Conseguenze sanzionatorie per omessa concessione dei permessi per allattamento

Il Tribunale di Como, con sentenza n. 260/2013, fornisce un’interessante interpretazione della disciplina sui periodi di riposo cui le lavoratrici madri hanno diritto durante il primo anno di vita del bambino.

 

A norma dell’art. 39 del d.lgs. n. 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), le lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, hanno diritto a due periodi di riposo (c.d. per allattamento), anche cumulabili durante la giornata; se l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore, la lavoratrice ha diritto ad uno solo riposo. La legge stabilisce anche che tali periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata del lavoro e della retribuzione.

 

La vicenda sottoposta all’attenzione del giudice lariano verte, in primo luogo, sull’interpretazione della locuzione “orario giornaliero di lavoro”: in particolare, se si tratti dell’orario contrattualmente previsto, ovvero dell’orario effettivamente svolto dalla prestatrice nel corso della giornata.

 

Il fatto trae origine da un accertamento ispettivo della Direzione territoriale del lavoro di Como, avente ad oggetto proprio la verifica degli obblighi datoriali in merito ai riposi delle lavoratrici madri. Le risultanze accertative evidenziavano una serie di violazioni amministrative per omesse concessioni, da parte del datore di lavoro, dei riposi per allattamento. Le sanzioni scaturivano dalla accertata prassi aziendale, pacifica tra le parti, secondo cui i permessi erano accordati non sulla base dell’orario contrattuale, bensì di quello effettivo unilateralmente disposto di giorno in giorno, sicché, ad esempio, se una lavoratrice a tempo pieno avesse lavorato effettivamente meno di sei ore era concessa alla medesima una sola ora di riposo.

 

Il datore di lavoro contestava la sussistenza degli illeciti, sulla base di un’interpretazione del citato disposto normativo secondo cui l’orario di lavoro da prendere a riferimento sarebbe quello effettivo svolto dalla lavoratrice nel corso della giornata e non quello, teorico, contemplato nel contratto. In conseguenza di tale impostazione, l’azienda impugnava il provvedimento sanzionatorio della Direzione del lavoro, chiedendone al giudice l’annullamento.

 

Il Tribunale comasco, tuttavia, respinge l’assunto del ricorrente, aderendo alla soluzione ermeneutica adottata dal personale ispettivo. Secondo il ragionamento del giudice, la DTL ha correttamente interpretato la norma di cui all’art. 39 d.lgs. 151 cit., stabilendo che l’orario di lavoro da prendere a riferimento sia quello previsto contrattualmente. In ogni caso, osserva il giudice, la legge (art. 39, comma 2 cit.) equipara, quanto a durata e retribuzione del lavoro, le ore di riposo a quelle effettivamente lavorate, ragion per cui anche i periodi di permesso devono essere conteggiati al fine di ottenere l’orario giornaliero da cui ricavare le ore di astensione dall’attività lavorativa. Né giova al ricorrente la pur invocata interpretazione fornita dall’INPS con circolare 95-bis del 6 settembre 2006, la quale ribadisce proprio che, ai fini del diritto ai riposi giornalieri di cui trattasi, va preso a riferimento l’orario giornaliero contrattuale normale e non l’orario effettivamente prestato in concreto nelle singole giornate, magari – come nel caso di specie – unilateralmente disposto dal datore di lavoro.

 

Il giudice accoglie, invece, un’ulteriore questione posta dall’azienda ricorrente, relativa all’interpretazione della norma sanzionatoria di cui all’art. 46 del d.lgs. 151 cit. la quale stabilisce che la violazione, tra l’altro, dell’art. 39 è punita con la sanzione amministrativa da € 516 a 2582.

 

La DTL aveva adottato il metodo del c.d. cumulo materiale, secondo cui a ciascuna violazione – individuata nella fattispecie ratione temporis, cioè per ogni ora di riposo non concessa – va applicata la sanzione prevista dalla legge. Il metodo era contestato dal ricorrente, che chiedeva l’applicazione di un’unica sanzione, dal momento che la legge stabilisce la misura punitiva non per ciascuna violazione individuata ma genericamente per l’inottemperanza della disposizione di cui all’art. 39 cit.. In merito, il giudice non condivide l’impostazione della Direzione del lavoro, e ritiene che, per ragioni di equità, la sanzione vada applicata per ciascuna lavoratrice, così pervenendo ad una riduzione complessiva dell’importo sanzionatorio.

 

Alcune considerazioni finali si ritengono utili sull’orientamento del giudice comasco. Sulla prima questione, v’è poco da aggiungere alla condivisibile interpretazione del Tribunale, che ha confutato un’insostenibile tesi del ricorrente: la norma che conferisce il diritto di riposo alla lavoratrice madre sarebbe agevolmente oggetto di elusione, ove fosse sufficiente al datore variare in difetto l’orario contrattuale per ottenere il numero di ore di riposo desiderato.

 

Sulla seconda problematica, l’assunto del giudice, invece, non persuade giacché la relativa opzione ermeneutica è priva di un solido fondamento giuridico. Non ha il conforto letterale, poiché nella norma, ai fini del calcolo della misura sanzionatoria, non vi è alcun riferimento alle lavoratrici. Essa, peraltro, non ha neppure il sostegno logico-sistematico, poiché delle due l’una: o la sanzione, in stretta aderenza al principio di legalità che impone di attenersi al dato letterale, si applica una ed una sola volta, ovvero si applica per ciascuna violazione, individuata necessariamente in ragione dei periodi di riposo non concessi. Invece, il giudice adotta un’atipica soluzione intermedia, quella di individuare le violazione in relazione al numero di lavoratori coinvolti, senza peraltro motivare tale conclusione salvo invocare imprecisati “principi di equità”.

 

In realtà, la discutibile – e non rara – scelta normativa di non precisare le modalità di applicazione delle sanzioni amministrative in materia di lavoro, andrebbe risolta considerando il principio di offensività delle condotte illecite in relazione ai beni giuridici tutelati. In virtù di tale criterio, sussistono tante violazioni, con irrogazione di altrettante sanzioni, quante volte gli interessi giuridici protetti dall’ordinamento siano lesi o messi in pericolo. Tale operazione ermeneutica comporta, pertanto, la considerazione del rango dei beni tutelati e prescinde da più o meno corrette descrizioni normative delle fattispecie. In siffatto contesto, la natura costituzionale dei beni vulnerati – nel caso di specie discendenti dall’art. 37 Cost., pure richiamato dal giudice lariano – induce naturalmente a concludere per l’individuazione di tante violazioni quante sono le ore di riposo non concesse, con applicazione del cumulo materiale delle sanzioni. Viceversa, allorquando non vengano in rilievo interessi costituzionalmente garantiti, come nei casi di c.d. illeciti formali, appare legittimo affidarsi al solo dato letterale della disposizione sanzionatoria. Nel diritto sanzionatorio, infine, non vi può essere alcuno spazio per supposti principi di equità, stante l’indisponibilità dei diritti coinvolti (cfr. art. 114 c.p.c.).

 

Carmine Santoro

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

 @carminesantoro

 

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