Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Compagno Poletti, facci sognare!

Il decreto legge n. 34 con il suo contenuto “politicamente scorretto” (in questa rubrica è un apprezzamento) ha avuto, nei giorni scorsi, due passaggi importanti: è iniziato l’esame nella Commissione Lavoro della Camera dove il provvedimento dovrà affrontare la prova più dura perché la maggioranza dei componenti è contraria a partire dal presidente Cesare Damiano (il quale, tuttavia, è stato corretto nel nominare relatore Carlo Dell’Aringa, dimostrando così di essere alla ricerca di un compromesso e non di una netta contrapposizione con il Governo); ne ha discusso la Direzione del Pd approvando la linea enunciata dal segretario-premier (caratterizzata da un mix di fermezza e di ambiguità: il provvedimento non si tocca, ma sono possibili miglioramenti). Nei prossimi giorni, il decreto proseguirà il suo iter sia istituzionale che politico.
 
Per quanto riguarda il primo aspetto avrà luogo una serie di consultazioni delle parti sociali e di alcuni giuristi (con netta prevalenza di studiosi contrari al decreto); sul piano politico, invece, il ministro Giuliano Poletti incontrerà i gruppi del Pd (in Commissione e in Aula) alla ricerca di possibili mediazioni. Intanto, il Ncd (che è parte della maggioranza) si schiera a favore del testo nella sua attuale stesura (sia pure presentando emendamenti di bandiera per rendere il provvedimento ancor più flessibile) e se ne attribuisce un merito che, in verità, non gli appartiene dal momento che non si ricordano – almeno per quanto riguarda i contratti a termine – analoghe iniziative legislative da parte dei governi di centro destra. Dal canto suo, Forza Italia (sia pure con qualche contraddizione interna) si dichiara disposta a votare il decreto allo scopo dichiarato di creare ancor più difficoltà al Pd.
 
Come finirà questa vicenda (il decreto andrà in Aula, a Montecitorio, intorno alla metà aprile, poi al Senato, dovendo essere convertito entro il 20 maggio)? Non sappiamo se i bookmakers inglesi, che accettano scommesse di ogni tipo, abbiano (e a quanto) quotato le possibili conclusioni di questo scampolo del Jobs act. Noi, comunque, non siamo persuasi che il provvedimento sarà convertito senza cambiamenti, sia per quanto riguarda la disciplina dei contratti a termine sia quella dell’apprendistato.
 
Sono, infatti, già in circolazione alcune possibili modifiche attinenti, tra le altre, alla durata dell’acausalità per un periodo inferiore ai 36 mesi, al numero delle proroghe ammesse (6 anziché 8), ad un vincolo temporale per il primo contratto, al ripristino di una formazione di carattere pubblico ed obbligatorio per l’apprendistato. Se così sarà, diventa difficile misurare il grado di innovazione residuo e se il gioco vale ancora la candela. Alla fine prevarrà la regole del bicchiere riempito a metà: alcuni si accontenteranno della parte piena, altri lamenteranno quella vuota. Ma il bicchiere non sarà completamente colmo, anche se consentirà di bere. Fuor di metafora: per le imprese 24 mesi di “liberalizzazione” dei contratti a termine sono meglio di 12; ma poter disporre di 36 mesi significherebbe svincolare questa tipologia dalla servitù della causale per l’intero periodo in cui un contratto a tempo determinato può avere corso. Del resto, noi italiani non ci facciamo mancare nulla quando si tratta di questioni di principio. Trent’anni or sono nel nostro Paese fu combattuta una sorta di guerra civile (non incruenta perché Ezio Tarantelli fu assassinato) a causa del taglio di 4 punti (poi ridotti a 3) di rivalutazione automatica delle retribuzioni rispetto al costo della vita (la c.d. scala mobile).
 
Comunque finisca la vicenda del decreto Poletti alcune novità importanti sono avvenute nel panorama del diritto del lavoro. E non è un caso che abbiamo voluto ricordare l’episodio del decreto di S. Valentino del 1984. Lo facciamo consapevoli di mettere a confronto, per quanto riguarda i protagonisti di allora e di oggi, dei giganti con dei nani; ma vi sono aspetti nascosti nelle pieghe del decreto n. 34 che costituiscono un dato di rottura con il passato recente che non era affatto scontato. Chi scrive è rimasto positivamente sorpreso, ad esempio, delle motivazioni con cui il ministro Poletti difende la modifica dei contratti a termine. In occasione di una intervista televisiva il Ministro del lavoro ha spiegato che, stante l’attuale normativa dei 12 mesi “acausali”, le aziende licenziano prima di raggiungere quel limite, mentre con la nuova disciplina sarebbero invogliate, se il lavoratore lo merita, ad andare avanti per tutto il triennio, a conclusione del quale diventerebbe più probabile l’assunzione in via definitiva. Se confrontiamo questa analisi (estremamente realistica e comprensiva delle esigenze delle imprese) con il “retropensiero” che stava alla base delle norme contenute nella legge Fornero (rivolte a porre ostacoli di ogni tipo all’utilizzo del lavoro a termine fino al punto di inserire, tra contratti in successione, pause di durata persino irragionevole, poi corrette a furor di popolo) non possiamo ignorare l’esistenza di una cultura e di una visione del mondo differenti.
L’altro elemento di rottura chiama in causa il Pd prima ancora che il Governo. Questo partito, da quando è nato come fusione degli eredi del Pci e della sinistra Dc, non ha mai esitato, nella sua ampia maggioranza, ad eseguire la volontà della Cgil e a simpatizzare con le sue posizioni anche quando essa (come nei casi degli accordi Fiat o della mancata sottoscrizione di taluni protocolli interconfederali) aveva chiaramente torto. Oggi, delle critiche della Cgil, il Pd, in maggioranza, è pronto “a farsene una ragione”.
 
Infine, il decreto segna una rottura – almeno per ora – con il “mondo del riformismo possibile” ovvero con quanti, a sinistra, si erano arrampicati sulle varie tipologie di “contratto unico”, allo scopo di salvare la capra dell’articolo 18 insieme ai cavoli di un minimo di realismo ai fini dell’occupabilità. Non è un caso – si veda, sul Corriere della Sera di sabato scorso, l’editoriale di Maurizio Ferrera che di questo mondo è tipica ed autorevole espressione – che le attuali norme contenute nel decreto vengano considerate con la sufficienza della solita montagna che partorisce il topolino. Per costoro, il problema è sempre un altro. Per fortuna il compagno Giuliano Poletti sa che la vita vera non è quella che viene scritta sui giornali.
 
Giuliano Cazzola
Membro del Comitato scientifico ADAPT
 
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