Garanzia giovani, perché non funziona

La disoccupazione giovanile continua a crescere, soprattutto fra le donne. Due mesi fa ha preso avvio il programma «Garanzia giovani», cofinanziato dall’Unione europea, il cui obiettivo è proprio quello di aiutare chi ha meno di 29 anni a inserirsi nel mondo del lavoro. Otto settimane non bastano certo a produrre risultati concreti. E però lecito chiedersi a che punto siamo e che cosa possiamo aspettarci da questa ambiziosa iniziativa. Quasi 100 mila giovani si sono già iscritti al portale Internet e molti sono stati anche intervistati dai servizi per l’impiego. La vera sfida comincia adesso.

La «Garanzia» prevede infatti che entro quattro mesi il disoccupato riceva una proposta concreta di inserimento. Sul portale si legge che le aziende per ora hanno segnalato circa 2 mila occasioni di lavoro: un numero davvero esiguo, anche tenendo conto della crisi. Bisogna migliorare con urgenza i flussi informativi sulle posizioni vacanti in tutti i settori dell’economia.

Il compito di attuare la «Garanzia» spetta alle Regioni. Quelle del CentroNord (in parte anche la Puglia) sembrano sulla buona strada. Lombardia, Toscana e Lazio hanno già incontrato più di un terzo dei loro iscritti. Le Regioni del Mezzogiorno sono invece quasi ferme. E ciò che sta accadendo solleva, purtroppo, più di una preoccupazione. Nel piano di spesa della Sicilia, ad esempio, quasi due terzi dei 178 milioni di euro disponibili verranno destinati all’«accoglienza» e alla formazione, solo il 6 per cento ad attività concrete come l’apprendistato. Per quest’ultima voce («già incentivata da altre leggi») la Sardegna non prevede neppure un euro, mentre abbonda in sussidi a formatori e mediatori. La Calabria dal canto suo ha appena chiuso un bando per 50o tirocini con modalità di selezione che rischiano di riprodurre sotto nuove spoglie le tradizionali logiche clientelari.

Dati questi segnali, vi è un’alta probabilità che la «Garanzia» fallisca proprio nelle aree del Paese dove è più necessaria. Invece di innescare dinamiche virtuose nei mercati del lavoro del Mezzogiorno, le risorse europee rischiano di alimentare, come in passato, il sottosviluppo assistito. Bruxelles è preoccupata e non ha ancora formalmente approvato il piano italiano: non una bella figura per il Paese che più aveva insistito per mobilitare i fondi Ue e che ora detiene la presidenza di turno.

Per evitare il fallimento, il governo deve attivarsi subito su almeno due fronti. Innanzitutto imponendo alle Regioni il rispetto di criteri minimi di trasparenza ed efficacia nella fornitura dei servizi (costi standard, pagamento sulla base dei risultati, apertura alle agenzie del lavoro private e così via). In secondo luogo, collegando la «Garanzia giovani» in modo più diretto al mondo delle imprese. Occorrono incentivi, accordi, politiche di livello nazionale. Nel Mezzogiorno ciò significa attrarre investimenti, avviare una seria politica per il turismo e per i servizi, in modo da facilitare anche iniziative dal basso di autoimpiego e di start-up. Un’opportunità concreta di mettersi in gioco nel mercato, in base alle proprie capacità e ai propri talenti: questa è la vera «garanzia» che dobbiamo offrire ai giovani italiani. Iniziando da quelli (troppi) che oggi non riescono a uscire con le proprie gambe dalle trappole dell’inattività, della disoccupazione e dell’assistenzialismo.

 

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