Calenda: vogliamo cambiare le regole Ue, con le riforme sfida all’austerità

Il ministro dello Sviluppo economico Calenda conferma che il Sud trarrà grande vantaggio da Industria 4.0, il piano di rilancio dell’innovazione e del digitale che il governo ha inserito nella manovra. Molti però temono contraccolpi negativi sull’occupazione. Ma Calenda chiarisce: basta dirigismo nella politica industriale, ci sono 20 miliardi per le imprese: tocca a loro investire. Poi sulle regole Ue avverte: le cambiamo con le riforme.

 

Ministro Calenda, lei ha detto che il Sud trarrà grande vantaggio da Industria 4.0, il piano di rilancio dell’innovazione e del digitale sul quale lei ha lavorato e che il governo ha inserito nella manovra. Molti però temono che i contraccolpi sull’occupazione potrebbero essere negativi: è così?

«L’innovazione tecnologica, così come la globalizzazione, è un fenomeno epocale che genera opportunità e rischi. Tutto dipende da come la governeremo. Quello che sappiamo con certezza è che non possiamo stare fermi pensando di riuscire a chiuderla fuori dalle nostre società e dalle nostre aziende. Ci sono due rischi che vanno evitati: il primo è la perdita di competitività del settore manifatturiero; il secondo è la polarizzazione tra vincitori e vinti. Soprattutto quest’ultimo fenomeno sta mettendo a rischio la tenuta sociale di tutte le democrazie occidentali. A mio avviso l’unica risposta è quella di aumentare esponenzialmente gli investimenti privati e pubblici su due direttrici: premiare chi compete e aiutare chi rimane indietro. Questo è esattamente lo spirito della nuova legge di bilancio. Non dobbiamo solo porci la domanda “quanti posti di lavoro si perdono con la digitalizzazione?” ma anche “quanti posti di lavoro si perderebbero se le imprese non si digitalizzassero e uscissero perciò dal mercato?”».

Ma perché l’Italia digitale diventi competitiva quanto tempo, concretamente, occorrerà?

«L’Italia è già competitiva come dimostra il record di esportazioni, 414 miliardi di euro, fatto l’anno scorso. Il problema è che non è tutta competitiva. Anche il mondo delle imprese si è andato sempre più polarizzando tra chi ha investito in tecnologia e internazionalizzazione e chi è rimasto legato al mercato domestico e non è riuscito a innovare. Per questo le linee di intervento del ministero sono concentrate su questi due driver di crescita. Finiscono gli incentivi a pioggia e si premia chi investe e si internazionalizza. Aggiungo che lo si fa in modo nuovo attraverso incentivi fiscali automatici che non prevedono passaggi burocratici barocchi che li rendono difficili da usare soprattutto dalle pmi».

Sicuramente la manovra ha dato molte frecce all’arco degli imprenditori: pensa che stavolta sapranno lanciare le loro frecce per lo sviluppo e l’occupazione?

«Dipende da loro. Alla base del piano industria 4.0 c’è un patto di fiducia con le imprese. Noi mettiamo sul piatto 20,4 miliardi di euro di incentivi fiscali agli investimenti in ricerca e tecnologia e un taglio dell’Ires da 4 miliardi di euro l’anno. Sta adesso alle imprese utilizzarli per il meglio. Abbiamo finalmente abbandonato ogni residua volontà di dirigismo. Non indichiamo noi quali settori e quali tecnologie, è l’impresa a dover scegliere e il mercato a verificare se la scelta compiuta è quella giusta. Aggiungo che per supportare il finanziamento degli investimenti abbiamo aumentato del 30% la dotazione del Fondo di Garanzia, faciliteremo in questo modo l’erogazione di 25 miliardi di euro di finanziamenti alle pmi, compreso l’80% del rischio per chi investe e ha rating intermedi che oggi hanno poco accesso al credito bancario»…

 

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