Assenteismo pa: la soluzione è nei contratti collettivi

Cose vecchie e ben note. L’assenteismo nella pubblica amministrazione italiana è «un costume che non ha barriere geografiche, si presenta con intensità simili indipendentemente dalla dimensione dell’amministrazione, ed è diffuso in modo pressoché identico tanto nelle amministrazioni centrali quanto in quelle locali» (Commissione sull’assenteismo nelle PA, 2010).
 
Malgrado il massiccio intervento legislativo di contrasto al fenomeno, a sei anni di distanza dall’entrata in vigore del pacchetto Brunetta, il problema continua a manifestarsi con picchi di intensità. Come quello registrato la notte di San Silvestro a Roma dove un cospicuo numero di agenti di polizia municipale si è assentato dal servizio per malattia. Si tratta di un episodio la cui gravità deve essere valutata non solo e non tanto in relazione agli effetti reali o anche solo potenziali sulla sicurezza pubblica e sui bilanci dello Stato, ma soprattutto alla luce dei dati drammatici del nostro mercato del lavoro che continuano a segnare picchi storici di disoccupazione e sottoimpiego. Soprattutto tra le fasce deboli della popolazione.
 
La progettualità legislativa che l’esecutivo si appresta a impiegare nella lotta alle forme anomale di assenteismo sembra essere orientata più che al rincaro di dose rispetto agli strumenti sanzionatori già operativi, al principio del «premiare [le] eccellenze che ci sono e punire [gli] irresponsabili». Un proposito di buon senso quello espresso dal ministro Marianna Madia sul suo account Twitter. La cui realizzazione deve però fare i conti con il fatto che la prima forma di disincentivo alla produttività e qualità del lavoro è rappresentata da sistemi di inquadramento e classificazione del personale rigidi, con strutture salariali anelastiche rispetto alle performance e alla professionalità espressa dai singoli lavoratori in termini di competenze trasversali oltreché tecniche.
 
In attesa di un intervento sistematico di modernizzazione della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, tra le diverse misure ipotizzabili per ridurre il divario tra ore lavorate e ore lavorabili, ce n’è una che potrebbe essere attuata a stretto giro e senza oneri a carico della finanza pubblica. Si tratta della flessibilizzazione degli istituti economici fissi stabiliti dai contratti collettivi. Nell’ambito della contrattazione di secondo livello o in via cedevole tramite un accordo quadro tra l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) e le organizzazioni sindacali, potrebbero essere ricercate modalità flessibili di corresponsione degli elementi economici previsti dai contratti collettivi nazionali nei diversi comparti pubblici, tali da incentivare l’assiduità nella prestazione di lavoro.
 
A titolo esemplificativo, si potrebbe prevedere la flessibilizzazione degli aumenti periodici di anzianità in funzione del numero di assenze. Lo scatto di anzianità verrebbe così a esser corrisposto, per un determinato periodo di tempo, in misura ridotta se nel biennio di riferimento il lavoratore fosse stato assente per un certo numero di giorni superiore a una soglia da definire. In alternativa, lo scatto di anzianità potrebbe essere maggiorato di una percentuale da definire, per 12 mesi, se nel biennio di riferimento il lavoratore fosse stato assente per un numero di giorni inferiore a una certa soglia quantitativa. Al posto delle detrazioni/aumenti economiche/i, potrebbero altresì essere previste riduzioni/incrementi del monte ore di permessi annui retribuiti, o di altri istituti che incidono sulla produttività.
 
La contrattazione integrativa o l’accordo quadro potrebbero introdurre poi meccanismi di “recupero” da parte del lavoratore meno assiduo a fronte di un maggiore impegno e di una riduzione del tasso di assenteismo relativo. Ad esempio, la quota ridotta a seguito del raggiungimento di un certo numero di assenze, potrebbe essere accantonata mensilmente ed essere resa in un’unica soluzione al lavoratore se nell’anno successivo a quello di maturazione dello scatto di anzianità fosse stato assente per un numero di giorni inferiore a una soglia da definire. Oppure, si potrebbe prevedere la conferma della quota ridotta per ulteriori 12 mesi se nell’anno successivo a quello di maturazione dello scatto di anzianità il lavoratore fosse stato assente per un numero di giorni superiore a una certa soglia quantitativa.
 
Una soluzione maggiormente condivisibile dalle organizzazioni sindacali, potrebbe prevedere l’accantonamento mensile delle quote ridotte degli scatti in un fondo pubblico istituito presso l’Inps o presso l’amministrazione di riferimento da ripartire annualmente tra tutti i lavoratori che, nel corso dell’anno, fossero stati assenti per un numero di giorni inferiore a una soglia da definire. In tal caso, il gettito derivante dalle mancate erogazioni degli incrementi degli scatti non si trasformerebbe in avanzo di spesa pubblica, ma verrebbe redistribuito tra i lavoratori modello, a dimostrazione quindi che l’intento del meccanismo non è repressivo e di riduzione delle tutele, ma di incentivo dei comportamenti virtuosi.
 
Alle parti spetterebbe poi stabilire cosa ricomprendere e cosa no nel concetto di assenteismo, scorporando le ipotesi di oggettiva necessità del lavoratore, connesse ad esempio a malattie gravi e di lunga durata. Scelta che, necessariamente, dovrebbe tener conto delle casistiche maggiormente diffuse nelle diverse amministrazioni, ma anche delle cause profonde del malcostume. L’esatta indicazione delle motivazioni alla base della scarsa presenza, le modalità di assenteismo, gli andamenti medi della presenza sul luogo di lavoro e l’esistenza di particolari mansioni maggiormente soggette all’assenza del personale, sono del resto elementi indispensabili per congegnare sistemi di contrasto efficaci.
 
Paolo Tomassetti
@PaoloTomassetti
ADAPT Research Fellow
 
* Pubblicato su Linkiesta il 7 gennaio 2015
 
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