Protocollo Amazon, fu vera storia?

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Bollettino ADAPT 20 settembre 2021, n. 32

 

Solo il 12 aprile scorso si consumava in Alabama l’ultimo degli episodi che hanno fatto guadagnare ad Amazon la fama di multinazionale nemica dichiarata del sindacato. Il 70% dei lavoratori votava contro l’ingresso del sindacato nello stabilimento di Bessemer facendo fallire il più serio dei tentativi fino a quel momento messi in campo. Verdetto contestato dal sindacato che annunciava di fare ricorso al National Labor Relation Board (Nlrb) in quanto l’azienda avrebbe utilizzato vari canali di comunicazione diretta con i lavoratori invitandoli a votare no.

 

In Germania, secondo mercato per importanza per Amazon. Il primo sciopero risale al 2013. Il sindacato dei servizi Verdi aveva organizzato l’ultimo, di tre giorni, a Giugno in occasione dell’Amazon Prime Day. Il precedente era stato annunciato poche settimane prima, a fine marzo. Gli stessi giorni in cui in Italia si registrava il primo sciopero “di filiera” contro il colosso statunitense dell’e-commerce. Ad astenersi dal lavoro e protestare erano stati cioè sia gli addetti degli hub, sia i corrieri, molti dei quali dipendenti di diverse piccole aziende appaltatrici. L’iniziativa si era guadagnata un certo clamore mediatico (anche sui social, come si vede nell’immagine sotto), rappresentando una stagione di tensioni nell’intero settore della logistica.

 

Tweet che contengono la parola “Amazon” scritti in lingua italiana

Fonte API Twitter, dati raccolti da Catchy Big Data

 

Basterebbero questi recenti episodi a spiegare la sorpresa per la firma proprio in Italia di un accordo tra Amazon e i sindacati nel quale si legge che, per le parti, “le relazioni industriali sono un valore in sé”. Un “protocollo per la definizione di un sistema condiviso di relazioni industriali” sottoscritto tra Amazon Logistica e le organizzazioni di rappresentanza dei trasporti e dei lavoratori atipici (Filt- Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, NidilCgil, Felsa-Cisl, Uiltemp e Conftrasporto) il 15 settembre scorso e definito un inedito a livello mondiale (o europeo, a seconda delle voci) e quindi come un’intesa “storica”. Così le organizzazioni firmatarie e il Ministro del Lavoro Orlando che ha promosso il confronto e il suo partito (PD).

 

L’intesa siglata non viene dal nulla, ma è frutto di un percorso, per quanto più breve rispetto a quelli avviati in altri Paesi. Proprio la definizione di accordo storico, che avrebbe dovuto fare scuola in Europa, era già toccata per esempio in territorio Amazon all’accordo sperimentale del 2018, siglato a Castel San Giovanni con i sindacati del terziario (Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil e Ugl-Terziario). Accordo che prevedeva maggiorazioni per il lavoro notturno volontario e che era successivo anch’esso a uno sciopero di una certa eco mediatica, il primo in casa Amazon Italia, proprio a Castel San Giovanni (nel 2017).

 

In Italia, aprendo al tema della relazioni sindacali Amazon modifica in ottica espansiva la sua rappresentazione degli addetti. Ne comunica cioè una visione più ampia, superando l’idea del lavoratore come mero ingranaggio impegnato a garantire le consegne ai consumatori. Immagine che era sottintesa dal frame della “promessa con il cliente” a cui facevano ripetuto riferimento le risposte dell’azienda alle domande rivolte ai suoi dirigenti nel contesto del già citato sciopero al polo logistico di Castel San Giovanni (un esempio qui e qui). Non per nulla l’azienda ha annesso alla sua nota di commento della firma del recente protocollo l’annuncio di tremila assunzioni che avverranno nel prossimo breve periodo: un’espansione sia quantitativa sia qualitativa.

 

Che poi il protocollo firmato in Italia sia un precedente che porterà Amazon verso una svolta ESG a livello globale (dimensione della competizione internazionale dalla cui orbita è sempre più difficile sfuggire per le Big Corp) resta da vedere. Vista dall’estero, la scelta di Amazon Logistica in Italia, che non ha avuto lo spazio che avrebbe meritato sui media stranieri, potrebbe anche essere intesa sì come una dimostrazione della forza del movimento sindacale italiano, ma nel senso di confermare quanto siano centrali le relazioni industriali in Italia, come aveva avuto a sottolineare Sergio Marchionne al tempo del caso Pomigliano individuandole come principale fattore discriminante per la possibilità di una multinazionale di fare impresa nel nostro Paese.

 

Se quindi ci sono pochi dubbi sull’importanza anche simbolica dell’accordo, il banco di prova delle sue ricadute concrete in Italia è lo stesso attorno al quale si è consumata la rottura tra azienda e sindacati che ha portato allo sciopero di marzo: il contratto integrativo aziendale. Ciò considerato, e visto anche l’ingente investimento in termini comunicativi messo in campo sia dalle rappresentanze firmatarie, sia dalla politica (si veda il segretario del PD Enrico Letta che vede già migliorati i diritti dei lavoratori), ci si potrebbe anche chiedere se il protocollo non resti innanzitutto una forma di espressione di ottime intenzioni volta a rassicurare i relativi portatori di interesse (elettori e lavoratori) rispetto alle loro preoccupazioni particolari, garantendo al contempo all’azienda la messa a segno di punti importanti in ottica di responsabilità sociale e di governance

 

Certo, da un lato il diavolo (ciò che divide) sta nei dettagli; quelli che, per sua stessa natura, questo accordo non può contenere. Tra le altre cose si prevedono vari “momenti di confronto periodico sulle problematiche del settore e-commerce” (un confronto preventivo sulle strategie di sviluppo aziendale, l’impegno a verificare la corretta applicazione del contratto nazionale “per accertare trattamenti economici e normativi, coerenti per tutte le lavoratrici e i lavoratori Amazon, inclusi le lavoratrici e i lavoratori in somministrazione” – dei quali nel 2018 l’ispettorato nazionale del Lavoro aveva contestato all’azienda un utilizzo oltre i limiti quantitativi-  e la definizione di “modalità di composizione di eventuali controversie”). Ma che si dispieghi il dialogo tra le riconosciute parti non significa automaticamente che questo dia luogo ad accordi rapidi ed indolori su quelle materie che sono state al centro delle rivendicazioni dei lavoratori durante lo sciopero del marzo scorso: gli orari, i turni, i carichi di lavoro, i livelli di inquadramento, le materie di salute e sicurezza e la prevenzione, la formazione e i temi economici come il premio di risultato, incentivi e maggiorazioni.

 

Tuttavia l’aspettativa creata dal protocollo da poco siglato appare giustificata, perché esso pone le condizioni per i prossimi sviluppi, mettendo nero su bianco degli impegni tra le parti, e definendo un metodo di confronto di cui si potrà ora misurare il rispetto. Per esempio non è stato stabilito quando per i lavoratori sarà possibile eleggere le RSU, ma il protocollo riconosce esplicitamente tre livelli di contrattazione: nazionale, territoriale e aziendale.

 

Importante e funzionale ai prossimi sviluppi è poi anche il riconoscimento del CCNL della logistica (anziché quello del commercio applicato per esempio nello stabilimento di Castel San Giovanni) quale punto di riferimento: l’azienda si impegna a verificarne il rispetto in tutti i suoi 40 siti e nella filiera, anche per i lavoratori somministrati. Attraverso la contrattazione i sindacati mirano cioè a regolare le relazioni di lavoro nel più importante operatore dell’e-commerce riconducendolo all’interno del settore della logistica (un aspetto che, per inciso, rende l’idea di cosa significhi dire che i corpi intermedi sono attori della costruzione dei mercati del lavoro).

Insomma, le basi non mancano, e sono già frutto di una storia fatta di alcuni momenti chiave nelle relazioni tra Amazon e i sindacati nel nostro Paese. Che l’ultima intesa firmata si riveli il preludio di un nuovo corso per queste relazioni saranno i prossimi mesi a dirlo.

 

Francesco Nespoli

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Franznespoli

 

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