Lo smart working: verso un’organizzazione pubblica sostenibile?

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Bollettino ADAPT 11 maggio 2020, n. 19

 

Dopo settimane dominate dalla rapida e inesorabile diffusione del SARS-Cov-2 in tutti i continenti con la sua scia di morti e malati, i primi dati di speranza sono giunti dallo spazio, informazioni diffuse ufficialmente dall’Agenzia Spaziale Europea. Per la prima volta in atmosfera si è registrato una drastica riduzione della concentrazione del diossido di azoto, molecola che si forma in atmosfera dai processi di combustione e fortemente irritante per le vie respiratorie. Ciò dimostra che una differente organizzazione del lavoro e una politica ragionevole dei trasporti di persone e merci può avere effetti benefici sull’ambiente e di conseguenza sulla salute umana. Forme di lavoro da remoto possono pertanto aiutare a sviluppare questa nuova organizzazione del lavoro.

 

Si è frequentemente affermato che la pubblica amministrazione, soprattutto in Italia, mostri molte resistenze verso forme di lavoro agile, ovvero con espressione inglese Smart Work.

A dire il vero alcuni dati ci mostrano una realtà più variegata e complessa. Secondo uno studio del 2019 redatto dal Politecnico di Milano, “Smart working davvero: la flessibilità non basta”, proprio nella pubblica amministrazione si è registrato il maggior aumento di attività da remoto. Si è, infatti, passati dall’8% nel 2018 al 16% l’anno successivo. Tale dato naturalmente va inserito in un quadro più ampio. Le resistenze rimangono e solo il 4% delle pubbliche amministrazioni hanno attivato forme di lavoro agile, mentre il 7% degli enti pubblici si dichiarano apertamente disinteressati. Il fatto che, poi, il 12% dei dipendenti pubblici sia stato posto in tale modalità lavorativa poco sopra al 10% minimo stabilito dalla direttiva n. 3 del 2017 (c.d. Direttiva Madia sullo Smart Work) dimostra che il sistema “pubblica amministrazione” sia ancora legato alla logica dell’adempimento, piuttosto che a un piano strategico chiaro.

 

Proprio in conseguenza dell’epidemia, tuttavia, la pubblica amministrazione ha dimostrato un’inattesa capacità di adattamento e mutamento. In poche settimane è riuscita a organizzare modalità di Smart Work per quasi l’80% del proprio personale. Ciò dimostra che il know how in realtà nel settore pubblico è ben presente, sebbene la burocrazia tradizionalmente venga considerata rigida e poco propensa ad accogliere l’innovazione. È necessario perciò trasformare questo momento di difficoltà in occasione di cambiamento degli apparati burocratici.

 

Secondo il medesimo studio del Politecnico di Milano, appena citato: “sono ancora poche le organizzazioni che lo interpretano come una progettualità completa, che passa anche dal ripensamento degli spazi e da un nuovo modo di lavorare basato sulla fiducia e la collaborazione. Agire sulla flessibilità, responsabilizzazione e autonomia delle persone significa trasformare i lavoratori da ‘dipendenti’ orientati e valutati in base al tempo di lavoro svolto a ‘professionisti responsabili’ focalizzati e valutati in base ai risultati ottenuti. Fare Smart Working a un livello più profondo significa fare un ulteriore passo oltre, lavorando sull’attitudine e i comportamenti delle persone promuovendo un pieno engagement per far sì che i lavoratori diventino veri e propri ‘imprenditori’ con un’attitudine all’innovazione e alla creatività”

 

Anche la recente normativa che ha introdotto, o meglio reintrodotto, il lavoro agile si fonda su concetti simili. Il primo comma dell’art. 18 l. n. 81/2017 stabilisce: “[…] allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, [le norme] promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.” Il successivo comma terzo estende la legge, in quanto compatibile alla pubblica amministrazione.

 

L’obiettivo strategico suggerito dalla norma non è tanto la conciliazione tra lavoro e famiglia, quanto migliorare la competitività, che in ambito pubblico potrebbe essere interpretato quale un complesso di azioni attuate dai singoli uffici volto a migliorare l’efficienza non solo della pubblica amministrazione, ma del sistema economico nel suo complesso. È quest’ultimo aspetto che viene dimenticato. La pubblica amministrazione, infatti, come uffici singoli ha un impatto limitato al territorio, in cui opera, ma in quanto organizzazione incide a livello macro sia sull’economia nel suo complesso sia sull’ambiente, in senso lato, umano e naturale.

 

Cosa significa ciò? È chiaro che lo Smart Work non è solo un mero lavorare a domicilio e che tale modalità lavorativa rende il lavoratore più autonomo e responsabile. Naturalmente non si tratta tanto della responsabilità giuridica tradizionale (penale, civile, amministrativa), quanto di responsabilità gestionale sia per i dipendenti sia per i dirigenti. Affermare che lo Smart Work è un modo di lavorare per risultati significa senza dubbio che il singolo lavoratore sia tenuto a realizzare determinati obiettivi, ma è altrettanto vero che voglia dire che l’organizzazione nel suo complesso (politici, dirigenti, funzionari etc.) abbia una visione comune, da cui scaturiscono appunto gli obiettivi e i risultati.

 

Prendere in considerazione, tuttavia, il lavoro agile significa soprattutto considerare la sostenibilità come fondamento dell’organizzazione pubblica e privata, in una parola quale base dell’organizzazione del lavoro. Anzi proprio dal settore privato si possono trarre utili spunti di riflessione. Benché vi siano esempi di bilanci sociali fin dagli anni ‘90 del secolo scorso a partire dal 2015 molte società private, anche quotate in borsa, oltre al bilancio contabile obbligatorio (Stato patrimoniale e Conto economico) redigono anche un bilancio sociale sulla base di linee guida della Global Reporting Initiative. Il concetto di sostenibilità che emerge da questi standard comprende il benessere organizzativo, il ragionevole uso delle risorse ambientali, la sostenibilità finanziaria, l’attenzione al cliente, la promozione dell’innovazione tecnologica per la preservazione dell’ambiente, il rispetto dell’uguaglianza di genere, l’attenzione ai disabili.

 

Perciò ci si domanda se dopo la drammatica emergenza sanitaria globale, non si possa considerare lo Smart Work come una modalità organizzativa, tendenzialmente normale, di gestione delle risorse pubbliche. Un comune è una struttura pubblica che ha un impatto su tanti livelli differenti, positivo o negativo a seconda dell’efficienza, ma soprattutto della capacità manageriale dei dirigenti. Il primo impatto è sul personale interno e in questo caso un elevato benessere organizzativo migliora certamente la performance. A livello di utenti un elemento di indubbio miglioramento è dato dall’accessibilità e velocità dei servizi. Il livello ambientale, infine, è coinvolto in modo rilevante. Ogni giorno la pubblica amministrazione muove probabilmente milioni di dipendenti pubblici da casa alle rispettive sedi di lavoro e viceversa.

 

Lo Smart Work potrà incidere su tutti questi aspetti in modo positivo. È solo questione di avere la giusta visione strategica della pubblica amministrazione. Un nuovo paradigma del lavoro pubblico, in sintesi.

 

Renzo Remotti

Viceprefetto aggiunto

 

Lo smart working: verso un’organizzazione pubblica sostenibile?
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