Cambiare sindacato (e non solo verso)

Matteo Renzi punta a separare, persino a contrapporre, la questione sociale, che è imperniata sulla scarsità di lavoro, e la questione sindacale, che considera legata solo allo spirito di protesta che anima i vertici di alcune confederazioni.
 
Probabilmente ha ragione, almeno nel modo di descrivere la situazione, nel difendere le scelte di governo, ma come segretario del partito di sinistra deve affrontare anche il problema della rappresentanza del lavoro. In una democrazia organizzata i corpi intermedi, le rappresentanze parziali di interessi legittimi, hanno un peso rilevante, peraltro garantito dalla Costituzione.
 
Un partito di sinistra a vocazione maggioritaria non può evitare di porsi il problema di una rappresentanza del lavoro adeguata alle esigenze reali, poste dalla situazione reale. In passato questo problema è stato gestito attraverso forme più o meno formalizzate di influenza reciproca tra partiti e sindacati, ma ora quei meccanismi e quelle cinghie di trasmissione sono improponibili.
 
Il diritto dei lavoratori a essere tutelati e rappresentati da organizzazioni autonome è messo in discussione dalla logica di confederazioni che perseguono finalità politiche, peraltro ultraminoritarie. Naturalmente è da sottolineare la capacità di quella di ispirazione cristiana di sottrarsi a questa deriva demagogica, ma forse questa testimonianza non è sufficiente a controbilanciare un processo così esteso di schizofrenia di sindacati che vivono della gestione di funzioni parastatali nelle loro sedi e dell’esibizione di antagonismo protestatario nelle piazze.
 
Quello che serve è un sindacato che torni nei luoghi di lavoro e nelle zone di disagio sociale, capace di dare rappresentanza autonoma alle esigenze e anche alle proteste nell’ambito di una visione realistica dell’interdipendenza del lavoro e dell’impresa. Paradossalmente oggi sembra che questa visione nazionale venga espressa più dal sindacalismo autonomo, spesso considerato puramente rivendicativo, che da quello confederale.
 
Se le cose stanno così, è interesse di chi sostiene un ruolo più rilevante dei lavoratori nella vita pubblica promuovere le forme di organizzazione sindacale che più corrispondono a quelle esigenze.
 
Ieri Matteo Renzi è tornato a criticare in modo deciso il mondo della Cgil sostenendo che il sindacato guidato da Susanna Camusso fa parte dello stesso polo della conservazione di cui è azionista il capo della Lega Matteo Salvini.
 
Renzi è il primo leader di centrosinistra, come è noto, che ha costruito in modo virtuoso il suo profilo politico anche facendo leva sul suo essere apertamente ostile al mondo del sindacato. Dal punto di vista elettorale la contrapposizione con la Cgil funziona ma dal punto di vista pratico per un leader di sinistra avere un proprio sindacato di riferimento sarebbe vitale.
 
Il centrodestra, e la storia di Berlusconi lo dimostra, può anche fare a meno di avere un sindacato di riferimento. Per la sinistra è diverso e cambiare l’Italia senza cambiare sia il proprio partito sia il proprio sindacato di riferimento potrebbe essere alla lunga un ostacolo per il progetto più grande: cambiare l’Italia.
 
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Cambiare sindacato (e non solo verso)
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