Politically (in)correct – Quando Giugni ed io fummo politically (in)correct a nostra insaputa

Bollettino ADAPT 16 dicembre 2019, n. 45

 

Nel 2019 vi sono state parecchie rievocazioni di Gino Giugni nel decennale della scomparsa. Ne hanno scritto i colleghi, gli amici, gli allievi e tanti altri, appartenenti alle nuove generazioni di giuslavoristi, che, magari, hanno conosciuto il Maestro attraverso le sue opere. Anche chi scrive ha avuto l’occasione durante questo decennio di rievocare i suoi rapporti con Giugni, sia per quanto riguarda la formazione culturale, sia la comune attività politica e, perché no?, l’amicizia e la stima personale.

 

Ho conosciuto Gino nell’ormai lontano 1967, nel corso di un convegno in cui – giovane sindacalista – mi schierai a favore delle sue tesi sulla conciliazione e l’arbitrato nella contrattazione collettiva, scandalizzando i giuristi vicini alla Cgil (e alla Rivista giuridica del lavoro) in quei tempi saldamente orientati dal pensiero di Ugo Natoli. Poi la comune militanza socialista ci portò ad avere diverse fasi di relazioni (io in qualità di sindacalista, lui come capo dell’Ufficio legislativo del Ministro del Lavoro, prima di Giacomo Brodolini, poi alla sua morte, di carlo Donat Cattin); in seguito come senatore e ministro. Ci trovammo insieme anche nel corso dei pochi mesi della segreteria di Giorgio Benvenuto, quando, mentre infuriavano le inchieste milanesi, l’ex segretario della Uil prese il posto di Bettino Craxi al vertice del Psi.

 

A Giugni e alla sua memoria devo tanto anche sul piano personale, per gli incarichi che mi affidò quando era ministro: incarichi che hanno cambiato la mia vita. Non vedo che cosa potrei aggiungere per ulteriore conferma della mia stima e riconoscenza per questo grande giurista, fondatore del moderno diritto sindacale e protagonista, in diversi ruoli, delle più importanti innovazioni legislative del secolo scorso. Mi è venuta l’idea di raccontare una “topica” (si dice ancora così?) i cui incorremmo, Giugni ed io, proprio cinquant’anni or sono, durante “l’autunno caldo” e la vertenza storica del contratto dei metalmeccanici del 1969.

 

Come ho già ricordato Gino era a capo dell’ufficio legislativo del Ministro del Lavoro. La trattativa si svolgeva nella sede di via Flavia, senza un confronto diretto con la delegazione degli imprenditori (allora non esisteva la Federmeccanica), ma attraverso la mediazione di Donat Cattin, che interpellava separatamente le parti per individuare delle possibili soluzioni. Io ero un “pischello”, ma ero componente della segreteria nazionale della Fiom, con il mandato di occuparmi (insieme a colleghi delle altre federazioni) delle norme sui diritti sindacali (le stesse che poi, stipulato il contratto, furono inserite nello Statuto dei lavoratori nella primavera del 1970). Una notte, noi sindacalisti ci appartammo con Giugni in un ufficio per cominciare a scrivere dei testi. Allora non c’erano i pc, ma soltanto la carta e le biro. Dopo aver svolto un discreto lavoro normativo, Giugni decise che quegli appunti dovevano essere battuti a macchina per mostrarli al ministro. E uscì dalla stanza per cercare qualcuno che svolgesse quel compito. Poco dopo ritornò con due signori, di mezza età, a cui chiese se fossero capaci di battere a macchina: i due imbarazzati risposero di sì e si accomodarono dietro il tavolo dove stava una grande Olivetti. Uno dettava ciò che era scritto a mano negli appunti, l’altro spingeva sui tasti. Dopo qualche minuto Giugni fu chiamato dal ministro ed uscì dalla stanza. Noi sindacalisti restammo lì con i due dattilografi improvvisati.

 

Quando il lavoro di battitura fu concluso, non ci restava che attendere il ritorno di Gino. L’atteggiamento dei due però ci incuriosiva. A un certo punto io chiesi se fossero dei funzionari del ministero. Loro risposero di no; facevano parte delle delegazioni che seguivano il negoziato. Ma il sospetto rimase perché io non li avevo mai visti prima. Poi giunse l’avviso che la sessione era finita e che ce ne potevamo andare. Nei giorni successivi correva la voce che io e gli altri di Fim e Uilm avevamo trattato allo stesso tavolo con la Cisnal (il sindacato vicino al Msi ora rinominato Ugl), cosa oltremodo disdicevole. Io caddi dalle nuvole (anche perché venendo da un’esperienza emiliana non mi era mai capitato di imbattermi nel sindacato ‘’neo-fascista’’). La stessa cosa fu rimproverata a Gino Giugni. Così ci mettemmo insieme a ricostruire ciò che era avvenuto. I due signori che si erano travestiti da dattilografi erano esponenti della federazione dei metalmeccanici della Cisnal. Giugni, nella ricerca di qualcuno che battesse a macchina, era entrato in una stanza dove, appartati ed emarginati, stavano i rappresentanti di quel sindacato, che era pur sempre firmatario del contratto sia pure in forma separata. Alla domanda “qualcuno di voi sa scrivere a macchina?” si erano fatti avanti quei due, allo scopo evidente di orecchiare qualche notizia sulla trattativa da cui la loro organizzazione era esclusa. E Giugni, inconsapevole, li aveva accompagnati da noi.

 

Ricordo ancora, un paio di giorni dopo, l’incontro con l’avv. Bruno Cossu che quella notte era con me. Mi disse: “Ho saputo una cosa gravissima: hai trattato insieme alla Cisnal”. “Bravo – gli risposi – ma tu eri con me”. In una frazione di secondo Cossu si rese conto di quanto era accaduto. Ovviamente la vicenda finì con quattro risate e con salaci battute nei miei confronti.

 

Ricordo ancora che, qualche tempo dopo, eravamo in trattativa con l’Intersind (con l’associazione delle aziende PPSS i rapporti non era rotti come con la Confindustria) e intorno al tavolo stavo anch’io. Ad un certo punto entrò una persona e si sedette dalla parte degli imprenditori. Elio Pastorino, il vice di Bruno Trentin, che per la Fiom aveva la responsabilità del negoziato con le imprese pubbliche, chiese subito chi fosse il nuovo venuto. Il capo delegazione degli imprenditori rispose: “Pastorino, stia tranquillo. È uno dei nostri, non è della Cisnal”. “Meno male – rispose subito Elio – è già capitato a qualcuno di trattare con la Cisnal senza accorgersene”. E mi diede una gran pacca sulla spalla.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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