La scelta del contratto collettivo applicabile: spunti a margine di una recente sentenza

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Bollettino ADAPT 12 aprile 2021, n. 14

 

Con la sentenza in commento il Tribunale di Milano, aderendo ad una giurisprudenza prevalente, ha ritenuto sussistente la nullità della clausola retributiva del contratto individuale di lavoro stipulato tra un’impresa e un suo dipendente per “contrarietà alla norma imperativa” (cioè l’art. 36 Cost.) “con conseguente potere/dovere del Giudice di sua sostituzione ex art. 1419, co. 2, c.c. con quella derivante dall’applicazione di un diverso contratto collettivo mediante l’individuazione dell’ammontare retributivo rispondente alle caratteristiche di sufficienza e proporzionalità rispetto al lavoro svolto dal dipendente“.

 

In punto di fatto, il lavoratore lamentava (i) di essere stato assunto e inquadrato con il livello E del CCNL Legno-Artigiani, nonché (ii) di aver svolto la sua attività lavorativa come autista con servizio di carico e scarico merci mediante uso di “paperino e transpallet“, asserendo che detta (effettiva) mansione, dallo stesso svolta nell’ambito di un contratto d’appalto stipulato dal datore di lavoro con un’azienda cliente, fosse incongruente sia con la qualifica di assunzione di “addetto montatore di mobili, sia con la declaratoria del livello applicato  sia con la tipologia dell’impresa datrice di lavoro, non iscritta nei pubblici registri come azienda artigiana. Nelle sue conclusioni il ricorrente chiedeva che fosse accertato il suo diritto a percepire ex art. 36 Cost. una retribuzione mensile non inferiore a quella del 4° (o del 5°) livello ex CCNL Trasporto Merci e Logistica, o in subordine, la differenza retributiva dovuta all’inquadramento al livello «C» o al livello «D» del CCNL Legno-Artigiani.

 

La società resistente contestava anzitutto la sussistenza di un contratto di appalto tra la stessa e la società datrice di lavoro del ricorrente, asserendo che l’oggetto del contratto fosse qualificabile come un (mero) servizio di trasporto merci, a fronte del quale non troverebbe applicazione l’obbligo solidale previsto dall’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003. Chiedeva in subordine la preventiva escussione del creditore principale e, ancor più in subordine, il “contenimento nel minimo sia del livello di inquadramento sia della retribuzione“. Il Giudice adito, dopo un excursus comparativo delle declaratorie di livello dei due contrapposti CCNL richiamati dalle parti (CCNL Trasporti e Logistica e CCNL Legno-Artigiani), concludeva per l’applicabilità al rapporto di lavoro del livello 4° ex CCNL Trasporto e Logistica, “non essendovi alcuna possibilità di inquadrare le incombenze svolte dal dipendente nell’ambito del CCNL Legno Artigiani”, affermando altresì che non vi fosse “motivo di richiamare tale normazione collettiva per sostenere la corresponsione di una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., in quanto  norma precettiva ed immediatamente applicabile.

 

In supporto alla sua decisione, il Giudice richiamava alcune note sentenze della Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. n. 2665/1997; Cass. n. 10002/2000; Cass. n. 7157/2003; Cass. n. 3137/2019; Cass. n. 944/2021).  In punto di fatto si osserva anzitutto che l’art. 24 del CCNL Legno-Artigiani prevede sia la mansione di autista che svolge “operazioni di carico e scarico“, inquadrandolo alla categoria C, sia la mansione di “montatore di mobili, che inquadra nella categoria D.

 

La categoria E del citato art. 24 (corrispondente a quella di assunzione) si riferisce invece agli operai con minor esperienza lavorativa, che svolgono, tra le altre mansioni, quella di imballaggio e assemblaggio di mobili; il che obiettivamente esclude le mansioni di autista svolte (in via esclusiva o cumulativa) dal ricorrente.  Non è chiaro tuttavia il motivo per cui il Giudice, una volta rilevate le effettive mansioni svolte dal lavoratore, non abbia ritenuto di riconoscere allo stesso l’inquadramento in una delle due categorie del CCNL Legno-Artigiani, richieste (in via subordinata) dallo stesso ricorrente, anche se la (probabile) motivazione va ricercata in altro passaggio della sentenza (pag.7) dove si legge (testualmente): “considerando l’attività imprenditoriale svolta dal datore di lavoro relativa al trasporto merci e le mansioni di autista espletate dal lavoratore, appare congruo, nel caso di specie, il riferimento al CCNL Trasporto Merci e Logistica“.

 

Questo passaggio della sentenza, infatti, sottende il richiamo all’art. 2070 c.c., ma tralascia un aspetto essenziale, che fa la differenza: anche il CCNL Trasporto e Logistica si applica alle imprese artigiane, le cui rappresentanze associative hanno sottoscritto il contratto collettivo!

 

Per completezza di esposizione, va aggiunto che tutte le declaratorie di categoria elencate nell’art.24 del CCNL Legno-Artigiani costituiscono “esemplificazioni non esaustive del profilo“, non escludendo quindi che all’interno delle singole categorie siano possibili mansioni promiscue oscillanti tra i vari profili professionali. L’affermazione che non vi fosse “alcuna possibilità di inquadrare le incombenze svolte dal dipendente nell’ambito del CCNL Legno Artigiani” appare, in conclusione, non rispondente alla realtà contrattuale.

 

Le mansioni svolte dal ricorrente, per quanto è possibile dedurre dai pochi dati posseduti, non sembrano, peraltro, quelle di “autista a lunga percorrenza” inquadrato al 3° livello CCNL Trasporti e Logistica, quanto quelle riferibili al “personale viaggiante in regime di discontinuità (tale è la definizione dell’art.11 del citato CCNL), cui (verosimilmente, o comunque probabilmente) si aggiungevano mansioni accessorie di carico e scarico e montaggio del mobilio trasportato. Diversamente sarebbe del tutto incomprensibile la decisione datoriale di inquadrare il lavoratore come “addetto montatore di mobili“. Detta qualifica contrattuale comporta peraltro sensibili differenze di trattamento delle quali, contrariamente a quanto sostiene il Giudice, rifacendosi alla giurisprudenza prevalente, non è possibile non tener conto in quanto è sulla base della disciplina generale del contratto collettivo, che si determina la retribuzione.

 

Nello stabilire, infine, che il rapporto di lavoro del ricorrente fosse riferibile al 4° livello del CCNL Trasporto Merci e Logistica, la sentenza infatti precisa : “è altresì principio assodato che, nel valutare la sufficienza e proporzionalità della retribuzione, non può disporsi un’applicazione integrale e minuziosa di tutte le clausole del CCNL di riferimento individuato, ma vanno considerate solo quelle che costituiscono il minimo costituzionale, con esclusione degli istituti retributivi legati all’autonomia contrattuale, quali, ad esempio, la 14° mensilità“. Trascurando peraltro il fatto che tra gli “istituti retributivi legati alla autonomia contrattuale” si annovera anzitutto la retribuzione, per espresso richiamo dell’art. 2099 c.c. 

 

Le summenzionate circostanze potrebbero ipotizzare un vizio logico della motivazione. Ma ci si astiene dall’azzardare tale ipotesi, in assenza del materiale istruttorio contenuto nel fascicolo processuale, limitandoci a rappresentarle in forma meramente dubitativa. 

 

La questione della libertà contrattuale

 

Sembra utile ricordare che, nell’attuale sistema post-corporativo la libertà contrattuale consente oggi ai lavoratori e alle imprese di aderire al sindacato/associazione professionale che maggiormente soddisfa i propri bisogni/interessi, con riferimento sia all’attività svolta (artigianale, industriale, cooperativa), sia alle dimensioni ed alle caratteristiche dell’impresa (individuale, di persone, di capitali), sia al settore economico di appartenenza, sempre più multisettoriale. L’assenza di un’efficacia “erga omnes” dei contratti collettivi di lavoro ha quindi sostanzialmente modificato i tratti giuridici di riferimento della disciplina.

 

Il contratto collettivo (nelle sue varie articolazioni e livelli), per giurisprudenza conforme è da intendersi un  contratto di diritto comune che si determina non più (e comunque non solo) in base all’appartenenza delle imprese ad una specifica categoria ed attività professionale, ma tenendo conto di un insieme di elementi di diversa natura, tra i quali, per citarne alcune: a) l’associazione datoriale cui l’imprenditore è iscritto (o la scelta di non associarsi);  b)  la volontà delle parti che stipulano il contratto individuale di lavoro, tenendo conto del loro “comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”; c) l’attività svolta dall’impresa;  d) la categoria di iscrizione all’Ente Previdenziale; e) la tipologia e le caratteristiche  strutturali dell’impresa.

 

La stessa giurisprudenza ha negato che dall’art.36 possa mutuarsi un principio di parità di trattamento dei lavoratori. Secondo la Suprema Corte “non esiste nel nostro ordinamento un principio che imponga al datore di lavoro, nell’ambito dei rapporti privatistici, di garantire parità di retribuzione e/o inquadramento a tutti i lavoratori svolgenti le medesime mansioni“.

 

La norma costituzionale, per espressa previsione dell’art. 2099 c.c. è in tal senso “cedevole” a favore della disciplina collettiva, alla quale viene delegato il compito di interpretare i principi affermati dall’art. 36, attualizzandoli nel tempo in funzione delle contrapposte esigenze delle imprese e dei lavoratori, nell’eterna ricerca della pace sociale fondata sull’equilibrio tra capitale e lavoro.

 

Il principio di “sufficienza” della retribuzione

 

Nell’attuale scenario socio-economico, in una lettura attualizzata ed orientata dell’art.36 della Costituzione, la retribuzione sufficiente in grado di assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa andrebbe dunque oggi individuata nel mix di  misure, economiche e normative, composte all’interno dei contratti collettivi, che vanno assunte in modo unitario e complessivo, al fine di stabilire, contratto per contratto, quale sia  il valore globale del trattamento economico di cui  retribuzione rappresenta un’importante ma non unico elemento di confronto e di valutazione. Alcuni esempi possono meglio chiarire il concetto.

 

A) Distribuzione dell’orario settimanale di lavoro

 

In alcuni CCNL la settimana di lavoro è articolata su 6 giorni, in altri su 5 giorni. Nel primo caso una settimana di ferie assorbe 6 giorni del monte ferie annuale anche se la distribuzione settimanale dell’orario è su cinque giorni, nel secondo caso ne assorbe solo 5, con vantaggio del lavoratore in termini di giornate di riposo. Nel CCNL Legno-Artigiani l’orario normale di lavoro è di 40 ore settimanali, distribuite su 5 giorni con riposo cadente di norma al sabato; in caso di distribuzione su 6 giorni, per le ore normali prestate di sabato (fino ad un massimo di 4) è dovuta una maggiorazione dell’8% della retribuzione globale di fatto. Nel CCNL Trasporti l’orario normale di lavoro è di 39 ore settimanali per i (soli) lavoratori addetti ai viaggi di lunga percorrenza, ma sale a 44 ore per il personale viaggiante discontinuo (corrispondente al livello di inquadramento deciso dal giudice nella sentenza in esame).

 

B) Maggiorazione del lavoro straordinario diurno, notturno, festivo

 

Nel CCNL Legno-Artigiani la maggiorazione del lavoro straordinario normale è del 28%, e del 50/55% per il notturno nel CCNL Trasporti e Logistica le maggiorazioni vanno dal 30% al 50%, con differenze tra personale viaggiante e discontinuo.

 

C) Durata del lavoro notturno

 

Nel CCNL Trasporti e Logistica è considerato notturno il lavoro svolto dalle ore 24 alle ore 7; nel CCNL Legno-Artigiani l’orario notturno va dalle ore 22 alle ore 6.

 

D) Scatti stipendiali

 

Nel CCNL Legno-Artigiani sono 5 con scadenza biennale, nel CCNL Trasporti e Logistica sono 5, ma solo per il settore trasporti, essendo stati soppressi per il settore logistica dal 2013.

 

E) Trattamento di malattia

 

Nel CCNL Legno-Artigiani l’integrazione è del 100% nei primi 180 giorni e del 34% fino al 270° giorno; nel CCNL Trasporti Logistica l’integrazione è del 100% per i primi 3 mesi e del 50% per i 5/7 mesi successivi, secondo l’anzianità di servizio.

 

F) Periodo di comporto

 

Nel CCNL Legno Trasporti Logistica la conservazione del posto è garantita da un minimo di 245 ad un massimo di 365 giorni, calcolati secondo l’anno solare (a ritroso) secondo l’anzianità di servizio; nel CCNL Legno-Artigiani la conservazione del posto è garantita fino a 270 giorni, con possibilità di prolungare il periodo di 24 mesi in caso di malattia oncologica.

 

Sono solo alcuni esempi, che per ragioni di sintesi tratteggiamo in tal modo, ma potrebbero essere ampliati prendendo in considerazione altri CCNL e altri elementi, come il trattamento di trasferta, le indennità in caso di trasferimento della sede di lavoro, e così via. Ma tali elementi sembrano sufficienti ad evidenziare quanto obiettivamente sia limitante (e fuorviante), oggi, individuare il parametro della “sufficienza” della retribuzione attraverso la sola comparazione della retribuzione annua lorda (RAL) prevista da diversi CCNL, se si vuol rispettare la reale prospettiva costituzionale.

 

La decisione del Giudice, nella sentenza esaminata, riapre quindi anche il tema sulla giusta retribuzione, che nel   caso specifico avrebbe potuto (o dovuto?) essere affrontato utilizzando parametri più coerenti con la ratio delle norme di riferimento.  Non resta che auspicare che la futura giurisprudenza muti in futuro orientamento, tenendo conto della necessità di eseguire una valutazione più complessiva del trattamento economico e normativo dei diversi CCNL assunti in comparazione per la determinazione della giusta retribuzione.

 

Antonio Tarzia

ADAPT Professional Fellow

 

La scelta del contratto collettivo applicabile: spunti a margine di una recente sentenza