Introduzione
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Quanto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, e con forti incentivi, sarร utilizzato da parte delle imprese? Questa รจ la scommessa che se vincente potrebbe rilanciare il nostro Paese.
Il fatto che dopo il notevole impulso del lavoro a termine โliberalizzatoโ, operato con la legge n. 78/2014, si torni a puntare sul lavoro a tempo indeterminato, seppur โa tutele crescentiโ, con incentivi sul piano fiscale e contributivo โ si veda la โlegge di Stabilitร 2015โ, n.190/2014 โ, fa ben sperare. Presupposto di tale scelta รจ che la stabilitร non รจ solo un interesse del lavoratore, ma anche dellโimpresa, che decide di investire sulle proprie maestranze, considerandole non mero elemento di costo ma fattore decisivo per la competitivitร .
Una valutazione piรน compiuta sarร possibile solo dopo che saranno emanati gli altri decreti attuativi della delega, in particolare quello sul riordino e semplificazione delle tipologie contrattuali. ร importante tuttavia che si sia deciso di intervenire in contemporanea con il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e con il contratto di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, oggetto del secondo decreto attuativo.
Le politiche di flexisecurity si basano infatti su un triplice intervento:
– una regolazione flessibile delle entrate e delle uscite nel rapporto di lavoro;
– la sicurezza del reddito in caso di difficoltร occupazionale (sospensione/cessazione del rapporto di lavoro);
– un sistema efficace di politiche attive, al fine del reimpiego.
Le disposizioni concernenti il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti si applicano esclusivamente ai nuovi assunti. Se questo รจ probabilmente il prezzo da pagare al cambiamento sono da correggere quantomeno le storture piรน evidenti, prevedendo ad esempio che il diverso regime tra vecchi e nuovi assunti concernente il licenziamento non si estenda anche alle procedure conciliative e al processo del lavoro.
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Il regime di tutela del licenziamento illegittimo
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Resta ferma lโapplicazione dellโart. 18, St. lav., con tutela economica piena, per i licenziamenti discriminatori ovvero riconducibili ad altri casi di nullitร espressamente previsti dalla legge.
Se non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (per ragioni economiche) o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa (per ragioni disciplinari), il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennitร , non assoggettata a contributo previdenziale, di importo pari a 2 mensilitร dellโultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilitร .
Rimane una ristretta area di โtutela realeโ (reintegra piรน pagamento di unโindennitร risarcitoria, comunque non superiore a 12 mensilitร ) nelle sole ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa โin cui sia direttamente dimostrata in giudizio lโinsussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamentoโ. Molte le questioni interpretative.
Un primo profilo concerne la definizione di โfatto materialeโ, che qualora sia provato insussistente darร luogo alla reintegrazione del lavoratore. Dopo lโentrata in vigore della โlegge Forneroโ, legge n. 92/2012, che fa, tra lโaltro, riferimento alla assenza โdel fatto contestatoโ ai fini del diritto alla reintegrazione, si รจ molto dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza se lโinsussistenza dovesse limitarsi al โfatto materialeโ oppure dovesse riferirsi al โfatto giuridicoโ, tenendo conto dei profili soggettivi, quali lโintenzionalitร , la colpevolezza o lโintensitร . A ben vedere, sebbene la prima sentenza della Cassazione sullโart. 18, Stat. Lav., come riformato dalla โlegge Forneroโ, sembri avvalorare la tesi del fatto materiale (Cass. 6 novembre 2014, n. 23669), la distinzione tra fatto materiale e fatto giuridico รจ assai opinabile: dovrร infatti in ogni caso trattarsi di un fatto โimputabileโ al lavoratore, tale da qualificarsi come inadempimento contrattuale. Non qualunque fatto, ancorchรฉ sussistente, puรฒ infatti giustificare una reazione datoriale cosรฌ rilevante come il licenziamento disciplinare, qualora il lavoratore possa dimostrare la sua assoluta buona fede e lโassenza di colpevolezza (si pensi ad esempio al lavoratore che si assenti per urgenti motivi familiari dimenticandosi in luogo aperto al pubblico un documento di accesso ai dati aziendali).
Un secondo aspetto problematico riguarda il riparto dellโonere della prova. Fermo restando lโonere della prova a carico del datore di lavoro in riferimento alla legittimitร del motivo addotto per il licenziamento, non essendo sul punto superato il principio posto dallโart. 5, della legge n. 604/1966, lโonere della prova rispetto alla insussistenza del fatto materiale contestato (unica fattispecie di tutela reintegratoria, configurabile ancor piรน che nella โlegge Forneroโ come eccezione rispetto alla regola generale dellโindennizzo) รจ in capo al lavoratore, che peraltro potrร farlo solo mediante prova โdirettaโ.
Il tentativo poi di sottrarre allโaccertamento giudiziale lโeventuale sproporzione della sanzione del licenziamento rispetto allโโinsussistenzaโ (piรน propriamente alla โsussistenzaโ) del fatto materiale contestato al lavoratore contrasta con principi fondamentali del nostro ordinamento, quale il principio di proporzionalitร tra mancanze e sanzioni, espressamente riconosciuto dallโart. 2106 del c.c., difficilmente superabili, pena il dar luogo a situazioni paradossali, per cui una mancanza lieve (ad esempio il ritardo al lavoro) sarebbe punita con la sanzione massima (licenziamento con indennizzo).
Non รจ stata infine richiamata lโipotesi della reintegrazione, prevista dalla โlegge Forneroโ, per le condotte punibili da parte dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili con sanzioni di tipo conservativo, alternative al licenziamento. Sul punto รจ da sottolineare che stante i principi generali che regolano il rapporto tra legge e contrattazione collettiva, le previsioni contrattuali in materia di sanzioni disciplinari continueranno a valere, per quanto applicabili, anche in presenza del nuovo regime, potendosi considerare come โnorme di miglior favoreโ per il lavoratore. Da invocare peraltro anche il principio di libertร di contrattazione collettiva, stabilito dallโart. 39, Cost., per cui non si potrebbe impedire il libero esplicarsi della disciplina collettiva in materia.
Computo dellโanzianitร negli appalti
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Nei cambi di appalto, per il calcolo dellโindennizzo economico in caso di licenziamento, lโanzianitร di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dellโimpresa che subentra nellโappalto si computa tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore รจ stato impiegato nellโattivitร appaltata.
ร da sottolineare come la materia della successione negli appalti, ivi compresa la stabilitร dei rapporti di lavoro, trovi la propria disciplina nellโambito della contrattazione collettiva (si vedano, tra gli altri, il CCNL Turismo, artt. 332 e seguenti; il CCNL Multiservizi, art. 4; il CCNL Igiene Ambientale, art. 6).
La continuitร dei rapporti di lavoro potrร tuttavia essere opponibile allโimpresa subentrante, stante la limitata efficacia soggettiva della contrattazione collettiva, solo se anchโessa applichi lo stesso contratto collettivo. Va peraltro rilevato che in base allโart. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003, ยซlโacquisizione del personale giร impiegato nellโappalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto dโappalto, non costituisce trasferimento dโazienda o di parte di aziendaยป (cfr. al riguardo Ministero del lavoro, risposta ad interpello n. 22, del 1ยฐ agosto 2012).
Richiamando tuttavia la normativa comunitaria, in special modo la direttiva n. 77/187/CEE, alla luce dellโinterpretazione fattane dalla Corte di Giustizia UE (cfr. in particolare sentenza 24 gennaio 2002, n C-51/00, in causa Temco Service Industries SA), sono da considerare trasferimento dโazienda, con continuitร dunque dei rapporti di lavoro, quei cambi di appalto in cui lโattivitร si basi essenzialmente sullโutilizzo di mano dโopera, come ad esempio nel settore delle pulizie, e pertanto sussista conservazione dellโidentitร economica esercitata.
La previsione in esame non dovrebbe peraltro estendersi allโipotesi di rapporti di lavoro cessati ed instaurati nellโambito di societร controllate o collegate ai sensi dellโart. 2359 del c. c.. โ c.d. โmobilitร infragruppoโ โ, particolarmente rilevante nei processi di riorganizzazione di gruppo disciplinati dai contratti collettivi, specie nel settore dei servizi (ad esempio nel comparto bancario ed assicurativo), e ciรฒ per la sostanziale identitร del datore di lavoro.
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Licenziamento collettivo
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In caso di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991, il diritto alla reintegrazione sussiste solo se il licenziamento รจ intimato senza lโosservanza della forma scritta, mentre in caso di violazione delle procedure, compresa quella sindacale, a cui si aggiunge ora la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori, si applica solo lโindennizzo monetario (tra un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilitร ) al pari di quanto previsto per i licenziamenti individuali di carattere economico.
Lโestensione del nuovo regime ai licenziamenti collettivi pare una forzatura non richiesta dalla legge delega, che non contiene alcun riferimento alla revisione della normativa in materia. I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare sono in genere definiti dalla contrattazione collettiva e solo in mancanza dalla legge; per cui le soluzioni sono trovate a monte, in sede di accordo sindacale, la cui tenuta pare opportuno non indebolire. La previsione peraltro, trovando applicazione solo ai neo assunti a tutele crescenti, rischia, piรน che su altri aspetti, di generare confusione, stante la differenza di regimi sanzionatori tra rapporti vecchi e nuovi. Dโaltro lato si potrร sempre sostenere il carattere discriminatorio delle scelte effettuate.
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La conciliazione โagevolataโ
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Al fine di evitare il ricorso in giudizio, e ferma restando la possibilitร di utilizzare le procedure di conciliazione esistenti, il datore di lavoro puรฒ offrire al lavoratore, entro i termini per lโimpugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni) in una delle sedi โprotetteโ, di cui allโart. 2113, comma 4, del codice civile e allโart. 82, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003 (Direzione territoriale del lavoro, sede sindacale o giudiziale, commissioni di certificazione), un importo non assoggettato a tassazione nรฉ a contributo previdenziale pari ad una mensilitร dellโultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilitร , mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. Lโaccettazione dellโofferta da parte del lavoratore comporta lโestinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore lโabbia giร proposta.
Il decreto rafforza, come opportuno, le procedure volte a scoraggiare il ricorso giudiziario, tramite lโintroduzione di una nuova forma di conciliazione โagevolataโ, utilizzabile da tutte le aziende, a prescindere dal numero dei dipendenti, e per tutte le tipologie di licenziamento. Positivo รจ anche il riferimento, accanto alla sede sindacale, alle commissioni di certificazione, tra cui gli enti bilaterali, quali sedi presso le quali il datore di lavoro puรฒ presentare la sua offerta di carattere economico.
Dโaltro lato la conciliazione torna ad essere pienamente facoltativa e non piรน obbligatoria, secondo quanto previsto dalla โlegge Forneroโ, seppur limitatamente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo davanti alla DTL (รจ da segnalare che la conciliazione preventiva presso la DTL ha dato buoni risultati applicativi, risolvendosi positivamente nel 47% dei casi).
ร da ritenere che lโaccettazione dellโofferta economica da parte del lavoratore non pregiudichi il suo diritto allโASpI, dal momento che tale accettazione non puรฒ configurarsi come risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; si tratta infatti pur sempre di disoccupazione involontaria verificatasi per atto del datore di lavoro.
Anche in materia di conciliazione si dร tuttavia luogo a due regimi paralleli, con regole diverse, dal momento che per i lavoratori a tempo indeterminato giร in organico prima dellโentrata in vigore del decreto attuativo del Jobs Act continuerร ad applicarsi la procedura obbligatoria presso la DTL, mentre non sarร utilizzabile la conciliazione agevolata. In una prospettiva di semplificazione ed omogeneizzazione delle procedure conciliative sarebbe stato invece auspicabile rendere lโutilizzo della conciliazione agevolata di generale applicazione.
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Rito applicabile
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Ai licenziamenti concernenti i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti non si estende, sul piano delle regole processuali, il rito speciale previsto dalla โLegge Forneroโ (art.1, commi 48 e seguenti, della legge n. 92/2012), trovando invece applicazione il rito ordinario.
Si tratta di unโulteriore differenza (non richiesta) di discipline, anche sul piano del processo del lavoro, che necessita di una piรน meditata rivisitazione complessiva.
Marco Lai
Centro Studi Nazionale Cisl di Firenze
* Un contributo piรน ampio รจ in corso di pubblicazione su Diritto&Pratica del Lavoro, Wolters Kluwer Italia.
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Brevi note sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti