Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – C’è un giudice anche a Bergamo

Il tribunale di Bergamo, in funzione di giudice monocratico del lavoro, con sentenza  del 12 dicembre 2013, ha condannato l’Inps a riconoscere i contributi dovuti e non versati dal committente nel periodo dal 1° gennaio 2004 al 31 marzo 2012 alla persona ricorrente che aveva svolto la propria attività come collaboratrice iscritta alla Gestione separata presso l’INPS. Quando aveva presentato domanda  per la pensione di vecchiaia, infatti, la ricorrente si era sentita rispondere dall’Istituto che, mentre in precedenza la sua posizione era regolare, quel periodo lavorativo risultava scoperto da versamenti contributivi. Pertanto, non applicandosi, secondo l’INPS, ai collaboratori il principio della automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 c.c. (in forza del quale i contributi dovuti sono comunque riconosciuti anche se il datore titolare dell’obbligazione contributiva non li avesse versati, essendo l’Inps il garante della correttezza del rapporto assicurativo) non era possibile considerare utili,  quelli non versati, ai fini della maturazione dei requisiti per il trattamento pensionistico. Vediamo più diffusamente i termini del  problema. Il citato articolo 2116 c.c. è un caposaldo del diritto previdenziale in quanto stabilisce, al primo comma, che le prestazioni di previdenza e di assistenza «sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza».
 
La tutela dei diritti del prestatore di lavoro è ulteriormente rafforzata ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, il quale dispone che nei casi in cui «le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro».  La domanda è: quale figura professionale è evocata nella definizione di ‘’prestatore di lavoro’’? Sicuramente il lavoratore dipendente. Con altrettanta certezza sono esclusi i lavoratori autonomi su cui grava l’obbligazione contributiva. Ma cosa capita alla fattispecie del lavoratore parasubordinato di cui il legislatore del 1942 non aveva neppure supposto l’esistenza ?
 
Nell’istituire una gestione separata presso l’INPS (articolo 2, commi 26-32, della legge 8 agosto 1995, n. 335), destinata ad assicurare la tutela pensionistica e poi anche le tutele di malattia, maternità, per il nucleo familiare ai titolari di collaborazione coordinata e continuativa, ai lavoratori a progetto, agli esercenti un’attività di lavoro occasionale e ai venditori a domicilio nonché agli associati in partecipazione, si è posto l’interrogativo circa l’applicabilità del principio dell’automaticità delle prestazioni ai rapporti che intercorrono tra i soggetti tutelati e l’ente di previdenza. Identico interrogativo ha riproposto  l’estensione, ai soli lavoratori parasubordinati, della tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (articolo 5 del decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38).
 
Al riguardo è da segnalare come i due maggiori enti previdenziali – INPS e INAIL – abbiano assunto posizioni diametralmente opposte.
 
L’INPS, infatti, ha definito un orientamento ormai consolidato (circolare del 6 settembre 2006, n. 95-bis e messaggio del 22 maggio 2007, n. 12768) per l’inapplicabilità del principio dell’automaticità delle prestazioni in ragione della natura giuridica autonoma del rapporto di lavoro dei soggetti iscritti alla gestione separata, nonostante che la struttura soggettiva dell’obbligazione contributiva sia stata dalla legge conformata, almeno per alcuni di quei rapporti, sul modello adottato finora soltanto nell’ambito del lavoro subordinato, che prevede la distinzione tra soggetto protetto (il lavoratore) e soggetto obbligato (il datore) al pagamento della contribuzione.
 
Tale interpretazione dell’INPS è alla base della mancata corresponsione delle prestazioni previdenziali riconosciute dalla legge a dei lavoratori (iscritti alla Gestione separata) che ne hanno diritto e che non ne fruiscono per altrui responsabilità; in tal senso vanno tenuti presenti gli effetti della prescrizione dei diritti nei confronti di un lavoratore-collaboratore che resta del tutto indifeso rispetto ai comportamenti omissivi del committente.
 
L’INAIL, invece,  ha sostenuto e confermato una linea interpretativa del tutto diversa. Dapprima (circolare del 7 maggio 1998, n. 30), ha ritenuto inapplicabile il principio di cui all’articolo 2116 c.c. unicamente ai «casi di identità fra soggetto assicurato…e soggetto assicurante», tipicamente riferibili al lavoro autonomo (artigiani, commercianti, coltivatori). In seguito (circolare 11 aprile 2000, n. 32), ha ribadito tale orientamento con specifico riferimento ai lavoratori parasubordinati di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n. 38 del 2000. In altri termini, se è la coincidenza tra soggetto assicurato e soggetto assicurante a giustificare l’inapplicabilità del principio di automaticità, questo effetto non può prodursi, invece, laddove si riscontri una dissociazione tra i due soggetti analogamente a quanto avviene nel caso del lavoro subordinato.
 
La scelta di individuare – con riferimento ai soggetti del rapporto di collaborazione di cui alla Gestione separata presso l’INPS – nel committente l’unico debitore verso l’ente previdenziale è prevista non solo dal comma 30, dell’articolo 2 della legge n. 335 del 1995 (dove il contributo previdenziale è espressamente suddiviso in 2/3 a carico del committente e 1/3 a carico dell’iscritto), ma anche dall’articolo 1, primo comma, del decreto ministeriale 2 maggio 1996, n. 281. Diverse modalità di versamento sono, invece, previste nel caso in cui il collaboratore sia titolare di partita IVA e quindi unifichi su di sé l’identità di soggetto assicurante e di soggetto assicurato.
 
Secondo la Corte Costituzionale (sentenza 5 dicembre 1993 n. 374) sussiste un nesso logico tra la «finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti» e l’automaticità delle prestazioni. Ma l’Inps ha sempre mantenuto la sua linea di condotta, sostenuta in ciò dai governi. Chi scrive ne è buon testimone.
 
Lungo l’intero corsa della XVI Legislatura, in qualità di deputato e di vice presidente della Commissione Lavoro della Camera, ho avuto la possibilità di ‘’gestire’’ (come relatore o come punto di riferimento del Pdl e quindi del più importante partito della maggioranza, anche durante il c.d. governo dei tecnici) i provvedimenti in materia di lavoro e di previdenza. In tale veste ho presentato dei progetti di legge, a mia prima firma o con altri colleghi, ho proposto degli emendamenti ad atti del governo (è questa l’iniziativa legislativa, addirittura per decreto legge, largamente prevalente) e ordini del giorno (il cui accoglimento – disse una volta in Aula un autorevole sottosegretario – non si nega a nessuno). Capita, quindi, di intestarsi una norma e di proporla in ogni circostanza possibile.  Per ciò che mi riguarda, fin da quando presentai il mio progetto di legge sulla riforma delle pensioni nel giugno del 2008 (AC 1299) contenente soluzioni che allora furono viste come fumo negli occhi, ma che ora sono divenute norme di legge (come l’estensione pro rata a tutti del calcolo contributivo) o fanno parte del dibattito (come il c.d. pensionamento flessibile), io mi ero intestardito a proporre una norma di interpretazione autentica che riconoscesse l’applicazione dell’articolo 2116 c.c. – ovvero il principio dell’automaticità delle prestazioni – anche ai lavoratori iscritti alla gestione separata che non fossero titolari di partita Iva. A testimonianza di questo mio impegno riporto di seguito l’articolo del progetto di legge citato.
 
Art. 6: Le parole <prestatore di lavoro> di cui al primo comma dell’articolo 2116 del codice civile si interpretano nel senso che esse si intendono riferite anche ai lavoratori iscritti alla Gestione separata presso l’Inps, istituita ai sensi dell’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995 n.335, chiamati a svolgere in via esclusiva  le attività per le quali sono iscritti alla Gestione stessa. Ai medesimi lavoratori sono pertanto riconosciute le tutele previste dal predetto articolo 2116 del codice civile.
 
Il medesimo testo fu ripreso come emendamento in altre circostanze (persino, da ultimo, alla legge n.92 del 2012 con il titolo: Tutela dei collaboratori contro l’evasione contributiva) precisando che dall’applicazione della norma reinterpretata sarebbero stati esclusi quei collaboratori titolari di partita Iva tenuti, per legge, a versare i loro contributi caricando solo la quota del 4% nella fattura per il  committente; la loro posizione, rispetto all’obbligazione contributiva è del tutto simile a quella dei lavoratori autonomi di cui è pacifica la mancata applicazione dell’articolo 2116 c.c.. In sostanza, la nuova disposizione – riporto di seguito il testo dell’emendamento   che andavo riproponendo – avrebbe avuto valore solo per quei casi in cui è il committente tenuto a versare la contribuzione alla gestione separata rivalendosi sul lavoratore per la quota a suo carico (in ragione rispettivamente di 2/3 e 1/3): una posizione del tutto analoga a quella di un lavoratore dipendente.
 
Emendamento standard
 
L’articolo 2116 del codice civile si intende applicabile anche ai collaboratori iscritti in via esclusiva alla Gestione separata presso l’INPS, di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 9 agosto 1995, n. 335, purché versino in regime di monocommittenza e non siano titolari dell’obbligazione contributiva.
 
Merita anche di essere ricordata una risoluzione approvata dalla XI Commissione della Camera il 16 dicembre 2009. Anche il c.d. collegato lavoro (legge n.183 del 2010) tra le tante questioni affrontate si occupò del problema (dopo che in prima lettura era stato ritenuto inammissibile un emendamento che ribadiva la proposta di interpretazione autentica) prevedendo delle specifiche sanzioni per l’omesso versamento alla Gestione separata presso l’INPS, da parte del committente, della quota parte di contribuzione trattenuta al proprio collaboratore. Con tale disposizione il legislatore tentò di mettere riparo all’inconveniente più volte denunciato, riguardante l’applicabilità del principio di automaticità delle prestazioni, di cui all’articolo 2116 del codice civile, anche al caso dei collaboratori.
Tutti i tentativi di modificare la norma fallivano perché la Commissione Bilancio, su indicazione del Mef e a sua volta su richiesta dell’onnipotente Dipartimento della Ragioneria Generale, sosteneva che occorresse la copertura finanziaria. Una valutazione opinabile dal momento che le prestazioni assicurate a questi lavoratori sono finanziate attraverso il prelievo contributivo previsto e la gestione è in forte attivo di esercizio e patrimoniale.  A chi scrive è sempre sembrato assurdo sostenere che occorre una copertura finanziaria per contrastare una violazione degli obblighi contributivi. Una volta, alla Camera, si riuscì pure a trovare una soluzione di copertura nell’ambito di un progetto di legge (AC 2100 e abb.) che venne persino approvato dall’Aula, ma che ‘’morì’’ al Senato, dopo una lunghissima agonia, nonostante che il governo avesse accolto, nel luglio del 2012, alla Camera il seguente ordine del giorno che richiamava appunto il testo di progetto di legge approvato in precedenza.
 
“La Camera, premesso che:
l’articolo 2116 del codice civile rappresenta uno dei principali capisaldi  del diritto previdenziale in quanto stabilisce il principio della automaticità delle prestazioni, secondo il quale  le prestazioni di previdenza ed assistenza sono dovute ai lavoratori anche quando il datore di lavoro non abbia versato i contributi dovuti, e che, qualora a causa del mancato versamento dei contributi a suo carico, le prestazioni non siano erogate, in tutto o in parte, il predetto datore di lavoro è comunque responsabile dei danni per il lavoratore;
–  tale norma fondamentale non è ritenuta applicabile ai lavoratori parasubordinati ancorchè iscritti in via esclusiva alla Gestione l’INPS separata, in regime di monocommittenza e  quindi non titolari dell’obbligo di versare i contributi;
–         tale discutibile interpretazione lascia indifeso il lavoratore parasubordinato che si trovi nelle condizioni sopradescritte, dal momento che la legge attribuisce al committente la titolarità dell’obbligazione contributiva, anche per la quota a carico del lavoratore (a meno che non abbia la partita IVA);
–         per risolvere questo problema la Camera ha approvato un progetto di legge (AC 2100 e abb.) da tempo giacente al Senato;
Impegna il Governo
A valutare l’opportunità, compatibilmente con le disponibilità di finanza pubblica, ad emanare opportune disposizioni affinché, le parole <prestatore di lavoro> di cui al primo comma dell’articolo 2116 del codice civile si interpretino nel senso che esse si intendano riferite anche ai lavoratori iscritti alla Gestione separata presso l’Inps, istituita ai sensi dell’articolo e, comma 26, della legge 8 agosto 1995 n.335, purché siano chiamati a svolgere in via esclusiva  le attività per le quali sono iscritti alla Gestione stessa. Ciò allo scopo di riconoscere ai medesimi lavoratori la garanzie previste dal predetto articolo.
 
La sentenza del tribunale di Bergamo ha dunque capovolto un’interpretazione discutibile e iniqua, sulla base della seguente valutazione: il principio della automaticità delle prestazioni ha un valore di carattere generale, a fronte del quale non è da ritenersi ammissibile una deroga che non sia in forma esplicita. Inoltre, diversamente da quanto previsto per i lavoratori autonomi, nei rapporti di collaborazione ‘’il sistema di pagamento dei contributi è speculare a quello esistente nell’AGO per i lavoratori dipendenti’’. Inoltre, il collaboratore ‘’non ha alcun sistema per costringere il committente a versare i contributi dovuti in favore dell’Inps, come non lo ha il lavoratore dipendente”. Ne consegue che ‘’la mancata applicazione del principio dell’automaticità delle prestazioni potrebbe costituire una violazione dell’art. 3 della Costituzione, trattando situazioni  che allo stesso modo meritano tutela in modo irragionevolmente diverso”.
Queste ed altre considerazioni sono molto significative e risolvono un problema particolarmente importante per quanto riguarda l’effettiva tutela dei diritti previdenziali riconosciuti a questa categoria di lavoratori. Che altro dire? C’è un giudice anche a  Bergamo. Non solo a Berlino. Quanto a noi, a volta ad essere politically(in)correct  conviene.
 
Giuliano Cazzola
Membro del Comitato scientifico ADAPT
 
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