Bargaining for productivity: sintesi del caso-studio olandese*

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Tra il 1990 e il 2015 la produttività per ore lavorate nei Paesi Bassi è aumentata del 29,3% (in media dell’1,1% l’anno). In particolare, è nel decennio 1995-2005 che si concentrano circa i due terzi di tale aumento e in cui le performances olandesi superano in modo considerevole quelle dell’area Euro. Va detto che l’aumento della produttività è stato parzialmente artificiale, visto che il boom del mercato immobiliare e il forte aumento del prezzo delle case hanno avuto un notevole impatto su tali statistiche: proprio per questo nel 2008, quando anche i Paesi Bassi sono stati colpiti dalla crisi finanziaria, l’aumento di produttività è scomparso, per riaffiorare lentamente solo in tempi recenti.

 

Nell’analizzare il rapporto che sussiste tra contrattazione collettiva e produttività nei Paesi Bassi, secondo diversi studiosi vi sono alcuni fattori che incidono su questa dinamica maggiormente delle relazioni tra le parti, che pure si sono interessate alla materia. Infatti, è importante segnalare l’adozione del c.d. “Modello Polder” con l’Accordo Wassenaar del 1982 (per un’analisi più dettagliata di questo modello si veda The Economist e European Commission, ESPN Flash Report 2017/40), con cui le organizzazioni datoriali e i sindacati dei lavoratori si accordarono per rafforzare la competitività internazionale olandese attraverso la moderazione dei salari, la flessibilizzazione dell’orario di lavoro e l’utilizzo della contrattazione collettiva di settore “su misura”, e il rapporto “Towards a more productive economy” del 2005 (con cui le Parti sociali si sono impegnate a modernizzare le relazioni industriali). Nonostante questo, fattori come l’investimento in tecnologia e l’intensità di capitale sull’intensità di lavoro sono stati più determinanti per l’aumento della produttività.

 

Per quanto riguarda la contrattazione collettiva, il livello di settore è generalmente lo strumento attraverso cui vengono perseguiti, seppur con alcune difficoltà, gli obiettivi di aumento della produttività, in un contesto in cui la contrattazione collettiva è favorita anche dallo Stato attraverso l’estensione (prevista a livello legislativo) di quanto stabilito dagli accordi di settore a tutti i lavoratori, compresi coloro che non sono iscritti ad alcun sindacato. Inoltre, nei Paesi Bassi, la contrattazione collettiva di settore copra molte più tematiche rispetto a quanto avviene negli altri Paesi dell’Unione Europea: ad esempio il salario minimo, gli aumenti di stipendio, l’orario di lavoro e, in generale, importanti termini e condizioni di assunzione. Di conseguenza, sebbene non vi siano, ad oggi, accordi espressamente dedicati alla produttività, la contrattazione settoriale è senza dubbio in grado di incentivarla (in misura più o meno invasiva) attraverso la regolamentazione dei principali aspetti contrattuali, come l’investimento in competenze, innovazione sociale, occupazione sostenibile e “flessibilità regolata” – mentre, va segnalato, non vengono compresi nell’approccio per una maggiore produttività la promozione dell’inclusione e della diversità – e attraverso la partecipazione dei lavoratori, che però si dimostra sovente difficile da realizzare.

 

Peraltro, il confronto tra i contratti collettivi di quattro diversi settori (distribuzione, automobilistico, alberghiero e sanità) consente alcune importanti osservazioni. Innanzitutto, a livello generale, si riscontra una certa continuità nel rinnovo dei contratti collettivi, in particolare con riferimento alla regolazione del salario. Tuttavia, è altrettanto vero che non mancano situazioni caratterizzate da una certa instabilità: nel settore alberghiero, ad esempio, dal 2013 si registra la totale assenza di contrattazione, in quello della distribuzione il sindacato più importante (FNV) non aderisce agli accordi di settore da quattro anni e anche in quello sanitario vi sono stati periodi senza accordo collettivo a causa del disaccordo tra le parti sociali. Tale discontinuità può rappresentare un ostacolo per la produttività: non solo perché viene limitato il meccanismo che rende il lavoro produttivo, ma anche per gli effetti negativi che ciò può avere sulla contrattazione integrativa.

 

Ulteriore caratteristica del sistema olandese emersa attraverso tale analisi è la notevole differenza tra i settori sopra citati a livello di produttività, con il settore automobilistico che rappresenta un settore ad alto aumento della produttività e quello alberghiero che mostra una situazione opposta. Qualcuno ritiene che queste differenze possano essere ricondotte alle diverse scelte adottate dalle parti sociali: sono evidenti, ad esempio, le divergenze tra il settore alberghiero e quello automobilistico con riferimento all’adozione di contratti di lavoro flessibili o temporanei (che è maggiore nei settori a più bassa produttività), all’impiego dei giovani, al peso dato alla formazione, alla partecipazione e al coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni dell’azienda.

 

Infine, il fatto che le parti sociali perseguano principalmente interessi nel breve termine comporta che nei Paesi Bassi prevalga la c.d. “contrattazione distributiva”, ossia quel modello negoziale in cui ciascuna parte persegue un vantaggio unilaterale: nel caso specifico, infatti, sia le organizzazioni datoriali che i sindacati dei lavoratori hanno interesse a raggiungere accordi di settore che garantiscano, per le prime, riduzione dei costi, stabilità e tregua sindacale; per i secondi, aumenti del salario minimo, così da “distribuire la torta” tra lavoratori e datori di lavoro. Al contrario, “la contrattazione integrativa”, finalizzata a massimizzare il ritorno per entrambe le parti lavorando insieme per aumentare le dimensioni della “torta”, appare difficilmente praticabile nei quattro settori presi a riferimento: infatti, la raccomandazione del Labour Foundation nel 2005 di contrattare aumenti dei salari legati all’aumento della produttività non è stata seguita dalle parti sociali.

 

Si possono segnalare, peraltro, tre best cases che testimoniano come a seconda dell’approccio delle parti sociali e attraverso la contrattazione collettiva si possano perseguire strategie finalizzate ad un’alta produttività:

 

– nel settore automobilistico l’accordo settoriale combina stipendi relativamente alti (anche per i lavoratori più giovani), diritti dei lavoratori alla formazione, clausole relative all’orario di lavoro flessibile e l’utilizzo dei fondi finanziati dai datori di lavoro sia in politiche HR finalizzate all’occupazione sostenibile (ad esempio career coaching, job-to-job policies) sia nell’apprendistato;

– nel settore della sanità mentale l’accordo del 2015 prevede la creazione di un fondo di settore per l’apprendistato e per il finanziamento di programmi di occupazione sostenibile, un vero e proprio diritto dei lavoratori a piani di sviluppo individuali e piani di ricollocamento in caso di ristrutturazione aziendale o licenziamenti collettivi;

– nella distribuzione, dove manca un accordo di settore dal 2013, un grande magazzino è riuscito a superare tale stallo attraverso un accordo con i sindacati finalizzato ad aumentare la produttività. In particolare, sono stati incentivati i processi di codeterminazione e la partecipazione dei lavoratori nel rinnovo del contratto aziendale, è stato introdotto un compenso legato ai risultati e sono stati effettuati degli investimenti nel welfare.

 

In conclusione, se è vero che la produttività è inevitabilmente legata a moltissime variabili e a fattori esterni, vi sono alcune strategie che le parti sociali possono perseguire nella contrattazione in grado di influenzarne notevolmente l’andamento. Il caso Olandese dimostra come quei pochi accordi in cui le parti sociali non abbiano perseguito esclusivamente interessi unilaterali e immediati, ma abbiano optato per la contrattazione integrativa (attraverso investimenti di lungo periodo in percorsi di formazione e sviluppo dei lavoratori, nel welfare, nell’apprendistato e nell’occupazione giovanile) abbiano dato un riscontro nettamente maggiore in termini di produttività. Si può affermare, quindi, che la realizzazione di piani di alta produttività richiede rapporti di fiducia tra le organizzazioni datoriali e i sindacati, una visione di lungo termine e il superamento del problema dell’azione collettiva tra le singole aziende del settore.

 

Federico Fioni

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@FedericoFioni

 

Chiara Mancini

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@_ChiaraMancini

 

*Questo articolo sintetizza le principali evidenze emerse dal report Bargaining for Productivity. The Dutch case, a cura di Frank Tros and Paul de Beer.

 

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