Dubbi sindacali e sociali a riguardo della nuova flat tax per gli autonomi

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Bollettino ADAPT 12 dicembre 2022, n. 43
 
La legge di bilancio 2023 introduce una modifica sostanziale per quanto riguarda il mondo del lavoro autonomo. Infatti, viene previsto l’aumento della soglia di reddito limite per partecipare al regime forfettario, la cosiddetta flat tax, da 65.000 euro a 85.000 euro.
In questa sede non si intende realizzare un’analisi tecnica della misura, ma tentare di valutare perché, da un punto di vista sociale, politico e sindacale, questa misura non rappresenti una soluzione adeguata per gli stessi lavoratori autonomi.
 
Innanzitutto per un principio di equità, in quanto genera un vantaggio netto solo per una popolazione (peraltro abbastanza limitata e minoritaria) che si situa nella fascia differenziale tra le due soglie.
Inoltre la misura fa emergere una concezione miope e ridotta del lavoro autonomo, relegando la questione alla sola dinamica fiscale, dimenticando il vero problema che si pone sul versante previdenziale ovvero le misure del welfare: infatti i lavoratori autonomi versano ormai circa il 27% del proprio reddito da lavoro all’ INPS, senza ricevere risposte adeguate in termini di tutele, a partire dalle prestazioni assistenziali in tema di maternità, malattia e ammortizzatori sociali.
Inoltre, l’innalzamento della soglia di reddito non risponde nemmeno al problema del rischio della possibile evasione per la quota di reddito marginale che supera il limite di inclusione nel regime forfettario. Mi spiego meglio.
 
La norma prevede che il regime forfettario (flat tax al 15%) può essere applicata, oltre ad altri requisiti, a quei lavoratori autonomi che non superano il reddito di 65.000 euro. Una volta superata quel limite, il lavoratore autonomo entra nel regime ordinario: per l’anno in questione solo per la quota eccedente, ma definitivamente e totalmente per l’anno successivo, senza avere la possibilità in futuro di rientrare nel regime forfettario.

Per contrastare a questa tendenza e tentazione evasiva di una parte del reddito (appunto quella eccedente i 65.000 euro), non riteniamo che la soluzione migliore sia quella di alzare ulteriormente il limite, “spostando più in là il problema”, perché la stessa dinamica, ancora più accentuata per gli effetti descritti, l’avremo comunque.
 
La vera questione sulla quale intervenire non è l’aumento del reddito limite della flat tax ma che questo superamento episodico della soglia non deve precludere la possibilità per il professionista di accedere anche l’anno successivo al regime forfettario: la ragione per la quale oggi abbiamo situazioni di “evasione” al superamento dei 65.000 euro non è per le poche centinaia di euro di imposizione fiscale che toccherà pagare in più al professionista in quell’anno di riferimento, ma perché superando quella soglia non avrebbe più accesso al 15% di imposizione in futuro.

Per questo la nostra proposta sarebbe quella di incrementare l’imposizione da 65.000 a 85.000 euro, introducendo così anche un meccanismo di progressività dell’imposta, dando però la possibilità nell’anno successivo di tornare al regime forfettario nel caso episodico e non constante di superamento del reddito limite.
 
Occorre tenere conto che il lavoro autonomo non ha una stabilità del proprio reddito, in quanto soggetto alle fluttuazioni tipiche di una attività strettamente professionale e individuale, legata anche ai periodi di fatturazione.
Per questo riteniamo che la misura non solo generi una disparità con il lavoro dipendente, ma non risponde nemmeno pienamente alle reali esigenze dei lavoratori autonomi, a partire dal fatto che dalle organizzazioni che tutelano questa categoria nulla è stato richiesto su questo versante.
 
Daniel Zanda

Presidente vIVAce CISL

@daniel_zanda

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