Le parole del lavoro: un glossario internazionale/9 – L’estensione della nozione di “subordinazione” europea e comparata

Nell’ordinamento italiano il concetto di subordinazione è definito, com’è noto, dall’art. 2094 c.c., secondo il quale è lavoratore subordinato chi si obbliga, dietro retribuzione a collaborare nell’impresa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro. Il dibattito intorno a tale disposizione è ampio ed articolato e l’unico punto di convergenza tra i vari orientamenti consiste nella comune opinione circa la sua inadeguatezza alla precisa delimitazione della fattispecie. Ciò che interessa evidenziare in questa sede è il metodo adottato dal Legislatore nazionale per l’identificazione della categoria tutelata dalle norme inderogabili del diritto del lavoro: esso consiste nella classificazione per fattispecie generali, largamente presente nel nostro codice civile, la quale consta della descrizione di un nucleo di elementi essenziali  – nell’ipotesi in esame: retribuzione, eterodeterminazione delle prestazioni, dipendenza, collaborazione – all’esistenza della fattispecie stessa. Tale tecnica definitoria è adottata, per lo più, nei paesi continentali, ma è rigettata nel Regno unito, ove è accolto invece un modello casistico e concreto, che perviene alla individuazione della subordinazione (employment) caso per caso, in assenza di un parametro generale ed astratto.
Relativamente al merito, secondo un orientamento largamente seguito in dottrina, l’elemento essenziale e decisivo della subordinazione consiste nell’assoggettamento del prestatore al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro (c.d. eterodeterminazione): secondo tale concezione, questo è l’unico elemento indefettibile della fattispecie, in mancanza del quale non si può parlare di subordinazione.
 
Nell’ordimento comunitario non esiste, a livello normativo, una definizione generale di lavoro subordinato. Di conseguenza, in sede sovranazionale è stato adottato un approccio definitorio casistico, analogo a quello britannico. Tuttavia, l’assenza di una definizione di lavoro subordinato è dalla dottrina giustificata non tanto in relazione ad una scelta di tecnica normativa, quanto in riferimento alle competenze settoriali dell’Unione ed al principio di sussidiarietà; ne consegue che la definizione deve considerarsi demandata alle singole discipline nazionali, le sole che, secondo tale visione, hanno titolo alla puntuale enucleazione del concetto. Ed in effetti molte Direttive comunitarie in materia di lavoro contengono una clausola di salvaguardia delle definizioni nazionali di subordinazione. L’ordinamento comunitario, tuttavia, non disconosce del tutto il concetto di subordinazione, potendo anzi ivi riscontrarsi almeno due sotto-nozioni. Per un verso, esso può essere ricavato dalle diverse norme comunitarie, primarie e derivate, e per l’altro, è stato sviluppato dalla Corte di Giustizia, principalmente in relazione al principio della libera circolazione dei lavoratori di cui all’art. 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).
 
La nozione sussidiaria: la prima articolazione appronta, apparentemente, una definizione “minimale” di subordinazione, ed è volta a rinviare alle discipline nazionali nella definizione integrale della nozione, assumendo così una funzione sussidiaria e residuale. In realtà, su questo versante si assiste ad una chiara tendenza diretta a limitare sempre più la discrezionalità degli Stati membri nell’enucleazione del concetto, al fine di evitare applicazioni difformi della normativa comunitaria. Un particolare strumento definitorio di tale tendenza limitatrice del Legislatore sovranazionale consente di cogliere la chiara intenzione di ricollocare lo status giuridico di lavoratore nella tradizionale dimensione protettiva. In talune recenti Direttive, in effetti, il Legislatore europeo non ha fatto riferimento alla figura del lavoratore subordinato, bensì a quella del lavoratore “protetto” dalle discipline nazionali (cfr. n 2001/23/CE, in tema di insolvenza del datore di lavoro, e n. 2008/104/Ce, in materia di lavoro interinale). Al di là della vaghezza della nozione, sembra che in tal modo l’ordinamento comunitario ampli notevolmente la categoria dei lavoratori da sottoporre a tutela ben al di là dei prestatori subordinati, fino a ricomprendere una parte almeno di lavoratori autonomi, quali i parasubordinati, che ricevono dalla legge forme di tutela sempre crescenti. La nuova nozione di lavoratore “protetto”, se per un verso sembra diretta a limitare la discrezionalità degli ordinamenti nell’escludere categorie di lavoratori dall’ambito di applicazione della direttiva di riferimento, può peraltro essere letta come un tentativo di superamento dell’ormai inadeguata fattispecie della subordinazione; tale inadeguatezza può essere evidenziata sotto due aspetti. Il primo, di tipo tecnico, afferisce all’insufficienza della definizione, almeno nella versione che ritiene decisiva l’eterodeterminazione, a risolvere numerosi casi concreti di qualificazione incerta, con l’ulteriore rischio di favorire i noti abusi delle forme contrattuali di lavoro autonomo. Il secondo profilo è relativo alla limitatezza della nozione rispetto allo scopo protettivo che si prefigge, giacché essa esclude categorie di prestatori che, sebbene non eterodiretti, abbisognano certamente di tutela in ragione del loro stato di inferiorità economica.
 
La nozione giurisprudenziale: l’altra concezione di ascendenza comunitaria di subordinazione si deve all’elaborazione della Corte di Giustizia, alla stregua della quale si considera lavoratore subordinato chi svolga prestazioni, reali ed effettive, di indubbio valore economico, in favore e sotto la direzione di un altro soggetto, ricevendone il corrispettivo della retribuzione. Nella prospettiva della Corte, tendente ad individuare un’ampia categoria di lavoratori al fine di favorire la più adeguata applicazione del principio-cardine della libera circolazione, devono ricomprendersi nella nozione coloro che prestino la loro attività in rapporti di lavoro “atipici” o speciali. Pur essendo citato nelle sue decisioni, il criterio dell’eterodeterminazione non risulta essere mai stato sviluppato ed approfondito dalla Corte, sicché in dottrina si è rimarcato che in realtà tale elemento si traduce in quello, più attenuato, di etero-organizzazione (Integration in someone else’s company criterion). A tal proposito, nei tempi più recenti si deve registrare una diffusa tendenza ermeneutica – soprattutto giurisprudenziale-, anche in Italia ed in altri paesi continentali, ad estendere il concetto di subordinazione (Broadening of the concept of legal subordination), sia ricorrendo al criterio dell’etero-organizzazione, sia, più limitatamente, a quello della dipendenza economica del prestatore (Financial dependance criterion). In tali ambiti concettuali, l’elemento dell’eterodeterminazione, essenza della c.d. subordinazione giuridica, non è più considerato decisivo, ai fini della qualificazione della fattispecie concreta. Tali nuove prospettive dogmatiche, attualmente minoritarie in dottrina, evidenziano che la subordinazione non può che consistere nella trasposizione, nella sfera del diritto, dello stato di fatto della dipendenza economica, secondo l’antico brocardo ex facto oritur jus. Inoltre, si sottolinea che mediante la dimensione economica della subordinazione si riafferma la fondamentale ratio protettiva, tipicamente giuslavoristica, della parte “debole” del rapporto lavorativo.
In virtù di quanto considerato, sia in ambito comunitario che nei singoli contesti nazionali, si è sviluppata una nuova prospettiva nel concetto di subordinazione, che tenta di ripristinarne appieno la primigenia funzione protettiva di più ampie categorie sociali.
Si assiste, in definitiva, ad una penetrazione sempre più incisiva della nozione comunitaria nei singoli diritti nazionali, e ad una maggiore pregnanza sociale della nozione, non più limitata ai ristretti ambiti economici e della concorrenza. Ciò che costituisce, a ben vedere, un chiaro riflesso dell’evoluzione dell’ordinamento sovranazionale da una impostazione prevalentemente, se non esclusivamente, economica tutta proiettata alla tutela della concorrenza, ad un’altra che tenta di contemperare siffatta esigenza –che rimane centrale nella costruzione europea- con quella sociale.

Carmine Santoro

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@carminesantoro

 
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Le parole del lavoro: un glossario internazionale/9 – L’estensione della nozione di “subordinazione” europea e comparata
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