bisogna in primo luogo evidenziare le ipotesi nella quali sono configurabili violazioni amministrative punite con sanzioni pecuniarie: in tali fattispecie, infatti, trova applicazione la disciplina sul procedimento sanzionatorio amministrativo di cui alla l. n. 689 cit. ed al d.lgs. n. 124 cit., che, in sintesi, prevedono la stesura del verbale di accesso, del verbale unico di accertamento e notificazione che contiene la diffida – laddove possibile – con ammissione del trasgressore al pagamento della sanzione ridotta. Nel lavoro minorile la diffida risulta praticamente inapplicabile nella generalità dei casi, salva l’ipotesi di violazione dell’obbligo datoriale di comunicare al lavoratore ed ai titolari della potestà genitoriale il giudizio sull’idoneità o sull’inidoneità parziale, temporanea o totale, al lavoro (art. 8, c. 6, l. n. 977 cit.): solo in tal caso, invero, è riscontrabile un inadempimento materialmente sanabile ai sensi dell’art. 13, c. 2, d.lgs. n. 124 cit..

 

Al di fuori del procedimento sanzionatorio amministrativo, un ulteriore atto accertativo che l’organo di vigilanza può utilizzare è la disposizione: trattasi di un provvedimento di esclusiva competenza dell’ispettore del lavoro, attraverso il quale è impartito, secondo un apprezzamento discrezionale, un ordine diretto all’applicazione di norme comunque obbligatorie. Sotto un profilo sistematico, è stato evidenziato che la disposizione impone al datore di lavoro un obbligo nuovo, che viene a specificare quello genericamente previsto dalla legge.

 

Un caso di impiego della disposizione attiene all’ipotesi normativa di inadempimento datoriale dell’obbligo formativo nel contratto di apprendistato, prevista dall’art. 7, c. 1, d.lgs. 167 cit.. Nondimeno, la dottrina ha ipotizzato il ricorso alla disposizione anche nelle seguenti ipotesi:

– concessione di un riposo superiore alle 14 ore consecutive al minore che ha prestato lavoro notturno in deroga (art. 17, c. 1, l. n. 977 cit.), in cui l’esercizio del potere dispositivo creerebbe l’obbligo datoriale di concedere al minore un riposo superiore a quello previsto dalla legge;

– concessione di un riposo intermedio superiore all’ora minima legale al minore il cui orario di lavoro supera le 4 ore e mezza (art. 20, c. 1, l. n. 977 cit.), in cui il potere ispettivo aggraverebbe la posizione del datore di lavoro, con la concessione di un riposo intermedio più ampio di quello normativamente imposto.

 

Naturalmente, in caso di minore occupato in “nero”, alla predetta tutela specifica si aggiungerebbe quella generica prevista per il lavoro sommerso, con le tipiche conseguenze delle sanzioni amministrative, tra cui la c.d. maxisanzione, e del provvedimento di sospensione di cui all’art. 14 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ove ne ricorrano i presupposti.

 

Giovanna Carosielli

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@GiovCarosielli

 

Carmine Santoro

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@carminesantoro

 

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