Apprendistato oltre il restyling

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Bollettino ADAPT 19 aprile 2022, n. 15

 

Se una incongruenza si è resa del tutto evidente a sette anni dalla riforma dell’apprendistato è certamente quella di aver mantenuto sotto lo stesso ombrello due forme contrattuali che si erano fortemente divaricate. Da un lato i due apprendistati formativi, quello per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e quello di alta formazione e ricerca che divenivano l’ossatura del nuovo sistema duale – dove il  conseguimento di titoli di studio avviene attraverso l’apprendimento in impresa -, dall’altro lato l’apprendistato professionalizzante che, ridotta al lumicino ogni parvenza formativa, è diventato un contratto di inserimento lavorativo. La riprova sta nei numeri: 500 ore annue di formazione in impresa per l’apprendistato di primo livello nei percorsi di IeFP, a fronte delle 120 ore di formazione in un triennio per il professionalizzante. Metter mano oggi alla legge n.81 del 2015 significa partire da qui.

 

Ma altri due punti di partenza risultano imprescindibili per il legislatore; si tratta di dare risposta a due domande di fondo. Che ne è stato dell’apprendimento duale nel sistema scolastico del secondario superiore? Con quale forma contrattuale si potranno declinare le politiche attive di riqualificazione dei disoccupati volute dal PNRR?

 

Sulla prima questione, oggi si può tranquillamente affermare che il sistema duale di apprendimento nella filiera del secondario superiore è quasi del tutto estinto. Con la soppressione dell’alternanza scuola lavoro da parte del ministro Bussetti nel 2019 sostituita dai PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) e con il dimezzamento delle ore di apprendimento in azienda si è strutturalmente reso impossibile fare formazione duale nella scuola superiore. Quei circa mille studenti degli Istituti Tecnici e Professionali inseriti in apprendistato nel primo biennio di entrata in vigore della riforma (2016/17) si sono ridotti oggi in qualche decina. L’organico raccordo che venne costruito con il Jobs Act, tra le riforme dei contratti di lavoro e la riforma della Buona Scuola oggi è del tutto naufragato.

 

Sulla seconda questione. Gli ambiziosi obiettivi di riorganizzare le politiche attive attraverso gli interventi del PNRR rischiano di rimanere irraggiungibili se non vengono attivati gli idonei strumenti. Il decreto Nuove Competenze ha definito con puntualità come si intende intervenire per attivare la formazione di reskilling -che andrebbe a contrastare i bacini di disoccupazione di lunga durata (Neet, percettori di reddito di cittadinanza, disoccupati in Naspi da oltre sei mesi) – individuando percorsi di riqualificazione di circa 600 ore. È proprio per corrispondere a questa esigenza formativa che si renderebbe necessario far nascere un terzo apprendistato formativo che definirei apprendistato di riqualificazione. Poiché l’attuale apprendistato di primo livello è rigorosamente circoscritto all’età giovanile (fino ai 25 anni) manca totalmente una forma contrattuale che possa oggi coniugare i percorsi formativi di riqualificazione degli adulti (predisposti per conseguire un titolo di qualifica regionale) con le modalità proprie dell’apprendimento in contesto di impresa.

 

È in seguito a queste considerazioni che appare del tutto deludente l’approccio di restyling che caratterizza la proposta di emendare l’apprendistato presentata dall’on. Gribaudo e incardinata per l’esame in Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Il suo limite principale infatti è proprio la pretesa di far convivere con le medesime regole i tre molto diversi apprendistati oggi esistenti.

 

Nel merito. Il recesso nel contratto di apprendistato professionalizzante potrebbe beneficiare dell’introduzione di una norma che stabilisca altre due finestre (ad un terzo e a due terzi della durata contrattuale pattuita) oltre a quella già esistente a fine rapporto. Rendendo più libere le parti nei casi in cui l’inserimento lavorativo non sia stato appropriato. Del tutto diverso invece risulta l’impatto di tale norma sull’apprendistato di primo livello, nel quale invece è indispensabile mantenere il testo vigente (art. 42) che prevede la risoluzione contrattuale non a scadenze precostituite, ma solo nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi formativi. In tal modo evidenziando che la finalità dell’apprendistato di primo livello è esclusivamente formativa e che le regole che lo disciplinano devono essere rigorosamente coerenti con questa finalità.

 

Ancora, portare la retribuzione ad una soglia minima del 60% calcolata sul sotto inquadramento di due livelli previsto dagli emendamenti presentati può anche essere giusto, ma solo se limitato al professionalizzante. Aggiungerebbe invece un aggravio improprio alle imprese negli altri casi. C’è infatti da ricordare che gli oneri del tutoraggio formativo in capo all’azienda sono di gran lunga superiori negli apprendistati formativi, proprio a causa del considerevole monte ore di formazione da erogare in azienda rispetto alla esiguità del professionalizzante. Su queste motivazioni fu sottoscritto l’Accordo interconfederale tra CGIL-CISL-Uil e Confindustria nel maggio del 2016 che stabiliva la soglia minima di retribuzione d’ingresso dell’apprendista di primo livello nel 45% della retribuzione di riferimento. Consapevole di questa problematica nel 2016 il MLPS tramite ANPAL Servizi predispose un programma denominato Fixo – inopinatamente interrotto dal presidente Parisi nel 2019 – con il quale concorrere alle spese del tutoraggio aziendale con un contributo pubblico. Con tutta evidenza una misura di questo tenore potrebbe incidere negativamente sull’apprendistato duale.
 

Ancora, aumentare i vincoli di stabilizzazione al termine del contratto di apprendistato sia per le imprese sotto i cinquanta dipendenti, sia in riferimento alla percentuale di apprendisti da trattenere con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, può essere una misura coerente per il professionalizzante, ma del tutto impropria per i due apprendistati formativi. Le finalità di queste due ultime forme contrattuali infatti sono esclusivamente rivolte al conseguimento di titoli di studio, tramite percorsi duali di apprendimento, se venissero creati dei vincoli di stabilizzazione eccessivi correremo il rischio di dissuadere ancor di più le aziende nell’utilizzo di questo strumento.

 

Andrebbe invece posta una limitazione all’apprendistato di alta formazione e ricerca nell’intento di impedirne la trasformazione in apprendistato professionalizzante. Tale limitazione trova la sua motivazione nell’insensatezza di consentire che dopo un periodo di formazione in apprendistato per il conseguimento della laurea, apice dei percorsi formativi, si possa giustificare un ulteriore periodo triennale di apprendistato professionalizzante che allungherebbe la formazione stessa fino a 27 o 28 anni.

 

In conclusione, ci sarebbe la necessità di una profonda innovazione nella legislazione per rilanciare il sistema duale introdotto in Italia e continuamente sottoposto ad incursioni che ne stanno pesantemente depotenziando le caratteristiche. Se c’è abbastanza fiato in questa maggioranza per fare tutto ciò si metta rapidamente in pista una riforma vera, ma se si reputa che proprio per le sue intrinseche contraddizioni interne questa maggioranza non abbia i requisiti per intraprendere questo cammino almeno ci si limiti a non fare danni. 

 

Maurizio Drezzadore

Consulente di Formazione

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