Diritto alla disconnessione: un diritto di nuova generazione?

Il progresso tecnologico e organizzativo incide sulle modalità di lavoro, ponendo nuove sfide alla normativa ad esso dedicata, che richiedono risposte innovative. Una delle questioni maggiormente discusse è costituita dal progressivo assottigliarsi della distinzione tra tempi di vita e tempi di lavoro che solleva numerose problematiche rispetto alla vita dei lavoratori (sul tema molteplici spunti sono offerti in What does telework mean in the 21st century? Face to face with Jon Messenger). Ad essa di recente si è tentato di dare risposta prefigurando un diritto di nuova generazione, il cd. diritto alla disconnessione.

 

Benché al centro dell’attenzione pubblica soltanto da pochi anni, in conseguenza del riconoscimento di tale diritto dapprima in alcune sperimentazioni in via unilaterale o contrattuale (es. Accordo Cinov e Syntech, in Francia) e oggi nella normativa (Loi Travail; per un commento alla quale si rinvia a Loi travail: prima analisi e lettura. Una tappa verso lo “Statuto dei lavori” di Marco Biagi?, ADAPT E-Book Series), la riflessione giuslavoristica sul tema risulta precedente, attestandosi i primi contribuiti al volgere del nuovo millennio. Già nel 2002 Jean-Emmanuele Ray parlò dell’importanza del diritto alla disconnessione, alla stregua di diritto alla vita privata del XXI secolo (J. Ray, Naissance et avis de décès du droit à la déconnexion: le droit à la vie privée du XXI siecle, Droit Social, n. 11/2002, 939 ss.).

 

Recentemente, anche il legislatore italiano si è interessato del diritto alla disconnessione, nell’ambito delle proposte legislative in tema di lavoro agile (o smart working). Dapprima all’interno del ddl 2229 (Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale) e ora nel testo licenziato dalla Commissione Lavoro del Senato del ddl 2233 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato) il legislatore si sta muovendo verso il riconoscimento di tale diritto con riferimento a questa peculiare modalità di lavoro.

 

Un’analisi dei contenuti della proposta italiana e della disciplina introdotta nell’ordinamento d’oltralpe consente di meglio valutare la natura di tali interventi, i suoi possibili sviluppi, nonché la potenziale efficacia della misura nel perseguire l’obiettivo.

 

In particolare è sulla necessità e l’efficacia della misura che è necessario interrogare le fonti: alcuni commenti, infatti, hanno già espresso posizioni di dubbio rispetto all’utilità della disposizione. A questo proposito l’analisi di Rotondi (F. Rotondi, Diritto alla disconnessione: perché vietare ciò che è già vietato?) rileva come già la normativa sugli orari di lavoro (per l’Italia, d. lgs. n. 66/2003) renda «non giuridicamente esigibile» una prestazione richiesta fuori orario e non prevista dalle regole contrattuali. Aggiunge, quindi, che la sfida si pone in primo luogo sul piano culturale e formativo, dovendosi prevedere percorsi per fornire ai lavoratori le competenze per gestire una vita interconnessa e dovendo, semmai, procedersi ad un ripensamento di alcune strutture classiche del diritto del lavoro.

 

Se l’ultima riflessione ci trova concordi, è sulla prima che occorre concentrare la riflessione. Come sottolinea il cd. rapport Mettling sulla trasformazione tecnologica del lavoro (studio commissionato dal Ministero del lavoro francese in vista della sua opera di riforma) la costruzione della competenza di disconnettersi riguarda tanto l’individuo quanto l’azione aziendale.

 

In particolare, proprio laddove la prestazione risulti maggiormente fluida e flessibile e preveda una maggiore autonomia da parte del dipendente rispetto ai propri orari di lavoro, il diritto alla disconnessione si potrà configurare come strumento utile per il passaggio ad una nuova concezione del lavoro che tenga in considerazione le necessità di riposo e di “staccare” dei lavoratori. È proprio il caso del lavoro agile, in Italia, e del forfait jour francese.

 

In entrambi i casi sono le modalità di organizzazione del lavoro e dei processi produttivi, oltre all’opera di sensibilizzazione e formazione, a poter rendere effettivo il diritto alla disconnessione. Esso, infatti, non si pone – né nella proposta italiana né nella legge francese – come un mero divieto: all’art. 16 del progetto italiano si parla di «misure tecniche e organizzative volte ad assicurare la disconnessione», mentre nella legge francese si parla di modalità di attuazione del pieno esercizio del diritto di disconnessione (art. 55, Loi Travail).

 

Il diritto alla disconnessione si configura, quindi, come un impegno nella ricerca di soluzioni ottimali perché la disconnessione sia garantita. Non è un caso che la predisposizione delle concrete risposte alla necessità di disconnessione, siano lasciate, nel rispetto del principio di sussidiarietà alle parti più vicine all’organizzazione del lavoro. Nel caso italiano si prevede che debba essere inserito nell’accordo individuale di lavoro agile. In quello francese si pone un obbligo, a determinate condizioni, di inserire il diritto alla disconnessione tra gli argomenti di contrattazione o, in assenza di accordi, di stabilire una charte; per il forfait jour è in ogni caso obbligatorio esplicitare negli accordi aziendali che lo consentono o eventualmente negli accordi individuali le modalità di esercizio di tale diritto.

 

La scelta di prevedere un diritto le cui modalità di attuazione sono lasciate aperte dalla legge e devolute alla volontà delle parti rappresenta un punto di forza: è la contrattazione che più risulta capace di rispondere alle trasformazioni del lavoro ancora in atto e alle diverse esigenze che si riscontrano in settori o in aziende differenti. D’altronde è già stato osservato come la risposta alla reperibilità costante, sia una delle sfide che si pone alle relazioni industriali di fronte al nuovo mondo del lavoro digitale (M. Maschke, Digitalisation: challenges for company codetermination).

 

Sebbene non espressamente previsto nel progetto di legge italiano, è auspicabile, pertanto, che le soluzioni relative alle modalità di regolazione del diritto alla disconnessione, e in senso più ampio dei confini tra vita privata e professionale siano gestite a livello di contrattazione, soprattutto decentrata. In questo modo sarebbe possibile incentivare realmente un’organizzazione del lavoro, che sappia al contempo incrementare la produttività, favorire il benessere del lavoratore tramite una tutela ad hoc e guardare alla trasformazione delle modalità produttive. Allo stesso tempo è opportuno che le diverse regolamentazioni adottate possano diffondersi, così da potersi fissare in buone prassi e da approfondire la riflessione sulla tematica.

 

La cultura dell’always on rappresenta un rischio intrinseco delle nuove modalità di lavoro: ma come ebbe modo di sottolineare Ray già nel 2002 è «nell’interesse stesso dell’azienda …rispettare il diritto alla disconnessione tecnica, antefatto indispensabile ad una disconnessione intellettuale» dal lavoro.

 

Il diritto alla disconnessione può configurarsi, quindi, quale utile tassello nella costruzione di un sistema di diritti di nuova generazione e di welfare moderno, capace di bilanciare e aumentare le tutele dei lavoratori rispetto alle sfide presenti e future del mondo del lavoro.

 

 

Emanuele Dagnino

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@EmanueleDagnino

 

Idapaola Moscaritolo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@idapaola

 

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