La Cina verso l’unità di un codice civile

Non so se Xi Jinping, l’autorevole presidente della Repubblica popolare cinese, conosca o rammenti l’alta considerazione in cui Napoleone, ormai relegato nella solitaria isola dell’Atlantico, e incline a ripercorrere le stagioni della vita, teneva il proprio codice civile; ed i superbi giudizi allora pronunciati dal Bonaparte: «Il solo mio codice, per la sua semplicità, ha fatto alla Francia più bene che l’insieme delle leggi che lo hanno preceduto»; «… ho creato un codice che eternerà il mio nome fin nei secoli più lontani».
Potrebbe ben assumerli per guida e augurio di un’opera legislativa, che si va compiendo in Cina, ed offrirà all’immenso Paese, a un miliardo e mezzo di uomini, un codice civile. Chi, come l’autore di questo resoconto, abbia avuto la fortuna di svolgere lezioni in Università e accademie cinesi, e di dialogare con colleghi giuristi ed uomini politici, rimane sorpreso della profondità e serietà dei lavori preparatori, dell’attenzione alle esperienze europee, del libero confronto fra diverse prospettive.
È dominante, nelle menti e negli animi, l’idea di unità, della necessaria costruzione d’un edificio legislativo, in cui, per così dire, abitino ed operino tutti i cinesi, ed anche gli stranieri venuti a investire capitali ed a cogliere le occasioni di un immane sviluppo economico e tecnico. L’unità storico-politica della Cina non può non tradursi in unità legislativa, ossia in un codice civile, capace di raccogliere il lascito del passato e di tracciare le linee del comune cammino.

 

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