Le parole del lavoro: un glossario internazionale/12 – Internship vs. employment: l’ostilità delle parole

Il sito Graduate Fog nei giorni scorsi ha pubblicato un documento che sta suscitando non pochi malumori e indignazioni nel Regno Unito. Il partito conservatore, oggi al governo, ha distribuito ai propri parlamentari una nota informativa (“Common sense guide – 2014 edition. Interns, Workers and the National Minimum Wage”) con la quale ha richiamato l’attenzione sul delicato tema degli stagisti, al fine di evitare oneri retributivi e contributivi che potrebbero nuocere alle casse del partito. I Tory sono stati messi in guardia dall’utilizzo di termini come “work”, “hours of work”, “payment of expenses” ed “internship”, e sono stati invitati a utilizzare espressioni come “volunteer”, “help” o “volunteering”. È stato poi chiesto di evitare i rimborsi spese forfetari che potrebbero essere causa di rivendicazione di stipendi e di rimborsare solo le spese effettivamente sostenute e puntualmente documentate (come ad esempio le spese di viaggio).
 
Dal punto di vista normativo, a differenza dell’ordinamento italiano, il Regno Unito appare sprovvisto di una legislazione specifica per le internship, la cui regolazione è demandata ai cosiddetti codes of practice: codici deontologici stilati dai numerosi soggetti promotori che costituiscono un utile riferimento per gli operatori che intendono garantire il buon funzionamento delle internship e la tutela degli stessi trainees. Oltre alle internship come strumento di recruiting lasciato alla libertà contrattuale delle parti, si possono distinguere tre principali tipi di stage, tra loro differenti per obiettivi, destinatari, retribuzione e periodo di svolgimento:
 
Sandwich placement: periodo di internship in azienda che si colloca all’interno di un corso di laurea, la cui durata può variare dal semestre all’anno e per il quale non è prevista alcuna forma di retribuzione;
 
Vacation placement: inserimento aziendale pensato per il periodo estivo, e dunque della durata di massimo 3 mesi, che intercorre tra un anno accademico e il successivo. Lo studente universitario in internship in questo caso si vede corrispondere una, seppur minima, retribuzione;
 
Graduate internship: programma di inserimento aziendale rivolto a soggetti laureati, gestito direttamente dal soggetto ospitante e per il quale si prevede una durata minima di 3 mesi ed una massima di 6. L’eventuale retribuzione può variare a totale discrezione dell’azienda.
 
Un ulteriore strumento di politica attiva del lavoro è quello del c.d. work experience, che è però indirizzata, diversamente dai precedenti, ai soggetti disoccupati in cerca di un nuovo posto di lavoro. Tuttavia, in mancanza di una disciplina specifica, le uniche norme di riferimento sono quelle della Employment law che riguardano l’occupazione e i diritti dei lavoratori, in cui non si trova alcun riferimento agli intern, ma solamente a employee, volunteer e worker.  In mancanza di una definizione di intern bisognerà quindi valutare caso per caso in quale categoria rientri il tirocinante per stabilire a quali tutele avrà diritto. Tale classificazione rileva, tra l’altro, riguardo alla applicabilità della normativa vigente sul diritto al National Minimum Wage (NMW), il salario minimo nazionale previsto dalla Employment law, che viene calcolato di anno in anno in base all’età dell’occupato e dal 2010 anche in riferimento agli apprendisti. Questo è infatti garantito ad  un’ampia platea di soggetti (workers, part-time, casual labourers, agency workers, apprentices, trainees, disabile workers, foreign workers etc.), che certamente non comprende i volunteers e gli studenti universitari impiegati nei sandwich placements. Da qui l’interesse dei Tory ad evitare ‘parole ostili’ e alla conseguente necessità di inquadrare come “volontari” gli stagisti, onde evitare possibili rivendicazioni economiche.
 
La vicenda mostra come il tema degli stage sia spinoso non solo nel contesto italiano, ma anche in una realtà, come quella del Regno Unito, in cui la regolamentazione del mercato del lavoro, in genere, segue logiche più flessibili ed elastiche. Al di là delle soluzioni linguistiche adottate, rimane sempre lo stesso interrogativo a cui rispondere: i tirocini devono essere considerati come una occasione formativa o come una forma, seppur “leggera”, di contratto di lavoro?
 
Marco Menegotto
ADAPT Junior Fellow
@MarcoMenegotto
 
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Le parole del lavoro: un glossario internazionale/12 – Internship vs. employment: l’ostilità delle parole