Cosa resta dopo il referendum 

Interventi ADAPT

| di Francesco Seghezzi

Bollettino ADAPT 23 giugno 2025, n. 24

La gara delle interpretazioni sull’esito del referendum continuerà ancora per qualche giorno, ma su un punto si può già essere certi: le tematiche poste, almeno sul fronte lavoro, non resteranno al centro del dibattito pubblico. È questo uno dei principali limiti della campagna referendaria: non aver saputo connettere i contenuti dei quesiti alla quotidianità di lavoratori e imprese. Si è creduto che un sindacato forte come la CGIL, in rinnovata sintonia con partiti progressisti, potesse trascinare con sé “la massa” dei lavoratori. Ma quella massa, semplicemente, non esiste più. O meglio, esiste in forma frammentata, composita, attraversata da identità che spesso prescindono dalla condizione lavorativa. La cinghia di trasmissione che si è rotta non è tanto quella tra partito e sindacato – che in questo caso si è peraltro invertita, con un sindacato promotore e i partiti a traino – quanto quella tra i promotori e il mondo del lavoro. La personalizzazione della campagna, centrata soprattutto sulla figura di Landini, ha ulteriormente complicato le cose. In assenza di un’unità sindacale (con la CISL apertamente contraria e la UIL defilata), la campagna ha finito per perdere forza collettiva e segmentare ulteriormente i sindacati stessi. E allo stesso tempo, la politicizzazione impressa dal governo ai quesiti non ha sorpreso nessuno, ma ha contribuito a rendere il confronto ancora più distante dai vissuti quotidiani.

La personalizzazione può funzionare se sostenuta da una leadership ampiamente riconosciuta. Ma oggi, anche tra i sostenitori più fedeli del sindacato, questa coincidenza tra sindacato e lavoratori è tutt’altro che scontata. Lo dimostra anche l’esito del quesito sulla cittadinanza, dove i voti contrari sono stati superiori rispetto a quelli espressi sui temi del lavoro, pur provenendo dallo stesso bacino elettorale. La campagna ha faticato a mettere al centro del dibattito pubblico i contenuti specifici dei quesiti, schiacciati dalla complessità giuridica e dalla forma stessa del referendum abrogativo. Eppure, il lavoro è da anni in cima alle preoccupazioni degli italiani nei sondaggi. Perché allora non riesce a diventare davvero oggetto di discussione pubblica?

Una possibile risposta è che il lavoro, pur restando una preoccupazione diffusa, sia anche una fonte di disillusione. E che, quando si parla di lavoro, le persone pensino in primo luogo a esperienze individuali: salario, orari, crescita professionale, relazioni con i colleghi, equilibrio tra vita e lavoro. Tutti temi che difficilmente passano attraverso uno strumento rigido come il referendum. Ma proprio questi temi dovrebbero essere al centro di una rinnovata azione sindacale. La sfida non è negare l’affermazione dell’individuale, ma provare a rigenerare il collettivo a partire da una conoscenza più profonda e aggiornata dei bisogni. Possiamo accettare o meno, anche culturalmente, che vi sia una crisi del collettivo. Ma il modo per sfidarla non può che partire da qui: dalla capacità di ricostruire legami, dare rappresentanza, parlare una lingua comprensibile. L’alternativa è un circolo vizioso in cui la crisi della democrazia alimenta – e al tempo stesso viene alimentata – dalla distanza crescente tra bisogni reali e loro rappresentazione politica.

In questo quadro, il sindacato resta uno degli ultimi attori in grado, per sua natura, di svolgere una funzione di intermediazione. E proprio per questo è nel mirino: da chi persegue la narrazione populista che vorrebbe cancellare ogni mediazione, e da chi propone un modello tecnocratico che considera ogni altro approccio inefficiente o datato. La lezione che si può trarre da questo referendum – se di lezione si può parlare – è che il sindacato è il primo soggetto chiamato a innovare strumenti, linguaggi, contenuti. Ed è anche quello che più di altri può beneficiare di una rete sociale ampliata, in connessione con attori (ancora troppo pochi) che promuovono visioni collettive dei bisogni sociali ed economici.

Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
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* Articolo pubblicato anche su Domani con il titolo Le masse e il sindacato: cosa resta nel dibattito dopo il referendum, 16 giugno 2025