Blocco dei licenziamenti, una conflittualità che non aiuta

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Bollettino ADAPT 24 agosto 2020, n. 30 

 

Ora che Confindustria e sindacati hanno imboccato la strada dello scontro frontale sul tema dei blocco del licenziamenti, gli effetti della crisi economica da Covid-19 sulle relazioni industriali trilaterali si mostrano in tutta la loro evidenza. Sembra lontanissimo il clima di collaborazione in cui sindacati, Governo e associazioni datoriali siglavano un protocollo condiviso per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, rivelatosi poi centrale nel ritorno al lavoro di milioni di lavoratori e per la ripartenza di migliaia di imprese. Anche il dialogo a distanza tra Carlo Bonomi e Annamaria Furlan sulle pagine del Messaggero per chiedere una “nuova concertazione” o “democrazia negoziale” sembra appartenere ad una fase superata della gestione del post-emergenza. 

 

Eppure è sempre alla collaborazione e alla coesione sociale che fanno appello Confindustria e sindacati ora, nel momento in cui si scambiano reciproche e pesanti accuse. Le dimensioni del pomo della discordia potrebbero spiegare l’asprezza del confronto: si tratta di una misura tanto eccezionale da avere solo un precedente storico, e che si espone a rischi di incostituzionalità come ha sottolineato Tito Boeri sul quotidiano Repubblica. Sullo sfondo resta poi la stagione contrattuale con le divergenze sempre più chiare sull’interpretazione da dare al Patto per la Fabbrica (la vicenda più recente è la sigla del rinnovo nel settore alimentare senza la firma di Federalimentare -Confindustria).

 

Non di meno, resta curioso il paradosso vivente restituito dalla rappresentazione pubblica della contesa sui licenziamenti che risulta dalla comunicazione dei due attori in campo. Da un lato i sindacati invocano la coesione sociale e l’unità minacciando di brandire lo strumento più conflittuale di cui dispongono: lo sciopero generale. Non una minaccia solo ventilata, visto che l’ipotetica data del 18 settembre è già stata comunicata in una nota congiunta. Lo sciopero scatterebbe se nel Decreto Agosto il Governo non dovesse prorogare il blocco dei licenziamenti fino alla fine dell’anno e non solo per quelle imprese che accedono alla cassa integrazione (come invece inizialmente previsto dalla bozza del Decreto). Il rischio altrimenti, secondo i sindacati, è quello di sviluppare tensioni sociali. Proprio quelle di cui essi stessi stanno caricando la molla con la loro iniziativa.

 

In aggiunta alla contraddizione tra fine e mezzo, i sindacati nella nota congiunta attribuiscono al Governo la responsabilità di un eventuale inasprimento delle tensioni. Spiace dirlo, ma tecnicamente la scelta comunicativa è populista, perché fa leva sul malcontento e sulla paura presente nei lavoratori, intesi come un’entità indistinta e contrapposta alla classe dirigente. Il dubbio è che di fronte alle difficoltà di fornire le chiavi di lettura della crisi in corso e delle dinamiche della trasformazione del lavoro proprio a quei soggetti più colpiti (i giovani e i lavoratori a tempo determinato) i sindacati abbiano scelto la “via bassa” alla leadership sociale.

 

Il segretario della Cgil Maurizio Landini e quello della Uil Pierpaolo Bombardieri in due interviste del 6 agosto, rispettivamente a Repubblica e a La Stampa, hanno poi individuato quello che sarebbe un altro ipotetico responsabile di un aumento delle tensioni: quella Confindustria che non firma i contratti e si oppone alla proroga dei licenziamenti. In effetti anche la comunicazione di Confindustria non ha brillato per la capacità di rappresentare le sue ragioni. Il messaggio della nota di risposta all’iniziativa dei sindacati, anch’essa chiosata dalla “necessità di progettare insieme la ripresa”, spiegava infatti che i licenziamenti sono funzionali alla ripartenza e che “in assenza della libertà di ristrutturazioni è ovvio che lo Stato dovrà continuare nel suo pieno sostegno a occupati e imprese com’erano prima della crisi” con conseguente aumento dei costi.

 

Insomma, è evidente che sindacati e Confindustria parlino ai loro stakeholder, iscritti e associati, ma i loro messaggi rischiano di essere controproducenti per la loro reputazione presso l’opinione pubblica. Perché i lettori comuni trovano sulle pagine delle news un sindacato conflittuale e intransigente nella difesa dei diritti degli insider e una Confindustria che rappresenta i lavoratori innanzitutto come costi. Il tutto nella cornice di un dialogo tra sordi, in cui ognuno invoca unità e collaborazione, ma come la vuole lui.

 

Se quindi la crisi è (o a questo punto era) per le parti sociali un’occasione per guidare lavoratori e imprenditori fuori dalle dispute ideologiche, in un’interpretazione comprensibile e convincente dei fenomeni del cambiamento del lavoro, oggi questa opportunità pare lontana dall’essere colta, se non vicina all’essere persa.

 

Francesco Nespoli

ADAPT Research Fellow

@Franznespoli

 

Blocco dei licenziamenti, una conflittualità che non aiuta
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