Ammortizzatori Covid, scommettere sulla correttezza delle imprese e sul controllo del sindacato – Intervista a Gugliemo Loy

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Bollettino ADAPT 1 febbraio 2021, n. 4 

 

Guglielmo Loy, ex segretario confederale della Uil, dal novembre 2017 presiede il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps. Pochi giorni fa, in un’intervista al quotidiano Repubblica, ha denunciato l’esistenza di un “buco” di quasi 16 miliardi nel bilancio Inps generato dalla Cig Covid istituita per fare fronte agli effetti occupazionali dell’emergenza sanitaria. L’Inps ha risposto con un comunicato stampa nel quale afferma che non esiste allarme per la copertura delle prestazioni. Abbiamo approfondito la questione con Loy.

 

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Presidente, le dimensioni della spesa legata alla CIG Covid erano evidenti già a maggio. Mi corregga se sbaglio, ma in meno di sei mesi avevamo speso per la CIG quanto speso complessivamente nei dieci anni precedenti. Perché del bilancio Inps si è parlato così poco sinora?

 

Le ore di cassa ordinaria utilizzate nel 2020 sono state 10 volte sia rispetto a quelle del 2019 , sia del 2018. I fondi di solidarietà (Fis ed altri) prima del Covid, dal 2016 in poi, hanno “speso” 277 milioni di euro. Con il Covid oltre 10 miliardi. Nel bilancio assestato 2020 la spesa complessiva per ammortizzatori Covid si quantifica in 41 miliardi, ma di questi quasi 16 sono stati caricati su Inps quando sembrava invece che tutte le spese per prestazioni Covid fossero a carico della fiscalità generale. Nell’approvare come Civ, lo scorso 29 dicembre, il Bilancio di previsione 2021 dell’INPS abbiamo riportato un dato, chiaramente evidente nei documenti del Cda Inps, che quantifica in poco meno di 16 miliardi (15.697 ) quanto l’istituto abbia finanziato per prestazioni Covid (cigo e vari fondi solidarietà) regolate dai veri decreti da Marzo a fine 2020. In sostanza Inps ha anticipato e, quindi, è urgente che si trasformi questa anticipazione in fabbisogno di cassa strutturale.

 

Dopo le sue parole l’INPS ha ricordato che i conti dell’Inps sono garantiti dallo Stato. Anche se lo Stato cancellasse il debito di Inps nel caso di insufficienza dei fondi, ciò non ricadrebbe comunque sulle spalle dei contribuenti? 

 

Tema complesso. Se fosse automatico che i debiti di un ente possano essere ripianabili dallo Stato verrebbe meno la natura dell’istituto. Inps è un ente pubblico, non un ramo di un Ministero, con una sua autonomia normativa, di bilancio e storica. Un ente che si fonda sulla contribuzione previdenziale e mutualistica e sul principio della solidarietà. A nostro avviso le prestazioni Covid devono essere finanziate esclusivamente dalla fiscalità generale salvaguardando il sistema mutualistico ed assicurativo che caratterizza il sistema di protezione sociale per il lavoro. Il timore, non per oggi ma per un domani, è che a fronte di un bilancio non in equilibrio, come è sostanzialmente oggi, si possa intervenire o con aumento dei contributi, con ovvi effetti sulle imprese, o con una riduzione delle prestazioni, con ovvi effetti sui contribuenti/assicurati.

 

Ma c’è una vera alternativa alla spesa in politiche passive in questo momento?

 

Certamente i due pilastri politiche e passive sono connessi, in particolare in questa fase drammatica. C’è un tema di risorse, di norme, di cultura e di valorizzazione delle relazioni industriali e sindacali. Le quattro leve dovrebbero intrecciarsi, rapidamente e con efficacia, rivedendo radicalmente anche la questione della formazione. Ma, soprattutto, sarebbe necessario definire con maggior coraggio quale Paese costruire, quali segmenti ed asset  rafforzare evitando interventi a pioggia che possono pagare sul breve ma non creano le fondamenta sulle quali costruire la crescita. Le parti sociali hanno, ancor più in questo quadro, ruolo e strumenti per essere protagoniste.

 

L’INPS ha ricordato nel suo comunicato che per fare fronte all’afflusso di domande ha avviato a task force CIG e l’ampliamento delle risorse umane dedicate. Un capitolo fondamentale, indicato anche da lei, è però anche quello dei limiti informatici, resi evidenti da alcune vicende di particolare clamore mediatico. 

 

In premessa vorrei sottolineare la grande dedizione con cui il personale INPS ha affrontato l’ondata di richieste di prestazioni da aprile ad oggi, in condizioni complesse e con strumenti non sempre all’altezza. Le problematiche emerse, nel tempo attenuate, derivano anche da scelte del legislatore che in alcuni casi (la cassa integrazione) ha scelto di utilizzare strumenti “ordinari” in una fase “straordinaria” rinunciando ( o non potendo) a ricercare procedure più rapide ed originali. Milioni di domande in pochi giorni o settimane non potevano non avere un impatto sia sulle sedi, sia sul sistema informatico che su quello amministrativo. Ed inoltre dobbiamo dire che anche soggetti esterni all’INPS (professionisti, imprese) sono stati sottoposti ad uno stress quantitativo inimmaginabile che ha prodotto difficoltà.

 

Lei ha detto che bisognerebbe allentare i vincoli burocratici: deliberare in anticipo l’erogazione del 60/70% dell’importo e posticipare i controlli. Servirebbe una legge. Perché non si fa? Le ragioni sono culturali o tecniche?

 

Un norma, ma anche coraggio e condivisione. Certamente assumendo una parte del rischio ma anche scommettendo sulla correttezza della maggioranza delle imprese e sul controllo “sociale” del sindacato. Tempi più brevi avrebbero anche consentito di evitare un fenomeno negativo e cioè che molte imprese richiedessero un numero altissimo di ore di cassa per utilizzarne solo una parte. Ciò blocca risorse e rallenta le procedure. 2/3 mesi di media per pagare significa che vi sono realtà molto virtuose ed altre in difficoltà.

 

I casi dei cosiddetti “furbetti” del Reddito di cittadinanza sono tanti da poter mettere in discussione un modello con meno vincoli e controlli ex post? Oppure la posta in gioco è soprattutto di consenso e di esposizione mediatica?

 

Ad un certo punto è sembrato di assistere ad un derby tra furbetti, mettendo sullo stesso piano realtà diverse. Il tema dei controlli ex post a campione però credo sia serio e da affrontatare urgentemente, non solo in INPS.

 

E’ indubbio che in questo frangente la frammentazione dei sistemi di protezione sociale per i lavoratori abbia fatto sentire di più il tradizionale dualismo tra lavoro dipendenti coperti dalla CIG e tutte le forme di lavoro scoperte, in particolare i lavoratori autonomi. D’altro canto avrebbe senso pensare ad una sorta di ammortizzatore sociale unico in un contesto di continua specializzazione dei mercati del lavoro?

 

Tema interessantissimo, oggetto peraltro di iniziative del Governo, del Parlamento e delle parti sociali. Non so quanto sia praticabile in questo momento difficile ma è giusto affrontarlo sciogliendo però alcuni quesiti.
Resta, o no, un sistema fondato sulla co-responsabilizzazione? Un impianto fondato sulla mutualità, sulla solidarietà e sulla contribuzione di imprese e lavoro? Se si (come credo ed auspico) come si concilia l’universalità della prestazione con la quantificazione della contribuzione? Credo che sciolti questi nodi si potrà definire meglio la strada dell’allargamento, plasmato sulle differenti realtà del mercato del lavoro, degli strumenti di protezione sociale.

 

Francesco Nespoli

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Franznespoli

 

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