Per favore, non chiamatelo smart working

Dopo l’entusiasmo iniziale stiamo tutti sperimentando i limiti di un modo di lavorare che, senza la possibilità di scelta, perde di senso

 

Tra le tante prove di stress a cui l’Italia è sottoposta in questi giorni ve n’è una che fornirà materia di riflessione a tutti gli studiosi di organizzazioni e a qualche ingegnere informatico. Riguarda i 554 mila lavoratori (dati Ministero del Lavoro) che in due settimane hanno dato vita al più rapido esperimento di smart working del mondo occidentale. Effetto del Covid-19 e del decreto del 23 febbraio, che con un tratto di penna ha quasi raddoppiato d’imperio il numero di “telalavoristi” (fino a quel momento 570 mila, il 2% della popolazione lavorativa), ha imposto picchi tra il 20 e il 50% al traffico telefonico, ha messo a nudo i limiti della banda larga nazionale (76% degli utenti esclusi, contro il 40% della media Ue). Tre effetti difficilmente replicabili in vitro, sperimentati tra i tanti anche da chi scrive. Ecco dunque alcune osservazioni “in diretta”…

 

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Per favore, non chiamatelo smart working
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