Apprendistato: una opportunità da far conoscere

Forti agevolazioni fiscali per le aziende, garanzia al dipendente sia di una retribuzione, sia di una formazione pianificata, tutela assimilabile a quella di un normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato… Stando ai suoi requisiti, l’apprendistato dovrebbe presentarsi da sé come una tipologia contrattuale destinata al successo: invitante per i datori di lavoro e apprezzata dai giovani in cerca di occupazione.
 
Tuttavia la formula, a partire dall’entrata in vigore del Testo Unico del 2011, non ha conosciuto lo sperato decollo. Anzi, trascorso più di un anno dall’intervento della riforma Fornero (2012) si è dovuto constatare come il terreno occupato dall’apprendistato si sia addirittura ritirato.
 
Non sono solo le imprese ad aver manifestato scarso interesse verso l’istituto, anche tra i giovani si registra infatti scarso entusiasmo. Difficile dire cosa stia dietro al rifiuto da parte di un giovane di porre la firma ad un contratto di apprendistato per poi accogliere con soddisfazione l’inizio di uno stage presso lo stesso datore, come testimoniano non di rado gli uffici del personale.
 
Certo, il termine nell’immaginario diffuso rimanda al lavoro giovanile, prevalentemente artigiano, a stretto contatto con un maestro. Quindi l’idea di proseguire la specializzazione con un apprendistato dopo una laurea “specialistica”, risulta stridente.
 
Coloro che si spingono oltre la scorza dello stereotipo, non tardano comunque ad allertarsi difronte alle testimonianze di quanti denunciano di essere stati inquadrati come apprendisti per essere pagati meno.
 
 
Entrambe queste percezioni oggi più di ieri fanno riflettere, dal momento che costituiscono i bersa- gli individuati dall’ex ministro Fornero al momento del varo della riforma, quando, durante una not- te insonne, decise risolutamente di adoperarsi come paladina della reputazione dell’apprendistato impugnando le armi della comunicazione.
 
Si era assistito quindi ad una profusione di creatività incontenibile, con schiere di pubblicitari pronti a proporre la loro formula magica per sovvertire il fallace senso comune e contribuire così al rilan- cio di una formula demodè. Infine in qualità di “pezzo forte” del piano strategico del ministero era stata predisposta la trasmissione di una breve pubblicità radiotelevisiva affidata alla figura dello showman Fiorello.
 
Ma è proprio qui che risiede l’errore. Per cambiare le rappresentazioni culturali che stanno dietro una parolapossono volerci anni di impegnativo lavoro. Quindi in una società civile che trova nel di- zionario, come faceva notare proprio l’ex Ministro Fornero, l’attestazione di un legame diretto tra la figura di “apprendista” e quella di “garzone”, può servire qualcosa di più di una programmazione di “spot lampo” per suscitare motivata simpatia, indipendentemente da quanta ne possa trasmettere il testimonial di turno.
 
Sia chiaro: una campagna di comunicazione del tipo predisposto non guastava di certo, ma tocca es- sere realisti circa i suoi obiettivi. Tra questi poteva ben rientrare la divulgazione delle qualità effet- tive di un profilo contrattuale che, come già osservato (cfr. F.Brudaglio, L’apprendistato: un’opportunità sconosciuta, in Boll. ADAPT, 30 Novembre 2012), riscontrava, e riscontra ancora, scarsa diffusione tra i giovani.
 
La vera comunicazione che cambia le cose però, soprattutto nell’era del web, sarebbe stata quella tra le persone, propense ad un passaparola positivo, testimoni di esperienze virtuose di percorsi di formazione e lavoro. Sarebbero servite numerose e diffuse narrazioni di successo che circolassero in rete, e poi su mezzi tradizionali, per cominciare a consolidare intorno all’apprendistato un corollario di valori.
 
Un obiettivo di storytelling meglio perseguito dalla regione Lombardia con il volume “Lavorare è il miglior modo per imparare”, presentato nel novembre del 2012, che raccoglie una serie di testimo- nianze dirette di ragazze e ragazzi che, al termine di corsi tecnici e professionali, “hanno saputo co- gliere occasioni di lavoro e di successo”.
 
Per tornare alle attività del ministero un esempio analogo è addirittura del 2010 e si trova in un bre- ve video documentario dal titolo “Lavoro e imparo. Storie di apprendistato”, che langue però ormai nella palude della non-viralità sul canale youtube dell’Isfol: nessun commento e 3 “mi piace”.
 
Stando alla campagna recente, cosa dire del sito “vetrina” creato contestualmente al lancio della campagna, completamente privo di canali di interazione se si esclude la possibilità di richiedere in- formazioni tramite un indirizzo e-mail?
 
E se si cerca la parola “apprendistato” sulla bacheca Facebook di Click Lavoro si troveranno solo un altro brevissimo spot istituzionale, postato il 12 dicembre 2012, che riscuote attualmente 14 “mi piace” e 18 condivisioni, nonché una sondaggio lanciato il 22 ottobre 2012 a riguardo dei vantaggi della tipologia di contratto in questione, che ha ricevuto nove risposte in totale. Risultato incredi- bilmente basso per una call to action che proviene da una pagina con più di 28 mila “mi piace”.
 
In sintesi una campagna di relazione oltre che di momenti pubblicitari non c’è stata.
 
Ancor più in profondità è però da rilevare che anche se si fosse andati oltre la programmazione di brevissimi passaggi televisivi, gli sforzi sarebbero probabilmente stati vani. Non solo perché qualsi- voglia racconto positivo non avrebbe potuto rappresentare a lungo lo stato dei fatti, che è addirittura contrario a quelli cui la stessa campagna avrebbe dovuto condurre, ma anche perché la campagna di comunicazione voluta da Fornero non era diretta ad aggredire il problema culturale di fondo, ossia la separazione che nel mondo della formazione, e nel suo immaginario, vige tra attività intellettuale e cultura pratica. A questo riguardo un testimonial che ironicamente non si ricorda in quale discipli- na è laureato, suggerisce addirittura che l’esperienza universitaria non sia significativa, e che l’esercizio pratico abbia fatto tutto il resto.
 
Se il ritardo storico risiede quindi nel sistema di transizioni scuola-lavoro (cfr. M.Tiraboschi, Ap- prendistato: no scorciatoie, ma svolta culturale, in Boll. ADAPT, 17 Dicembre 2012), dove, come ha sottolineato anche il ministro Carrozza recentemente, istruzione e pratica professionale continua- no a incontrarsi troppo poco, allora l’obiettivo profondo di una campagna di comunicazione avrebbe dovuto riguardare il giusto valore della componente lavorativa anche nelle università, presentando l’opportunità dell’apprendistato come un processo integrativo dello studio. Magari ricordando come anche l’abilitazione alle professioni considerate meramente intellettuali richieda lo svolgimento di un praticantato.
 
L’ultima comparsa dell’apprendistato nei telegiornali e sui giornali, ossia l’annuncio della nascita della nuova figura del calciatore apprendista, esprime ancora una visione contrappuntistica, dove l’apprendistato interviene a salvaguardare dai rischi di un incauto abbandono scolastico. Un annun- cio che inoltre pare particolarmente vuoto difronte ai dati che nello stesso periodo sono stati diffusi. Anche se questo contratto dovesse avere fortuna nel nuovo contesto, non si capisce infatti quale beneficio ne deriverebbe per le sorti delle transizioni tra scuola e lavoro del nostro Paese.

Apprendistato: una opportunità da far conoscere
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