Il mio canto libero – La lezione di Dell’Aringa e il salario dei giovani meritevoli

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La morte improvvisa di Carlo Dell’Aringa ci ha indotto a riflettere sul suo originale contributo al buon governo del mercato del lavoro in quanto non frequente caso di economista “utile” ai decisori pubblici. Di lui ricordo con sincero affetto lo stile comportamentale e con gratitudine la partecipazione al gruppo tecnico che, guidato da Marco Biagi e me, realizzò il Libro Bianco del 2001. Memore di uno dei suoi ultimi lavori curato con i colleghi Treu e Lucifora, vorrei onorarlo riproponendo un tema che gli era caro. Esiste una questione salariale in Italia? Con lui rispondo certamente si, nella stessa misura in cui esiste da lungo tempo il nodo della bassa crescita della produttività. E le due problematiche irrisolte portano con sé inevitabilmente anche quella dell’iniquità nella distribuzione della ricchezza attraverso i redditi da lavoro.

 

Purtroppo questi ritardi italiani si riverberano dai primi anni novanta sulla crescita complessiva di una nazione sempre più divisa nei suoi territori e punitiva verso i lavoratori competenti, soprattutto se giovani. Il persistente appiattimento retributivo, sostenuto da un salario minimo obbligatorio che secondo la giurisprudenza quasi coincide con il salario massimo praticato, penalizza infatti la dinamica retributiva che più manifestamente dovrebbe essere influenzata dagli incrementi di produttività, quella dei giovani che hanno avuto il merito di cercare percorsi educativi qualificati, di frequentarli con profitto, di entrare presto in contatto con una esperienza lavorativa.

 

L’Italia si distingue dagli altri Paesi sviluppati proprio per la resistenza di molte imprese e delle relazioni industriali cui fanno riferimento – per non parlare degli enti pubblici – a riconoscere progressioni retributive e di carriera anche esponenziali ove oggettivamente collegate a indicatori del contributo professionale di ciascuno ai risultati aziendali. La linea dei redditi cresce invece, ancora, lentamente e irreversibilmente con l’età, “a prescindere”. E a parte i recenti incrementi dell’occupazione anziana dovuti ai rigidi criteri di pensionamento, quella linea obliqua tende a fermarsi precocemente proprio perché inefficiente.

 

Ove i salari riflettono la produttività, la loro dinamica segue invece una curva connessa all’età che largamente coincide con l’andamento dei bisogni, risulta maggiore la massa salariale complessiva, si allunga la vita lavorativa. Ovviamente, segnalava da tempo Dell’Aringa, occorre la diffusione della contrattazione di prossimità e, aggiungo, un salario minimo da legge o da contratto nazionale, che consenta di attrarre lavoro e investimenti nelle aree più deboli e lasci spazio a incrementi tarati sulla produttività di ciascuna dimensione aziendale.

 

Se vogliamo incoraggiare i nostri giovani alle scelte educative più faticose ed evitare la loro fuga verso Paesi più dinamici, dobbiamo immaginare che frequentemente possano guadagnare di più degli adulti per meriti oggettivamente riconosciuti ed accettati. Le differenze possono essere eque, le omologazioni sono sempre inique.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

 

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