Dimissioni per fatti concludenti: quando l’inerzia del lavoratore è idonea a manifestare una volontà abdicativa

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Bollettino ADAPT 20 giugno 2022, n. 24
 
Il legislatore del 2014/2015, quello del Jobs Act (Legge 183/2014 e D.Lgs. 151/2015, in particolare articolo 26), ha aggiornato, come è noto, la disciplina delle dimissioni dal rapporto di lavoro subordinato. L’ultima novella in ordine di tempo, con il fine primario di garantire data certa e l’autenticità della manifestazione di volontà in relazione all’evento di “dimissioni”, ha sicuramente il pregio di prevenire ogni tipo di abuso e, in particolare, il fenomeno riprovevole delle c.d. “dimissioni in bianco”. Quello che sicuramente non ha messo in discussione, lo stesso legislatore, è la certezza fattuale della cessazione del rapporto di lavoro nel caso di comportamento concludente del lavoratore.
 
È questo il punto di partenza su cui, di recente, il Tribunale di Udine con sentenza depositata lo scorso 27 maggio, è stato chiamato a pronunciarsi.
 
In una significativa vicenda processuale, ben ricostruita sul piano fattuale, pur in difetto di una corretta formalizzazione delle dimissioni della lavoratrice, il giudice ha agevolmente ravvisato nel comportamento concretamente tenuto dalla stessa, la sintomatica manifestazione di una volontà di non dare più seguito al contratto di lavoro, determinando così la risoluzione per fatti concludenti.
 
È la narrazione dei fatti ad assumere decisiva rilevanza perché è da essa che il giudice ha ricavato la direzione da dare alla sua attività di interpretazione delle norme (cfr. S. P. Emiliani, La costruzione dei fatti nel processo del lavoro, Giappichelli, 2017).
 
Ed è proprio in questa vicenda che il giudice del lavoro ha attribuito particolare rilevanza, più che alla forma dell’atto di dimissioni, alle circostanze di fatto che hanno caratterizzato la vicenda oggetto del giudizio.
 
Concentrandosi sul merito della vertenza, che è poi quello che più ci interessa, si scopre che la lavoratrice si sia volontariamente assentata in via continuativa dal lavoro a decorrere dal 14 dicembre 2019, senza mai fornire, su invito, alcuna giustificazione e senza nemmeno riscontrare, per oltre sei mesi, le missive a lei indirizzate dal datore di lavoro. L’ultima comunicazione, in ordine temporale, è del 12 giugno 2020, dopo oltre sei mesi di assenza dal lavoro, laddove il datore di lavoro la invitava a comunicare le dimissioni secondo la modalità telematica vigente e che, in assenza della suddetta modalità, entro il termine di 7 giorni dall’invito, il datore avrebbe ritenuto comunque, ad ogni effetto, l’avvenuta risoluzione di fatto del rapporto di lavoro.
 
Ed è così che sono state effettuate le comunicazioni agli enti preposti, in particolare il modello UNIFICATO-LAV con la causale dimissioni.
 
Così delineate le coordinate fattuali della controversia, il ricorso della lavoratrice teso ad accertare l’invalidità ovvero l’inefficacia della risoluzione del rapporto di lavoro e quindi il risarcimento del danno, non è apparso fondato e quindi è stato rigettato.
 
Il giudice del Tribunale di Udine, nell’invitare a porre la dovuta attenzione al contenuto della legge delega 183/2014, ha ritenuto che la mancata attuazione, con l’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015, dell’inciso sulla “necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente” pur inserito nella legge delega, non impedisce all’interprete di tenere in debito conto la volontà del legislatore delegante e, aggiungiamo noi, la realtà fattuale della vicenda (sul punto, sia consentito anche il rimando a C. Mogavero, Nuova procedura delle dimissioni on line: una diversa lettura delle norme, pubblicato sul Bollettino Adapt 21 marzo 2016, n. 10, nell’ambito del quale già veniva illustrato il medesimo ragionamento giuridico).
 
Chi sostiene che nelle ipotesi di inerzia del lavoratore si debba pervenire alla risoluzione del rapporto di lavoro solo attraverso un licenziamento per giusta causa, finisce per optare per una soluzione, a detta dello stesso giudice, non solo irragionevole, ma anche di dubbia compatibilità costituzionale, quanto meno sotto il profilo degli artt. 41 e 38 Cost. Quanto all’articolo 38 Cost. è del tutto evidente, ricorda il giudice, che la situazione censurata determinerebbe una ingiusta sottrazione di risorse da destinarsi solo a vantaggio di quei lavoratori in disoccupazione involontaria.
 
Dunque, diversamente operando, si finirebbe per produrre, intenzionalmente o meno, risultati divergenti rispetto alle finalità ed agli obiettivi ai quali è preordinato l’intero ordinamento giuridico nel suo complesso; si vuole così evitare la c.d. eterogenesi dei fini, quel fenomeno per il quale un’azione determina risultati divergenti dalle finalità dichiarate e volute: garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà […] in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso.
 

Candido Mogavero

Consulente del Lavoro

ADAPT professional fellow

@Candido Mogavero

Dimissioni per fatti concludenti: quando l’inerzia del lavoratore è idonea a manifestare una volontà abdicativa