Per un sistema di istruzione e formazione professionale/9 – L’esperienza della Fondazione Et Labora. Intervista a Emanuele Favarato

Bollettino ADAPT 20 luglio 2020, n. 29

 

Et Labora è un’agenzia per il lavoro accreditata ai servizi al lavoro e la formazione, con sede a Milano, Bergamo, Firenze e Roma e, prossimamente, anche a Manerbio (BS), Torino e Bologna. La fondazione oltre ai servizi al lavoro, alla ricerca e selezione, alle accademie aziendali, alla formazione manageriale e ai percorsi formativi in apprendistato offre corsi di formazione per l’inserimento e reinserimento lavorativo e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore.

I corsi di IFTS attualmente attivi sono quattro: quello per diventare sviluppatore full stak, esperto nella progettazione e la gestione database, quello per diventare addetto all’amministrazione economico finanziaria nell’ambito HR, quello per diventare disegnatore meccanico nell’industria 4.0 e, infine, il percorso per operatore di impianti automatizzati. Nell’anno formativo 2020-2021, attraverso partnership con numerose aziende, enti scolastici, enti formativi e Università, Et Labora ha programmato l’avvio di ben 9 percorsi in tutta la Lombardia.

L’Istruzione e formazione tecnica superiore oltre a consentire a chi possiede un diploma quadriennale IeFP di specializzarsi completando il proprio profilo professionale, rappresenta un’ottima opportunità anche per quei giovani i quali, pur avendo acquisto un titolo di studio superiore, non riescono a trovare lavoro. La peculiarità di questo segmento del sistema formativo nazionale è lo stretto collegamento dei percorsi con i fabbisogni professionali delle aziende, che infatti partecipano insieme alle istituzioni formative alla loro progettazione.

A maggior ragione oggi, dopo lo shock economico e sociale causato dalla pandemia, l’inevitabile riconversione di molti processi produttivi e servizi renderà necessaria questa sinergia, senza la quale i percorsi di studio, se privi di un reale confronto con il mondo del lavoro, rischiano di acuire ulteriormente i problemi, già gravi in Italia, della disoccupazione giovanile[1] e dell’over education[2]. Questo ciò che emerge dall’intervista ad Emmanuele Favarato, Responsabile dei Progetti di formazione Post Diploma di Fondazione Et Labora.

 

Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività formative?

 

E. Favarato: Poiché le nostre attività si svolgevano sostanzialmente in presenza l’impatto è stato notevole. Inoltre, riteniamo che l’attività in presenza e in un luogo fisico specifico abbia un forte valore in termini di efficacia del percorso formativo-educativo.

Tuttavia, allo scoppiare dell’emergenza ci siamo mossi con estrema determinazione.

Il giorno 6 marzo abbiamo comunicato a tutti i ragazzi che frequentavano i nostri percorsi che le lezioni erano sospese. Il 9 marzo abbiamo cominciato a fare alcune ore di lezione on line pur non sapendo con certezza se e come Regione Lombardia avrebbe regolamentato le videolezioni. Intorno al 20 marzo stavamo erogando a distanza il 100% delle ore di formazione programmate.

 

Come avete organizzato la didattica a distanza? Quali metodologia hanno adottato i docenti per garantire l’apprendimento degli allievi?

 

E. Favarato: La prima difficoltà a cui abbiamo dovuto far fronte è stata quella di interpretare le istanze della Regione per adeguare la nuova modalità “da remoto” alla necessità di certificare l’effettiva erogazione del servizio. Non le nascono che la prima preoccupazione, che ha richiesto un grosso sforzo ai nostri formatori e a chi gestisce la didattica, è stata quella di riorganizzare il calendario, creare classi virtuali, trovare modi per effettuare l’appello on line ecc.

Ai ragazzi è stato fornito il calendario aggiornato e le indicazioni delle stanze virtuali a cui accedere di volta in volta. Le lezioni effettuate tramite la piattaforma Microsoft Teams hanno posto fin da subito alcune sfide. Certamente, perdere il contatto visivo (non vedi tutti gli studenti in una sola volta, qualcuno ha la videocamera momentaneamente spenta, a volte il sovraccarico della rete costringe lo spegnimento del video ecc) priva il docente del linguaggio non verbale che normalmente coadiuva molto il lavoro d’aula.

È stato necessario trovare strategie per ricevere maggiori feedback dagli alunni e supplire al coinvolgimento di sguardi e gesti utilizzando solo il canale verbale, come ad esempio l’utilizzo di test, domande aperte a cui rispondere in tempo reale al fine di testare la comprensione e la rielaborazione dei concetti.

Alcune piattaforme permettono di realizzare facilmente dei questionari (ad esempio google forms o il tool analogo di Microsoft) e anche quiz divertenti e di facile fruizione come kahoot. In alcuni casi il docente ha utilizzato la piattaforma gotomeeting che gli ha permesso di avvicinarsi maggiormente alle condizioni di un’aula perché i partecipanti possono essere visti anche mentre proietti slide e contenuti. Per mantenere l’attenzione il docente ha necessariamente evitato il monologo provando attività di collaborazione come l’editing collaborativo dei documenti attraverso l’ambiente messo a disposizione gratuitamente dalle piattaforme utilizzate.

Un altro problema è stata la privazione dello spazio fisico: circostanza che ha tolto al docente la sua “scenografia” all’interno della quale svolgere la lezione. Il docente coinvolge generalmente i ragazzi muovendosi nell’aula, girando fra i banchi, alzandosi o sedendosi. Aver ridotto lo spazio d’azione ha necessariamente voluto dire “aumentare” la presenza del docente all’interno dello schermo. Per esempio, utilizzando la lavagna virtuale per appuntare concetti, creare piccole illustrazioni o semplici segni, che in un ambiente di aula sarebbero superflui, al fine di sottolineare e rimarcare punti salienti della lezione o cadenzare i passaggi logici del discorso.

Tutti i materiali didattici sono stati infine caricati in uno spazio virtuale accessibile dal corpo docenti e dagli studenti. Gli elaborati “ufficiali” sono stati inseriti in spazi dedicati delle aule virtuali create con Teams come archivio del lavoro svolto. Per tutto il resto ogni docente ha implementato tool e strumenti che di volta in volta venivano adattati alle diverse esigenze. Un’altra funzione utilizzata è stata la registrazione della lezione. Ogni docente ha registrato la lezione che, una volta caricata, rimaneva a disposizione degli alunni. Ci si è resi conto presto, infatti, che alcuni ragazzi apprezzavano la possibilità di ritornare sui concetti in un secondo momento.

 

Come state gestendo la ripresa, e come immaginate lo svolgimento del prossimo anno formativo?

 

E. Favarato: L’erogazione della didattica è ormai entrata a regime e non ci aspettiamo novità fino almeno a settembre.

Molti dei nostri percorsi prevedono esperienze di stage curricolari che ovviamente durante il lockdown si erano interrotte. Ora stiamo supportando le aziende a ricominciare ad accogliere i ragazzi, anche in smart working, se tale modalità è coerente con il piano formativo.

Nonostante le difficoltà, mi sento comunque di poter già affermare che l’esperienza ha liberato, risorse e energie che ci hanno portato a trovare soluzioni metodologiche e strumentali che andranno ad arricchire la nostra offerta. Penso che la didattica a distanza potrà facilitare il lavoro dei tutor nei confronti dei tirocinanti e dare cosi maggior continuità al percorso educativo.

 

Che ruolo immagina per l’istruzione e formazione tecnica superiore nel rilancio dell’occupazione e dell’economia che ci attende?

 

E. Favarato: Avrà un ruolo capitale se sarà capace di osservare, analizzare e capire i cambiamenti e i suggerimenti che arrivano dal mercato del lavoro e dai dati macroeconomici di cui cominciamo a vedere i segnali proprio in questi giorni.

Per la nostra realtà questo ha voluto dire costruire un team di sviluppatori che si occupa esclusivamente di incontrare e ascoltare il tessuto produttivo per poter proporre delle soluzioni il più possibile vicine alle esigenze delle aziende. Dotare la nostra realtà di un’area sviluppo è stato un grande investimento che nasce proprio dalla consapevolezza che per offrire servizi utili o formare candidati adeguati occorre raccogliere e analizzare i dati che la realtà offre.

Tutti i percorsi IFTS sono strutturati per implementare competenze per l’utilizzo delle nuove tecnologie. I percorsi sul management delle strutture ricettive che apriremo a Milano o i nuovi percorsi che trattano il tema della automazione nel Bresciano e nel Bergamasco sono percorsi che intercettano fortemente il bisogno di innovazione del territorio, senza citare tutto il mondo dell’ICT dove le aziende sono sempre più orientate ad assumere figure dinamiche e capaci di adattarsi ai continui cambiamenti. Ecco perché sul territorio di Milano ha riscosso molto interesse il percorso per Full Stak developer.

Ritengo però sia ancora più importante che la formazione professionale torni ad occuparsi non semplicemente dello sviluppo delle competenze tecniche (certamente importanti) ma della crescita e dello sviluppo del soggetto che le utilizzerà nel suo ambito lavorativo. Occorre in sostanza favorire una visione formativa che accetti una sfida educativa. Solo contribuendo alla generazione di soggetti più consapevoli possiamo accendere la possibilità rilancio di un mondo del lavoro più pronto alle sfide che ci attendono.

 

Secondo lei, a seguito della pandemia, dovrete organizzare ex-novo corsi destinati alla formazione di nuove figure professionali, o ripensare alle competenze dei profili professionali in uscita?

 

E. Favarato: Già dopo qualche settimana dal lockdown ci siamo scontrati con la necessità di modificare dei moduli formativi per i corsi in progettazione per il 2020-2021.

Contenuti come la sostenibilità, il lavoro agile, l’utilizzo di piattaforme cloud, l’economia circolare diventeranno a breve delle costanti nell’offerta formativa.

Realtà come la nostra è chiamata ad analizzare come l’inevitabile riformulazione dei comportamenti sociali fuori e dentro gli ambiti lavorativi implicherà la nascita o lo sviluppo di nuove competenze e professionalità.

Penso in primis al tema della sicurezza sul lavoro o tutto quello che potrà emergere dall’evoluzione del trattamento dei dati personali o l’elaborazione dei Big Data per garantire la sicurezza pubblica.

Tutto il settore ricettivo dovrà dotarsi di competenze nuove e in parte ancora da definire. Sarà difficile tornare in dietro rispetto all’utilizzo fatto dell’e-commerce in questo periodo, e di conseguenza il mondo della logistica, del marketing on line.

La grande distribuzione sarà chiamata ad introdurre standard di sicurezza diversi da quelli a cui eravamo abituati. Tutti settori che richiederanno dei passi in avanti in termini di competenze. Un altro tema che con cui presto ci troveremo a fare i conti è la necessità di formare un middle management capace di far fronte, non solo all’innalzamento degli standard di sicurezza, ma all’inevitabile tendenza da parte delle piccole imprese di alcuni settori di essere assorbite da realtà più grosse e strutturate.

Ancora da capire che ricaduta ci sarà su tutto il comparto industriale, ma sicuramente ci sarà. Dal nostro osservatorio ritengo sia ancora presto per riuscire a definire delle nuove professioni ma presto dovremo farci certamente i conti.

È pertanto ancora presto per capire come saranno modificati i futuri corsi, ma già da ora sappiamo che dovremo necessariamente formare i ragazzi sull’utilizzo degli strumenti dello smart working. Alcuni moduli legati all’economia circolare saranno già presenti sulla programmazione 2020 in senso del tutto trasversale per tutti i corsi.

 

Come giudica un possibile allargamento dell’IFTS come strumento per la riqualificazione degli adulti?

 

 E. Favarato: Fondazione Et Labora ha sempre guardato al tema delle politiche attive e al mondo della disoccupazione con una particolare attenzione e per questo offre corsi per l’inserimento e del reinserimento lavorativo degli adulti.

È evidente a tutti l’accelerazione che il mondo globalizzato ha portato alla nascita di nuove competenze, allo sviluppo di quelle esistenti e perfino alla scomparsa di alcune e che questo comporti una sempre maggiore attenzione al tema della riqualificazione che, ovviamente, urge per chi fatica a rientrare nel mercato del lavoro ma si pone sempre più anche per chi il lavoro ce l’ha ma che nel medio termine potrebbe cambiare.

Per quanto riguarda l’Istruzione e formazione tecnica superiore ad oggi è presente il vincolo di età per la fascia 18-29. A seguito di accorgimenti didattici e strumentali potrebbe essere una buona opportunità per la riqualificazione anche degli adulti.

L’efficacia della riqualificazione di questi percorsi è testimoniata dalla sua capacità di attrarre ragazzi non solo dai percorsi IeFP ma anche da qualsiasi percorso secondario superiore fino ad arrivare a ragazzi laureati che desiderano aprirsi nuovi sbocchi lavorativi.

La formula duale garantisce una rapida formazione e, se adeguatamente strutturata, potrebbe certamente coadiuvare la riqualificazione di figure senjor. Occorrerebbe però allargare le specializzazioni possibili definite da normativa che allo stato attuale sono evidentemente studiate per un profilo più giovane.

 

Cosa bisognerebbe cambiare per favorire lo sviluppo dell’Istruzione e formazione tecnica superiore?

 

E. Favarato: Viviamo ancora nel retaggio per cui «se vuoi ottenere soddisfazioni dalla vita lavorativa devi laurearti». Eppure, moltissime aziende offrono posizioni nell’ambito tecnico che permettono livelli di apprendimento, crescita professionale ed economica estremamente interessanti.

In Germania sono 800.000 i ragazzi che scelgono la strada della formazione tecnica superiore ogni anno, e non come scelta al ribasso. Il risultato lo abbiamo tutti sotto gli occhi. Quindi ancora una volta ci troviamo di fronte ad un problema di carattere culturale che ancora divide il fare dal sapere subordinando il primo al secondo.

La sfida che abbiamo difronte è quella di rompere i compartimenti stagni fra mondo formativo secondario, formazione terziaria e mondo produttivo. Occorre superare certi pregiudizi che abbiamo ereditato nel tempo. Uno dei parametri valutativi per la formazione secondaria è il numero di ragazzi diplomati che si iscrive all’Università, ma si parla poco della dispersione universitaria. L’idea che ci possano essere percorsi formativi di successo alternativi non è ancora passata. Nessuno però considera che molti dei nostri iscritti sono giovani che hanno iniziato l’Università per poi abbandonarla o addirittura laureati che non trovano lavoro.

Capita anche che le aziende debbano essere aiutate nell’affiancare i ragazzi nel loro percorso di crescita perché ciò richiede un know how e anche del tempo che spesso non hanno e infatti, a volte, preferiscono rivolgersi al mercato del lavoro, dove possono trovare profili già formati. Ma questo non è sempre possibile, specialmente in un’epoca come la nostra dove le competenze e le professionalità necessarie per lavorare mutano rapidamente a causa della trasformazione oramai continua dei processi produttivi, delle abitudini di consumo, dei bisogni sociali ecc.

Oggi urge invece creare una sinergia che possa dare continuità e efficacia alla crescita dei ragazzi. Occorre iniziare un processo di consapevolezza che porti fino all’eliminazione della separazione fra il tempo dell’apprendere dal tempo dell’applicare. L’apporto formativo del contesto lavorativo deve entrare sempre di più nelle aule come l’attenzione al processo educativo deve entrare sui luoghi di lavoro.

 

Paolo Bertuletti

Assegnista di ricerca

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@PaoloBertuletti

 

[1] L’Italia è al terzo posto nell’Unione europea per tasso di disoccupazione giovanile: 29,6% dei giovani di età compresa fra 15 e 24 anni (Fonte Eurostat).

[2] Cfr. F. E. Caroleo, F. Pastore, L’overeducation in Italia: le determinanti e gli effetti salariali nei dati AlmaLaurea, in «Scuola democratica, Learning for Democracy», 2, 2013, pp. 353-378.

 

Per un sistema di istruzione e formazione professionale/9 – L’esperienza della Fondazione Et Labora. Intervista a Emanuele Favarato