Tornare a Trentin. A proposito della nuova edizione di “La libertà viene prima”

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Bollettino ADAPT 21 giugno 2021, n. 24

 

Bruno Trentin, La libertà viene prima. La libertà come posta in gioco nel conflitto sociale, a cura di Sante Cruciani, con presentazione di Iginio Ariemma e postfazione di Giovanni Mari, Firenze University Press, 2021, 292 pagine.

 

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Quella curata da Sante Cruciani per Firenze University Press non è, “semplicemente”, una riedizione di La libertà viene prima. La libertà come posta in gioco nel conflitto sociale, opera di Bruno Trentin pubblicata nel 2004. Il testo originale è infatti arricchito da diversi materiali che permettono al lettore di approfondire la genesi dell’opera nel suo specifico contesto storico, culturale e politico, grazie ad importanti analisi dedicate al lavoro dell’ex segretario generale CGIL, ma anche di entrare in uno spaccato della sua vita, grazie all’inclusione in questa nuova edizione di alcune pagine tratte dai suoi diari personali.

 

Una pubblicazione di assoluta attualità, così come il pensiero del suo autore, Bruno Trentin, che offre anche al dibattito contemporaneo preziose considerazioni sul mondo del lavoro e le sue trasformazioni. A partire dal titolo dell’opera: cosa significa che “la libertà viene prima”? È questa la stessa domanda che si pone Iginio Ariemma nella presentazione del volume, e a cui risponde sottolineando la centralità di questo termine nell’opera di Trentin. Libertà non è, per l’ex sindacalista, un termine vuoto o un’ideale astratto: è la possibilità di autorealizzarsi come persona all’interno della nostra società. Una libertà, quindi, vicina a quell’idea di capabilities sviluppata da Amartya Sen, autore che infatti ritorna più volte, citato negli articoli e nei saggi di Trentin e negli appunti presi per la preparazione del testo all’interno del suo diario.

 

Una libertà che è pensata come intrinsecamente connessa all’esperienza lavorativa: Trentin critica aspramente i fautori della “fine del lavoro”, mostrando invece come il lavoro non stia sparendo, ma si stia trasformando. Il sindacato e la politica devono quindi evitare la tentazione di pensare l’uomo, e di conseguenza la lotta per i diritti, senza il lavoro: quest’ultimo è parte integrante della vita della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, e le sue più recenti trasformazioni permettono di riscoprire la connessione tra due termini spesso pensati come necessariamente contradditori. È possibile una libertà nel lavoro? Secondo Trentin la risposta è affermativa, ed è anzi la vera posta in gioco di ogni lotta sindacale e di ogni progetto politico. Il lavoro e la sua organizzazione pongono alla contemporaneità nuove sfide, così come è sempre stato a seguite di importanti rivoluzioni tecnologiche ed economiche. Oggi – nel 2004, anno di prima pubblicazione de La libertà viene prima, ma anche nel 2021 – assistiamo ad un lavoro che richiede al lavoratore responsabilità, autonomia, creatività, capacità di gestire la complessità e non meramente l’esecuzione di compiti ricevuti dall’alto. Questo fenomeno è osservato attentamente da Trentin che, mentre ne sottolinea i nuovi rischi – la precarizzazione “estrema” del rapporto di lavoro – ne coglie anche le opportunità: fare del lavoro un’esperienza di espressione e di realizzazione della persona, un’esperienza negata o quantomeno resa difficoltosa dall’organizzazione fordista del lavoro. Anche la stessa flessibilità, secondo Trentin, è inevitabile e necessaria per le imprese e il mercato, ed è qui che entra in gioco il sindacato: quest’ultimo deve adeguare i suoi strumenti e i suoi obiettivi, al fine di promuovere nuove forme di tutela per tutti i lavoratori.

 

La nuova, pericolosa, separazione che attraversa la società non è più, infatti, tra “classi”, ma tra chi possiede la conoscenza e chi no. Solo chi conosce può arrivare a quella libertà nel lavoro che è poi l’obiettivo di Trentin: il sindacato deve allora contrattare forme di formazione continua, personalizzate sui diversi fabbisogni, ma anche favorire strategie di informazione – quel “diritto allo sguardo” evocato nella Lectio Doctoralis Libertà e Conoscenza – e partecipazione in modo tale da offrire a tutti i lavoratori gli strumenti per una loro continua impiegabilità, a fronte delle molteplici ed inevitabili transizioni che caratterizzano l’esperienza lavorativa nel contesto della rivoluzione digitale, e una attiva partecipazione alla vita dell’impresa. Il superamento dell’idea marxista della lotta di classe è poi testimoniato dall’adozione consapevole di un termine come quello di persona, utilizzato per indicare un’entità, un’individualità indissociabile, un’unità non scindibile in diverse “fasi”: la persona è tale sia nel lavoro che al di fuori di esso, e si realizza in qualsiasi azione libera e consapevole che compie ed in ogni esperienza di libertà a cui partecipa. Il rapporto di lavoro diventa sempre di più un rapporto “personale” perché vi si implicano dimensioni irriducibili a quelle presenti nello scambio “classico” tra tempo e salario: questa apertura rende quindi possibile ripensare alla libertà nel lavoro come un’esperienza possibile, anche se non scontata o automatica, ma tutta da conquistare.

 

La libertà viene prima come condizione per la realizzazione della persona, nel lavoro e non solo. Una libertà che Trentin, come viene ben evidenziato dal saggio di Sante Cruciani presente in questa nuova edizione, ha imparato a riconoscere come “valore concreto” fin dalla nascita. Il padre Silvio Trentin, emigrato in Francia agli albori del periodo fascista e animatore della resistenza, così scriveva in una breve dedica al figlio Giorgio: «A mio figlio Giorgio Trentin per insegnargli che la vita non merita di essere vissuta se non ha nella sua fonte la libertà, se è impotente a realizzare la libertà». Un insegnamento non solo teorico, ma vissuto nella quotidianità, e che anche Bruno vivrà al ritorno in Italia, come partigiano, ma anche nelle sue successive esperienze, nel sindacato e nella politica. Il saggio di Cruciani restituisce una preziosa ricostruzione del percorso personale e lavorativo di Trentin, scandendone le tappe principali, ma soprattutto sottolineandone l’attenzione per la dimensione comunitaria e ricordando le relazioni consolidate nel tempo con intellettuali e politici di altri Paesi: tra questi, ad esempio, Alain Supiot, un cui breve contributo dedicato al pensiero di Trentin è incluso in questa nuova edizione.

 

Trentin lavora con forza per costruire una nuova sinistra, un nuovo sindacato, una nuova Europa, criticando aspramente ogni forma di “trasformismo storico”: l’idea cioè, come spiega Giovanni Mari nella postfazione conclusiva, di un continuo venire a patti e compromessi combattendo battaglie sociali e politiche riguardanti temi ormai del secolo scorso. Tra i principali obiettivi – critici – di Trentin c’è ad esempio la proposta delle 35 ore settimanali, mutuata dall’esempio francese: prima dell’uguaglianza – formale – viene la libertà – sostanziale: quest’ultima mal si concilia con misure universalistiche che non tengono conto delle diverse esigenze personali e dei diversi contesti. Lo stesso vale per la riforma delle pensioni e più in generale per il welfare state, al centro delle riflessioni di Trentin: non si deve arretrare sui diritti – ad esempio accettando l’aumento dell’età pensionabile – ma promuovere la libertà delle persone – e cioè permettendo di ritardare, su base volontaria e con specifici incentivi, il ritiro dalla vita lavorativa. Non solo: la grande colpa del sindacato e della sinistra è stata credere nella “profezia” della fine del lavoro, costruendo quindi un progetto di società che non poggiasse su di esso e un’idea di persona – un’antropologia – che lo mette in secondo piano. E quindi si è combattuto per la libertà e per i diritti al di fuori del lavoro: per Trentin bisogna completamente ribaltare questa impostazione, e tornare a combattere non per compensazioni sociali al di fuori dei luoghi di lavoro, ma dentro di essi, contrattando l’organizzazione del lavoro, i tempi, gli strumenti, la partecipazione, la formazione continua.

 

Bisogna avere il coraggio – e l’ambizione – di cambiare il lavoro da dentro, dalla sua concreta esperienza frammentata e molteplice. E da qui, allargare l’azione anche alla società, senza pensare questi due elementi come distinti e separati: questa l’idea di socialismo di Trentin, ricordata da Mari: «Secondo Trentin questo spazio è la costruzione della persona nel lavoro attraverso la conquista di nuovi spazi di libertà, che presuppongono conoscenza e partecipazione o codeterminazione delle condizioni di lavoro. Cioè un tipo di azione che inizia nella “società concreta” – quella dello sfruttamento e delle disuguaglianze – e che “di volta in volta”, per “elementi”, conduce auspicabilmente a forme riformate e non prestabilite di società, in cui i caratteri della società “concreta” saranno trasformati sulla base della libertà della persona conquistata e sviluppata. Questo è, essenzialmente, il “socialismo”». Mari aiuta quindi a comprendere il senso del “socialismo” per Trentin, con un approfondimento che ancora una volta torna al tema del lavoro: non può esistere una libertà che viene conquistato dopo un tempo sospeso, come nella riflessione marxista riguardante la dittatura del proletariato precedente l’instaurazione della società comunista – la libertà, ancora una volta, viene prima, dev’essere conquistata passo dopo passo, concretamente, in prima battuta nei luoghi di lavoro e nello spazio sociale. È un “utopia concreta” che ricorda – azzardando l’accostamento – il pensiero della speranza in Bloch, fatto di segni, piccoli passi, di un hic et nunc da liberare, una concreta quotidianità – anche del lavoro – da riscoprire. Non una fase dello sviluppo storico raggiungibile dopo aver messo la libertà, per un tempo più o meno lungo, tra parentesi.

 

Le voci di questi autori aiutano quindi a dare ulteriore profondità al pensiero di Trentin: Cruciani, Ariemma, Mari e Supiot allargano l’orizzonte dei temi richiamati ne La libertà viene prima, ricostruendo dibattiti, sviluppando ragionamenti e fornendo ulteriori spunti di riflessione utili a comprendere il “laboratorio intellettuale di Bruno Trentin”, che è anche titolo di una delle sezioni di questa nuova edizione. Particolarmente preziosi sono anche i passaggi dei diari contenuti in questa parte dell’opera, tratte dalle pagine scritte tra il 2001 e il 2006, quindi coeve alla progettazione e stesura de La libertà viene prima. Pagine di grande umanità attraversate da una forte disillusione e scoramento davanti al fallimento del progetto di costituzione europea, ai ritardi della sinistra italiana ed europea davanti all’incedere dei populismi, all’assenza di una vera riflessione pubblica davanti ai temi di centrale urgenza (lavoro, diritti, welfare), ma anche davanti alla propria malattia e alla vecchiaia. Trentin, comunque, non si arrende mai definitivamente, e continua a lavorare e studiare – e arrampicare – “con la furia di un ragazzo”, la stessa che Franco Giraldi ha scelto come titolo per il suo documentario a lui dedicato. Tra lo sconforto, la disperazione e la speranza si chiudono i Diari, con poche righe davanti alle quali ogni commento sarebbe superfluo: «Durerà negli anni, temo, questa involuzione modernista e trasformista, malgrado la dissonanza di outsiders come Prodi, anche lui però prigioniero della cultura politica circostante. Ma un giorno lascerà il posto ad una vera trasformazione soggettiva delle forze oppresse della società civile. La morte non mi fa paura. Sono molto più vecchio di mio padre al quale devo tutto. Mi fa rabbia questa palude di politicanti senza anima e il sentimento di essere menomato nelle mie possibilità di fare, di agire, di arrampicare e spesso di avere ancora voglia di fare o anche solo resistere»

 

Questa nuova edizione de La Libertà viene prima è quindi prima di tutto un’opportunità per scoprire o riscoprire un autore di estrema attualità, le cui proposte – tanto radicali quanto concrete – possono ancora dare molto a chi si interroga, oggi, sul presente e il futuro del lavoro e, più in generale, della nostra società. Le voci che affiancano Trentin in quest’opera ci permettono poi di comprenderne meglio le coordinate teoriche e i riferimenti politici e personali, così come il suo giudizio su quanto accadeva davanti ai suoi occhi, dalla guerra in Iraq fino all’ultimo convegno dei DS. Danno quindi ulteriore nitidezza ad un pensiero della libertà, del lavoro e della persona capace di una profondità oggi estremamente rara.

 

Matteo Colombo

ADAPT Senior Research Fellow

@colombo_mat

 

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