Così abbiamo rivoluzionato i vecchi equilibri

Alla fine di novembre Confcommercio ha firmato con Cgil, Cisl e Uil un accordo per definire un nuovo sistema di relazioni sindacali e un nuovo modello contrattuale. Non si è trattato di uno dei tanti accordi raggiunti in questi anni, ma di un vero salto in avanti, che ha sconvolto gli equilibri decennali che valevano tra le parti sociali, soprattutto tra le organizzazioni datoriali. Confindustria, storicamente leader in quelle che non a caso sono sempre state definite relazioni industriali, ha mancato un passo, e adesso si trova in difficoltà. Francesco Rivolta, direttore generale di Confcommercio, artefice di questo sorpasso, spiega a Il diario del lavoro come tutto ciò sia successo.

 

Rivolta, avete raggiunto con il sindacato un accordo assolutamente non usuale, qualcosa che rompe equilibri consolidati e vi assegna un ruolo preminente, che non avevate…

 

Sì, ma non perché siamo più bravi, quanto perché rappresentiamo il segmento economico più dinamico del paese, che anche in questi anni di crisi ha continuato a crescere: il terziario avanzato. E’ in atto una terziarizzazione dell’economia, che avrà un grande sviluppo. E’ il settore che prima degli altri ha capito la fine della concezione fordista dell’economia e del lavoro, che ha capito che la fabbrica, per quanto importante, non deve essere il parametro organizzativo del sistema contrattuale. E’ il terziario che ha sconvolto i paradigmi storici.

 

Da dove siete partiti per cogliere questo importante risultato?

 

Da una provocazione di Matteo Renzi. Che aveva detto che era necessario rivisitare il modello della contrattazione. O lo fate voi, aveva detto, o lo facciamo noi. Quello è stato l’incipit.

 

E voi avete accettato la sfida.

 

Sì, perché avevamo capito che eravamo alla fine di uno schema di relazioni sindacali e dovevamo immaginarne un altro, capace di dare una prospettiva. Del resto, erano intervenute modifiche interessanti delle parti sociali, che avevano a loro volta causato una proliferazione dei contratti nazionali, il Cnel ne ha contati più di 600: e questo rendeva più fragile lo strumento contrattuale.

 

E avete individuato nuove misure della rappresentanza.

 

Perché abbiamo capito che è la rappresentanza reale e misurata che legittima alla contrattazione: non è il fare contratti che ti legittima.

 

Insomma, avete capito che dovevate muovervi.

 

E abbiamo posto dei punti fermi. Come quello di considerare il contratto nazionale importante, senza però farne un totem. Abbiamo stabilito precisi rapporti tra il primo e il secondo livello di contrattazione, prevedendo la possibilità di derogare in sede aziendale ai principi stabiliti con il contratto nazionale, anche nella parte economica. E abbiamo dato indicazioni anche per il welfare contrattuale.

 

Argomento molto spinoso e delicato.

 

Per questo abbiamo ribadito il valore del welfare contrattuale nella crisi del welfare pubblico. Perché crediamo, e vogliamo che il governo lo capisca, che il welfare di derivazione contrattuale deve essere un vero secondo pilastro, da integrare con quello pubblico. Anche perché sono cifre importanti e nel welfare le masse critiche hanno il loro peso. Il nostro sistema sanitario interessa 1,6 milioni di persone. Il complesso dei diversi welfare sanitari contrattuali interessano 6 milioni di lavoratori e muovono 5 miliardi di euro, che rappresentano 5 miliardi di euro in meno di pressione sulla sanità pubblica. Per questo vogliamo che il welfare integrativo sia sgravato da oneri fiscali e contributivi: per il contributo valoriale che offre, non per il livello contrattuale che lo prevede…

 

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