Alcune considerazioni in ordine sparso in tema di equo compenso, salario minimo, tariffe orarie e politiche sulle libere professioni

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Bollettino ADAPT 13 giugno 2022, n. 23

 

Nelle scorse settimane, l’equo compenso è tornato di nuovo al centro dell’agone politico e diverse forze partitiche si sono scontrate sull’argomento. Durante tutta la durata della legislatura (ormai agli sgoccioli), diverse sono state le proposte di legge presentate in parlamento da parte dei rappresentanti delle più disparate forze dell’arco parlamentare: la proposta AC.301 a prima firma Meloni, la proposta AC.1979 a prima firma Mandelli, AC.2192 a prima firma Morrone, AC. 2741 a prima firma Bitonci, AC. 3058 a prima firma Di Sarno, AC.620 a firma Porchietto, AS.1425 a firma Santillo.

 

Tutte queste proposte di legge di iniziativa parlamentare sono state abbinate e sono confluite in un unico testo di legge AC.3179 a firma Meloni, Morrone, Mandelli, rubricato “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” che è stato adottato come testo base dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati. La proposta di legge è stata approvata in seno alla stessa commissione nel novembre dello scorso anno passando poi al Senato dove il disegno di legge AS.2419 è in corso di esame assieme all’AS.1425 e sembra essersi arenato nella Commissione Giustizia.

 

Il quadro normativo della disciplina dell’equo compenso

 

La disciplina dell’equo compenso era stata introdotta nella scorsa legislatura dall’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017, e dall’art. 1, commi 487 e 488, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) per porre rimedio allo squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti “forti”, individuati nelle imprese bancarie e assicurative nonché nelle imprese diverse dalle PMI. L’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 nello specifico ha disciplinato il compenso degli avvocati nei rapporti professionali con imprese bancarie e assicurative, nonché con imprese diverse dalle microimprese e dalle piccole e medie imprese, quando il rapporto professionale sia regolato da una convenzione.

 

Il legislatore ha introdotto così una disciplina del compenso presupponendo che la convenzione sia stata predisposta unilateralmente dal cliente “forte” a svantaggio del professionista. A tal fine, il decreto-legge ha introdotto nella legge professionale forense (legge n. 247 del 2012) l’articolo 13-bis, poi modificato dalla legge di bilancio 2018, che definisce equo il compenso dell’avvocato determinato nelle convenzioni quando esso sia: «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» e «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale», nonché conforme ai parametri determinati dal decreto del Ministro della Giustizia per la determinazione del compenso dell’avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquidazione giudiziale.

 

Il comma 2 dell’art. 19-quaterdecies, inoltre, ha esteso il diritto all’equo compenso previsto per la professione forense, in quanto compatibile, anche a tutti i rapporti di lavoro autonomo che interessano professionisti, iscritti o meno agli ordini e collegi, i cui parametri sono definiti dai decreti ministeriali attuativi del decreto-legge n.1 del 2012 il quale ha soppresso le tariffe professionali e ha introdotto i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi in caso di mancato accordo tra le parti.

 

Contenuti del disegno di legge AS.2419

 

Il provvedimento approvato alla Camera si compone di 13 articoli e interviene sulla disciplina dell’equo compenso delle prestazioni professionali rese nei confronti di particolari categorie di imprese con la finalità di rafforzare la tutela del professionista. Viene specificato che per essere considerato equo il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professio­nale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:

– per gli avvocati dal regolamento di determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense (art. 13, comma 6, della legge n. 247 del 2012)

– per gli altri professionisti iscritti a ordini o collegi, dai regolamenti di determinazione dei parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante la professione (ai sensi dell’art. 9 del decreto-legge n. 1 del 2012)

– per gli esercenti professioni non organizzate in ordini o collegi, ai sensi dell’art. 1 comma 2 della legge n. 4 del 2013, da decreti del Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, e successivamente da aggiornare con cadenza biennale, sentite le associazioni professionali di cui all’art. 2 della legge n. 4 del 2013.

 

L’art. 2 definisce l’ambito di intervento della legge che si applica al compenso dei professionisti in relazione ad attività professionali che: 1) hanno ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c.; 2) trovano fondamento in convenzioni; 3) sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

 

L’art.  3 dispone la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato per lo svolgimento di attività professionali e che nello specifico siano nulle le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi. Il comma 5 dell’art.3 specifica che l’azione per far valere la nullità della pattuizione e per chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata, può essere promossa dal professionista, innanzi al tribunale del luogo ove egli ha la residenza o il domicilio.

 

L’art. 4 stabilisce che spetta al giudice la rideterminazione del compenso iniquo condannando il committente al pagamento dovuto. Il comma 5 specifica invece che gli accordi vincolanti per il professionista conclusi con le imprese c.d. “forti” si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salvo prova contraria. Viene attribuita ai consigli nazionali delle professioni la legittimazione ad agire in giudizio in caso di violazione delle disposizioni in materia di equo compenso e demanda agli ordini e collegi professionali il compito di introdurre norme deontologiche per sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull’equo compenso e che ometta di esplicitare alla controparte che il compenso dovrà comunque rispettare la disciplina.

 

L’art. 6 stabilisce una “presunzione di equitàconsentendo alle imprese di adottare modelli standard di convenzione, concordati con i Consigli nazionali degli ordini o i collegi professionali e che i relativi compensi si presumano equi sino a prova contraria. Il successivo art. 7 prevede invece un parere di congruità con efficacia di titolo esecutivo emesso dall’ordine o dal collegio, in alternativa alle procedure di ingiunzione di pagamento.

 

Viene decretata inoltre dall’art. 9 la possibilità di tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l’azione di classe, proposta dal consiglio nazionale dell’ordine o dalle associazioni professionali maggiormente rappresentative. L’art. 10 istituisce presso il Ministero della giustizia l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso, composto da un rap­presentante nominato dal Ministero del la­voro e delle politiche sociali, da un rappre­sentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali, da cinque rappre­sentanti, individuati dal Ministero dello sviluppo economico, per le associazioni di pro­fessionisti non iscritti a ordini e collegi, di cui al comma 7 dell’art. 2 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, ed è presieduto dal Ministro della giustizia o da un suo dele­gato con il compito di vigilare sul rispetto della legge, esprimere pareri o formulare proposte sugli atti normativi che intervengono sui criteri di determinazione dell’equo compenso o disciplinano le convenzioni; segnalare al Ministro della giustizia pratiche elusive delle disposizioni sull’equo compenso; presentare alle Camere una relazione annuale sulla propria attività di vigilanza.

 

Considerazioni critiche sul disegno di legge AS.2419

Il tema equo compenso assume una generale natura problematica nell’ordinamento come testimoniano le stratificazioni normative e le continue novelle che la disciplina ha subito sin dall’abrogazione dei minimi tariffari con il decreto-legge n. 223 del 2006 e il decreto-legge n. 1/2012 che hanno configurato il criterio unico di libera pattuizione. La stessa legge sull’equo compenso ha generato un articolato dibattito che ha coinvolto e continua a coinvolgere parti sociali, rappresentanze, ordini professionali, casse privatizzate, associazioni di categoria.

 

In particolare, le maggiori incongruenze riguardano l’art. 5 che prevede l’affidamento delle sanzioni disciplinari all’ordine di appartenenza che risulterebbero piuttosto critiche in quanto vanno ad accrescere smisuratamente il potere e le attribuzioni degli ordini professionali sugli iscritti esorbitando così dal loro ruolo tradizionale. L’art. 5, comma 6, disciplinante i modelli standard di convenzione, concordati con i Consigli nazionali degli ordini o i collegi professionali, i cui relativi compensi si presumono equi sino a prova contraria, introdurrebbe indirettamente un vulnus alla libertà contrattuale e al principio di libera pattuizione, non più in capo al libero professionista ma all’ente esponenziale di riferimento. Questo avrebbe delle conseguenze a livello di disciplina antitrust europea che vieta il potere restrittivo degli ordini professionali e di discriminazione tra professionisti iscritti e non iscritti agli ordini professionali.

 

Considerazioni finali sulle tendenze dell’ordinamento italiano in materia di professioni La disciplina vigente in tema di equo compenso si è finora rivelata di complessa applicazione pratica e ha dato luogo ad una giurisprudenza piuttosto ondivaga come testimoniano le diverse impostazioni seguite dai giudici. La legge è stata emanata nonostante fossero chiare le problematiche applicative e i dubbi di compatibilità con la normativa comunitaria come aveva segnalato nel 2017 l’Autorità garante per la concorrenza e per il mercato pronunciandosi tramite parere in merito all’art. 19 quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 secondo il quale tramite l’equo compenso si sarebbe pervenuti ad “una reintroduzione delle tariffe minime nell’ordinamento esteso all’intero settore dei servizi professionali che non risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale e si pone in stridente controtendenza con i processi di liberalizzazione che, negli anni più recenti, hanno interessato il nostro ordinamento anche nel settore delle professioni regolamentate”.

 

Lo spirito delle diverse proposte di legge indurrebbe ad alcune ulteriori perplessità riguardanti i continui e costanti richiami delle relazioni illustrative o di accompagnamento delle proposte di legge, all’art. 36 Cost. e al principio di retribuzione proporzionata e sufficiente. La giurisprudenza, sino ad oggi, ha infatti negato l’applicabilità del principio al lavoro autonomo del professionista come affermato da diverse pronunce (cfr. Cass. 6 novembre 2015, n. 22701) e dalla dottrina maggioritaria.

 

Si assiste quindi ad una inclinazione generale del legislatore a voler assicurare un salario minimo ai lavoratori subordinati e parallelamente un equo compenso al lavoro autonomo professionale come diretta applicazione dell’art. 36 Cost. Questo concezione sembrerebbe essere confermata dalle numerose proposte emendative presentate al disegno di legge AS.658 a prima firma Catalfo sull’istituzione del salario minimo orario, attualmente in discussione presso la Commissione lavoro del Senato, ove sono state presentate alcune singolari proposte emendative (1.8, 5.0.2) volte a far confluire il tema equo compenso nella disciplina del salario minimo legale attualmente in discussione.

 

A chiudere il cerchio delle anomalie che suscitano alcune perplessità circa le modalità con cui il legislatore sta intervenendo sul mondo delle professioni vi è lo schema di decreto ministeriale recante modifiche al regolamento di cui decreto del Ministro della giustizia 10 marzo 2014, n. 55, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ove viene introdotta con l’art. 22-bis una formula di compenso orario a tempo, proposta direttamente dal Consiglio Nazionale Forense, che prende a riferimento i dati pubblicati da una rivista di avvocati (questo si apprende consultando la documentazione allegata dalla Camera dei deputati), col paradosso di introdurre una tariffa oraria nell’ambito professionale forense e con (forse) conseguenze notevoli sul concetto di prestazione d’opera intellettuale e di libera professione.

 

Sullo sfondo rimane però il tema della necessità di una tutela del lavoro autonomo professionale che non può essere, a parere di chi scrive, inglobata nelle tutele tipiche della subordinazione, posto che questa categoria di lavoratori è destinataria in modo pedissequo dei principi concorrenziali derivanti dall’art. 101 TFUE che impediscono qualsiasi forma di aggregazione collettiva degli interessi per via contrattuale.

 

Andrea Zoppo

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@AndreaZoppo

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