Così il lavoro affoga nella burocrazia

L’ipocrisia di una regola affermata, ma sistematicamente disattesa nella pratica, è un male peggiore dell’assenza di quella stessa norma. Perché «le regole nascono per dare soluzioni ai problemi concreti. Questa è la funzione che dovrebbero tornare a svolgere. Altrimenti ecco le disfunzioni che stiamo osservando in Italia». Riccardo Salomone è ordinario di Diritto del lavoro a Trento. Ed è convinto che «il diritto sia stato caricato di funzioni e significati diversi dai propri». Che soffra, soprattutto, di «una sistematica, perniciosa, ipocrisia», nel nostro paese.

Ipocrisia che porta a scrivere un’abbondanza di protocolli, codici e cavilli in commi a contratti, per poi lasciare che la realtà continui a discostarsene con «deviazioni gigantesche». Generando così una doppia stortura: da una parte le norme si fanno più complesse; dall’altra i cittadini smettono di farvi affidamento. «I sistemi normativi sembrano servire oggi soprattutto per evitare questioni. Le regole vengono usate per proteggere se stessi piuttosto che per risolvere i bisogni degli altri», continua Salomone. Risultato? «Diventano burocrazie». Ovvero: l’esercizio del diritto si esaurisce in un modulo che ne prevede la tutela. Per iscritto. E poi non resta altro che un foglio, un’indicazione astratta, incapace di fermarne le eventuali violazioni, di dare soluzioni e spazi, di entrare nel merito. «È la frammentazione degli interessi e del potere», conclude il professore: «Ad aver fatto sì che tutti abbiano fretta oggi di usare le regole per autogarantirsi, per non essere messi in discussione da altri centri di influenza, piuttosto che per risolvere le difficoltà degli altri»…

 

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