L’assegno di ricollocazione evidenzia l’assenza di un sistema informativo unitario

Un dato emerge da subito nella sperimentazione dell’assegno di ricollocazione: l’inesistenza di una piattaforma unitaria univoca nella quale e mediante la quale gestire le politiche del lavoro.

Non si tratta di un problema di poco conto, visto che l’assegno di ricollocazione consiste in una serie di attività, tutte da registrare, finalizzate ad evidenziare il filo rosso che unisce l’assistenza intensiva alla ricerca di lavoro con l’assunzione che ne scaturisce, così da dimostrare che essa sia frutto dell’attività svolta dai soggetti scelti dai disoccupati per assisterli. Non solo: trattandosi di una sperimentazione che utilizza finanziamenti europei, la conservazione della documentazione è fondamentale ai fini della successiva rendicontazione.

 

Ancora: un sistema informativo unitario è fondamentale anche per verificare in modo semplice ed immediato se i destinatari posseggano o meno i requisiti soggettivi necessari per essere realmente destinatari dell’intervento. In particolare, sarebbe necessario che in un’unica sessione informativa si potesse verificare se il beneficiario risulti ancora percettore della Naspi e se risulti titolare di politiche attive finanziate dalle regioni o, comunque, con altre risorse pubbliche.

Nulla di tutto ciò è ancora in essere e nulla, oggettivamente, lascia ritenere che entro un tempo breve sarà possibile giungere a questo obiettivo. Andiamo con ordine nell’esaminare le lacune del sistema.

 

Protocollazione informatica. La piattaforma sulla quale i lavoratori compresi tra i 20.000 sorteggiati per la sperimentazione dovranno presentare la domanda di avvalersi dell’assegno di ricollocazione è il portale dell’Anpal, sia che i lavoratori provvedano da sé stessi, sia che si avvalgano dell’assistenza dei centri per l’impiego pubblici, i quali dovranno accedere al portale Anpal per conto del lavoratore.

Accedendo al portale, il lavoratore (o il Cpi per suo conto) nel chiedere l’assegno di ricollocazione, compilando la form presente sul portale, dichiara di non essere impegnato in misure analoghe e comunque incompatibili, fornisce i dati per ricevere la profilazione realizzata automaticamente dal sistema, sceglie il soggetto erogatore (pubblico o privato), conferma le autodichiarazioni ed invia la domanda.

Il sistema non crea un numero di protocollo univoco che identifichi la domanda o le dichiarazioni necessarie.

Pertanto, i centri per l’impiego accedendo al sistema visualizzano la presenza di una domanda, consistente in una riga che riporta la data della richiesta, il destinatario (cioè il beneficiario), il soggetto erogatore scelto, la scadenza per la formazione del silenzio assenso (che si forma se entro 15 giorni dalla richiesta non è adottato il provvedimento di rigetto o accoglimento), lo stato della domanda, il

motivo dell’eventuale preavviso di rigetto ed il link ad un documento .pdf che contiene gli elementi della domanda.

Anche per questi elementi il sistema non produce alcun numero di protocollo o, comunque, nessun tracciamento archivistico in regola con le norme del codice dell’amministrazione digitale e delle regole del protocollo. Si aggiunga che i documenti prodotti non risultano accompagnati dalla firma digitale, per concludere che non vi è nel sistema alcun modo per dare corso ad una conservazione sostitutiva dei documenti stessi.

 

Procedure interne di protocollazione. Per dare, dunque, atto che i documenti da trattare entrino materialmente nell’archivio dei centri per l’impiego, occorre allora acquisire il file .pdf che contiene la domanda nel sistema informativo di protocollo e attribuirgli un numero di protocollo e di fascicolo ed attivare un sistema di conservazione informatica che supplisca alle carenze del sistema centralizzato.

La cosa risulta tanto più necessaria perché quando il centro per l’impiego accoglie o denega la domanda il file .pdf contenente la domanda non risulta più visualizzabile nel portale Anpal: infatti, si visualizza una nuova versione del file medesimo, contenente l’indicazione dell’accoglimento o del diniego.

Si assiste, dunque, ad una prima duplicazione della gestione: i centri per l’impiego dovranno “saltare” dalla piattaforma Anpal ai propri sistemi di protocollazione per creare i fascicoli.

Ma, attenzione: la creazione, pur necessaria sul piano amministrativo e logico, di un fascicolo informatico non sarà sufficiente. Il perché è semplice: come rilevato sopra, la piattaforma non gestisce alcuna firma digitale né sistemi conformi al codice dell’amministrazione digitale che accertino dell’attribuzione di documenti e dichiarazioni al lavoratore.

Dunque, sarà necessario produrre anche un fascicolo cartaceo, simmetrico a quello informatico. Lo spiega chiaro e tondo anche il vademecum operativo prodotto dall’Anpal: “Tutta la documentazione cartacea ed informatica dovrà essere conservata per un periodo di 10 anni”. Particolare cura andrà riferita alla conservazione della documentazione relativa alle attività di assistenza intensiva; il vademecum obbliga a “tenere traccia (e conservare in cartaceo) di tutta la documentazione di gestione del servizio di ricerca intensiva” anche perché saranno previste “verifiche in loco a campione  – in itinere o ex post – mirate a verificare la presenza della documentazione in originale, l’effettivo svolgimento delle attività, l’effettiva congrua erogazione e fruizione del servizio”.

 

Canali per le verifiche dei requisiti. L’assegno di ricollocazione viene “rilasciato” dai Cpi. In realtà, i centri per l’impiego non rilasciano nulla, ma accolgono, o, meglio, validano la richiesta del lavoratore di avvalersi della ricerca intensiva di lavoro, accertando che disponga dei requisiti soggettivi previsti dalla sperimentazione.

A tale scopo, secondo il vademecum elaborato dall’Anpal, i Cpi debbono effettuare le seguenti verifiche:

 

  • controllare comunicazioni obbligatorie per accertare che il lavoratore risulti effettivamente privo di lavoro;
  • controllare che il lavoratore non risulti titolare di politiche attive (specie regionali) incompatibili con l’AdR;
  • controllare l’eventuale decadenza dalla Naspi.

 

Ora, di queste tre verifiche, solo la prima risulta agevole, ma comunque da effettuare sempre al di fuori della piattaforma Anpal. L’accesso alle comunicazioni obbligatorie avverrà sempre avvalendosi degli specifici sistemi informativi regionali o nazionali, saltando dal portale a questi. La produzione di una visualizzazione o di un documento a comprova dovrà essere allegata al fascicolo del lavoratore.

Più complicato è l’accertamento dell’assenza di politiche incompatibili. In quanto a quelle regionali, in assenza di sistemi che consentano ai Cpi di accedere direttamente alle piattaforme di gestione, sostanzialmente sarà necessario uno scambio più o meno intenso di corrispondenza tra i vari uffici, per avere l’attestazione che il lavoratore non sia incluso in politiche regionali. Per altro, in alcuni casi i sistemi regionali considerano il lavoratore ancora “inserito” nelle politiche anche se le attività di assistenza alla ricerca di lavoro si siano concluse, ma non siano ancora rendicontate.

 

Praticamente impossibile è sapere a quali altre politiche attive finanziate dal sistema pubblico possa partecipare il lavoratore, a meno che non lo dichiari specificamente.

Estremamente complicata è anche la verifica dell’eventuale decadenza dalla Naspi, per la ragione che la Banca dati percettori dell’Inps (ennesima piattaforma alla quale dover accedere) non è aggiornata in tempo reale.

C’è, per altro, una mancanza di coordinamento tra norme regolative degli status. L’Anpal, mediante le proprie Faq, conferma che l’AdR va rilasciato ai lavoratori percettori di Naspi che conservano la prestazione ai sensi degli articoli 9 e 10 del d.lgs.22/2015, in quanto percepiscono un reddito inferiore al minimo escluso da imposizione; ma, tecnicamente, ai sensi del d.lgs 150/2015 questi lavoratori non sono disoccupati e dalle comunicazioni obbligatorie risulta che prestano attività lavorativa.

 

Preavviso di rigetto e normativa amministrativa. Si deve sottolineare, ancora, che nessuna delle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori per attivare la domanda di accesso all’AdR è presentata nel rispetto delle disposizioni sulla semplificazione della documentazione amministrativa, contenuta nel Dpr 445/2000.

Manca, cioè, la formula della consapevolezza che il rilascio di dichiarazioni false costituisce mendacio, perché il sistema non tratta queste dichiarazioni né come sostitutive dell’atto di notorietà, né come sostitutive di certificazioni.

Non si capisce, allora, se la procedura per il rilascio dell’AdR (rectius, l’ammissione al sistema, previa verifica dei requisiti) sia da considerare retta dalla legge sul procedimento amministrativo, la legge 241/1990 o se dal diritto comune.

Il regime della legge 241/1990 sarebbe correttamente applicabile se il rilascio dell’Adr fosse espressione di un potere discrezionale della PA di costituire, modificare o estinguere un diritto o una posizione giuridica differenziata del cittadino.

 

In realtà, tuttavia, non pare che i centri per l’impiego svolgano una funzione di questa natura. Il cosiddetto “rilascio” dell’AdR non è un provvedimento che costituisce nel lavoratore il diritto all’assistenza intensiva alla ricerca di lavoro, che dipende, invece, da fatti ed eventi del tutto indipendenti da un’attività discrezionale della pubblica amministrazione:

lo status di disoccupati;

la percezione della Naspi da almeno 4 mesi;

il non essere percettori di trattamenti analoghi, finanziati dal sistema pubblico.

La funzione dei Cpi, dunque, non è autorizzativa né volta a “modificare” lo status del cittadino, ma solo di natura accertativa. I Cpi si limitano (con le difficoltà viste sopra) ad accertare che il lavoratore abbia realmente (almeno limitatamente a quelli effettivamente verificabili) i requisiti soggettivi che determinano ex lege il suo diritto ad avvalersi dell’AdR.

 

Dunque, teoricamente si potrebbe effettivamente configurare la procedura per il “rilascio” come sorretta dal diritto comune e non dal diritto amministrativo.

Sta di fatto, comunque, che l’Anpal intende trattare il rigetto della domanda del lavoratore di avvalersi dell’AdR ai sensi della legge 241/1990, prevedendo in particolare l’applicazione dell’articolo 10-bis della legge medesima, ai sensi del quale la pubblica amministrazione prima di rispondere negativamente ad un’istanza deve trasmettere appunto un preavviso di rigetto, volto a consentire al richiedente di presentare entro i successivi 10 giorni documenti e osservazioni utili a far rivedere alla PA la posizione assunta. Il provvedimento finale deve tenere specificamente conto della fase di dialogo imposta, e dare conto delle ragioni per le quali le osservazioni o i documenti presentati dal richiedente sono accolte (dandosi, così luogo ad un provvedimento finale di accoglimento, invece che di diniego) o respinte, confermandosi il diniego già comunicato.

 

Ebbene, la piattaforma Anpal non gestisce questa fase. Consente di attivare il preavviso di rigetto cliccando su un bottone rosso e mettendo a disposizione l’irrisorio spazio di 500 caratteri per motivarne le ragioni; né, evidentemente, si produce nessun protocollo informatico. Meno ancora, il sistema gestisce la fase dialettica dei 10 giorni entro i quali l’interessato può presentare osservazioni o documenti, né tanto meno consente di produrre un provvedimento finale di conferma del preavviso di rigetto o di accoglimento della domanda, che dia conto delle ragioni di questo.

Il vademecum dell’Anpal non può che prendere atto dell’assenza assoluta della possibilità di gestire questa fase e prevede che “Il Cpi competente emetterà (fuori sistema informativo) il provvedimento definitivo di diniego”.

 

Tracciamento delle attività. Il sistema, infine, non traccia in alcun modo le attività realizzate dai Cpi (ma, si deve ritenere, anche dai soggetti privati) per aiutare i lavoratori nella ricerca di lavoro, come colloqui, presentazione di curriculum, assistenza o preparazione a colloqui di lavoro, elaborazione di lettere di referenze, contatti con le aziende, promozione di tirocini.

Dovranno, quindi, essere i Cpi a tracciare con registri informatici, ma anche cartacei per la controfirma del lavoratore, le attività svolte, in modo soprattutto che la comunicazione obbligatoria di un certo datore di lavoro sia riconducibile ad un’attività di ricerca attiva di lavoro che sia stata indirizzata a quel datore stesso, affinchè l’Anpal possa poi riconoscere il pagamento dell’assegno.

Insomma, il flusso procedimentale appare chiaro, anche se complesso, ma gli strumenti operativi disponibili sono tutt’altro che evoluti.

 

Luigi Oliveri

ADAPT Professional Fellow

 

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