Poletti: evitiamo le risse sull'articolo 18

«Guardate, il giorno in cui il primo maggio sarà la festa del lavoro ma anche dell’impresa vorrà dire che avremo finalmente capito». La platea del meeting di Rimini applaude e non è l’unico momento di sintonia con il Ministro del lavoro, più volte accolto qui in passato nella sua veste di leader di Legacoop. Alla vigilia del varo del decreto Sblocca Italia, Giuliano Poletti affronta forse il tema più delicato del Paese, la necessità di far tornare l’Italia a produrre occupazione. E la strada spiega Poletti non è quella di procedere per singoli atti, quanto piuttosto di inserire gli interventi in un quadro più ampio, avendo come “faro” la legge delega. Inutili dunque le «scazzottate» sull’articolo 18, che in passato non hanno portato a nulla; «un controsenso impostare un braccio di ferro senza definire prima il quadro di contesto». La Legge delega, appunto.
 
Immediata la replica di Ncd, che proprio con il suo leader Alfano aveva sollevato la questione. «Il superamento dell’articolo 18 e la riscrittura dello Statuto dei lavoratori afferma il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi è il segnale che l’Italia vuole guardare seriamente al cambiamento, a un cambiamento coraggioso». «Doveroso discutere di tutto per il lavoro twitta l’ex ministro del Welfare Maurizio Sacconi -, importante che non sia tutto tranne l’articolo i8». Altro stop definitivo arriva da Poletti sull’idea di un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, intervento da lui stesso auspicato agosto ma già peraltro escluso da Renzi. «In linea di principio- spiega Poletti avevo detto che ci vuole la possibilità di avere un atto di solidarietà dentro il sistema previdenziale. Ma non è previsto alcun intervento sulle pensioni nella legge di stabilità: non c’è e non c’era niente». L’ipotesi di possibili “distanze” rispetto a Renzi viene comunque esclusa: «Io marginalizzato? Assolutamente no spiega gli ho parlato anche ieri, mi sento stabilissimo».
 
Avanti con la legge delega, dunque, che per Poletti dovrà anzitutto modificare il sistema degli ammortizzatori sociali, studiati in un mondo di crisi cicliche in cui bastava “tenere” la coesione sociale per poi ripartire. Sistema che non funziona più, ancora troppo slegato rispetto a comportamenti “attivi” delle persone: il focus dovrà spostarsi dunque sulle politiche attive di lavoro, come lo schema europeo Garanzia Giovani (che Poletti ha chiesto di rendere strutturale), sulla formazione e il reinserimento. «Siamo l’unico paese che ha trasferimenti monetari di questo tipo, le erogazioni sono senza alcuna condizione.
 
La nostra idea è diversa: il disoccupato che riceve un contributo ha degli obblighi e deve fare delle cose». Cambiare il mercato, i centri per l’impiego, «oggi semplicemente l’anagrafe della disoccupazione», e le regole è fondamentale, a partire dai contratti. Poletti spiega di essere a favore di una formula a tutele crescenti per il contratto a tempo indeterminato che sia meno onerosa rispetto agli schemi di flessibilità esistenti. «Altrimenti aggiunge nessuno userà questo nuovo strumento». Ma le regole non bastano, «a cambiarle ci si mette 5 minuti spiega sorridendo il Ministro è cambiar la testa che è un po’ più complicato».
 
Il vero ostacolo è di carattere “filosofico”, un problema «clamoroso» del Paese che riguarda il rapporto lavoro-impresa. Visto ancora in modo antagonistico, con quest’ultima guardata sempre con sospetto, come qualcosa da contenere e controllare. «Troppa gente scandisce Poletti-pensa che sia il luogo in cui si sfrutta il lavoro. Che le imprese vadano sopportate ma chiuse entro recinti e paletti di ogni tipo perché diversamente fanno un sacco di disastri. Potremo dire di aver capito quando il primo maggio diventerà la festa del lavoro e anche dell’impresa». Obiettivo arduo, a giudicare dalle prime repliche sindacali, dové ricompaiono termini desueti: per Augustin Breda, dirigente nazionale Cgil e Fiom, «il primo maggio è dei lavoratori, non dei padroni».
 
 
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