Top Employers Institute: un modello ibrido tra editoria e certificazione

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Bollettino ADAPT 8 marzo 2021, n. 9

 

La qualità e lo sviluppo delle migliori strategie HR nelle aziende per il benessere dei lavoratori, il buon funzionamento dell’organizzazione e l’attrazione di nuovi talenti è al centro della missione di Top Employers Institute.  L’ente certificatore, nato ormai trent’anni fa, ha valutato per il 2021 più di 1.600 organizzazioni in 120 Paesi, contando in Italia ben 112 aziende che hanno guadagnato il marchio Top Employer (vedi qui). Molte di queste, tra cui troviamo Bnl gruppo Bnp Paribas, Bper Banca, Cassa Depositi e Prestiti, Ducati Motor Holding, Edison, Electrolux, Esselunga, Ferrari, Finecobank, Generali Italia, Hera, Gruppo Credem, gruppo Iren, Ima, Italgas, Lavazza, Open Fiber, Poste Italiane, Rai Way, Unicredit e Vodafone Italia, oltre ad essere riconosciute come delle eccellenze a livello nazionale, sono state indicate come virtuose anche a livello europeo e globale.

 

La storia di Top Employers Institue è caratterizzata un percorso di crescita e trasformazione dell’organizzazione composto da due fasi principali. Come si evince dalla sezione About us del sito, Top Employers ha iniziato la propria missione nel 1991 con un’attività prettamente editoriale di analisi, racconto e raccolta delle pratiche HR virtuose che rendevano le aziende più competitive e attrattive per i talenti. Solo in un secondo momento, dal 2005 in poi, è subentrata l’attività per cui oggi il gruppo è principalmente conosciuto, ossia il Marchio di Certificazione Top Employer. Seppur queste due fasi storiche del gruppo possano apparire in discontinuità o come un semplice passaggio da un modello di business all’altro, è tuttavia interessante notare come invece emerga una prospettiva di continuità sinergica.

Nel corso degli anni, infatti, il modello editoriale si è arricchito con quello di certificazione e di analisi delle aziende, che difficilmente sarebbe stato possibile attuare senza l’esperienza e la conoscenza maturata con lo studio e la ricerca approfonditi sui temi. È quindi un “modello ibrido”, editoriale e di certificazione, che sembra contraddistinguere il metodo di lavoro adottato dall’istituto e che fa della complementarità tra questi elementi la propria ricchezza.

 

Navigando sul sito ufficiale, è possibile imbattersi nel catalogo che raccoglie le diverse organizzazioni, rintracciabili attraverso un motore di ricerca e dei filtri che permettono di selezionare il paese, il continente ed il settore di riferimento. Per ogni azienda è inoltre possibile accedere ad un profilo interno in cui è presente una breve descrizione e il rimando a contatti ufficiali. Di grande interesse è la sezione Insights, in cui sono presenti contenuti informativi (report, blog, podcast) che affrontano temi dell’ambito HR e propongono un’analisi delle buone pratiche dei Top Employers. Di recente pubblicazione sono i report HR Best Practices Italy 2020 e HR Trends Report 2021 che bene rendono l’idea del metodo di analisi di Top Employers Institute e dei temi trattati.

 

Il primo raccoglie alcune buone pratiche HR nell’ambito di undici macro aree: Digital HR, Talent Acquisition, On-boarding, Performance, Learning, Leadership, Career, Well-being, Engagement, Sustainability, Diversity & Inclusion. Questi temi, esposti attraverso l’identificazione di best practices e case study, vengono considerati dei driver fondamentali su cui fondare l’organizzazione e la gestione delle risorse umane. Come emerge dalla lettura del report, nell’implementazione di queste buone pratiche, giocano un ruolo sempre più importante la tecnologia e il digitale. Questi elementi vengono adoperati in ogni ambito lavorativo e aziendale, dalla selezione delle risorse e dei talenti alle pratiche di integrazione e di ingresso in azienda, così come dalla formazione del personale alle pratiche di coinvolgimento dei dipendenti nei processi di decisione e di valutazione delle performance.

 

Per fare alcuni esempi, il gruppo Hera ha iniziato ad utilizzare la realtà aumentata come uno strumento di apprendimento per le attività di formazione, come mezzo di supporto alle attività degli esperti e anche per i neoassunti nei processi di on-boarding, permettendogli di esplorare più rapidamente i diversi comparti dell’azienda. La digitalizzazione si è rivelata particolarmente utile nei processi di recruitment, che necessariamente hanno dovuto adattarsi alle nuove condizioni imposte dall’emergenza sanitaria. Findomestic Banca fin dal 2019 ha iniziato un processo di snellimento del proprio percorso di selezione che ha visto una forte accelerazione nei primi mesi del 2020. Il gruppo ha infatti creato un’unica piattaforma on-demand attraverso la quale i canditati possono prendere parte al percorso di selezione, che si divide in tre semplici step: test attitudinale, survey conoscitiva e colloquio individuale. Il progetto, denominato Remote Recruiting Process, ha permesso di risparmiare notevolmente su tempi e costi, nonché di investire sull’immagine digitale dell’azienda, in un’ottica di employer branding per i giovani, e di semplificare notevolmente l’esperienza del candidato, garantendogli, inoltre, un approccio personalizzato.

 

Il gruppo MSD Italia e MSD Animal Health ha costruito, grazie al machine learning, un tool di Candidate Relationship Marketing (CRM) in grado di supportare la ricerca dei talenti e il miglioramento dell’immagine aziendale per attrarli e reclutarli. Alcune tra le piattaforme utilizzate sono state Phenom People, un tool di database di talenti globale, LinkedIn Recruiter, per la ricerca e la raccolta degli annunci, e Applied, un sistema di analisi delle job description che permette di utilizzare il linguaggio più adeguato alla posizione e al target di riferimento.

 

Oltre all’utilizzo di tecnologie e digital tool per abbattere i costi e i tempi nelle pratiche di recruitment, alcune aziende hanno investito anche sulla costruzione di Academy con la partecipazione di istituti formativi. È il caso di Siemens, che ha fondato in collaborazione con diverse università la “Siemens Accademia Digitale” al fine di creare dei canali di accesso privilegiato per i giovani e per rinnovare la propria immagine aziendale. Inoltre, strumenti digitali e tecnologici come le App, in molti casi, vengono utilizzati sia come strumenti di comunicazione e valutazione delle performance sia come strumenti di coinvolgimento dei lavoratori. I gruppi Coca-Cola HBC Italia e Zurich hanno sviluppato delle applicazioni finalizzate all’apprendimento e al confronto tramite feedback che permettono ai propri dipendenti e ai propri manager di condividere continuamente indicazioni e valutazioni circa gli obiettivi e i risultati raggiunti. Nel caso di Zurich, il sistema di performance management prevede annualmente la definizione degli obiettivi, la valutazione esplicita da parte del manager rispetto al lavoro svolto e l’utilizzo della App come strumento di raccordo e di aggiornamento continuo. Inoltre, fa parte del sistema anche un indicatore di retribuzione variabile rispetto ai risultati raggiunti, fungendo quindi da incentivo per instaurare una buona collaborazione.

 

Per quanto riguarda l’engagement dei lavoratori, Toyota Motor Italia ha sviluppato una applicazione per rispondere alla necessità di monitorare continuamente il grado di motivazione dei propri dipendenti e per “annullare” la distanza tra manager e collaboratori, stimolando la collaborazione per la ricerca di soluzioni innovative. Da ultimo è interessante vedere come strumenti digitali e tecnologici siano stati messi in campo per implementare la formazione e la mobilità in azienda. Nel primo caso è degno di nota quanto fatto dal Gruppo Credem con la formazione 4.0 basata sui principi di long life learning, auto attivazione dei percorsi di formazione e responsabilizzazione. Questo modello formativo, fortemente incentrato sulla responsabilità delle persone, è accompagnato anche da un processo di profilazione e personalizzazione dei percorsi formativi grazie alla definizione del profilo digitale degli utenti attraverso l’utilizzo del machine learning nella valutazione delle risposte. Invece, per l’implementazione dei processi di mobilità all’interno dell’azienda il gruppo BNL ha sviluppato una App chiamata MyMobility che permette verificare costantemente le vacancies interne e i requisiti richiesti, così da attivare più rapidamente processi mobilità e di adeguamento formativo.

 

Per quanto riguarda il report HR Trends Report 2021, l’attenzione è incentrata sul ruolo che la figura HR dovrà saper assumere a seguito di quanto è accaduto con la pandemia e con l’emergere di nuovi bisogni e nuove attenzioni da parte dei lavoratori. In generale, appare evidente come il ruolo dell’HR manager non possa più ricoprire una posizione meramente funzionale e burocratica, ma debba invece essere in grado di gestire la complessità dell’organizzazione e l’irruzione di eventi esogeni e endogeni sempre pronti a scuotere lo status quo. In particolare, viene fatto riferimento all’importanza di adoperare un’organizzazione del lavoro che sia flessibile, incentrata sugli obiettivi e che preveda continui momenti di confronto e allineamento tra i lavoratori e i manager. La leadership di quest’ultimi sarà sempre più misurata in base alla loro capacità di gestire e comunicare efficacemente e in maniera trasparente con i lavoratori (soprattutto da remoto da remoto), mostrandosi disponibili ad ascoltare i loro bisogni e suggerimenti. Nel nuovo scenario lavorativo la “war for talent” sarà sempre più accesa. Pertanto, le organizzazioni dovranno investire molto sulla loro capacità di attrarre e far crescere giovani talenti. Come si evince dal report, è necessario investire sulla propria immagine social e sulle competenze digitali, costruire forti relazioni con il territorio e gli istituti formativi attivando percorsi di apprendistato, costruire e organizzare ambienti di lavoro coinvolgenti e stimolanti e formare continuamente i manager per migliorare le loro competenze di selezione. Ancora una volta, infine, l’attenzione alla persona, al suo lavoro, ai suoi risultati e alle sue necessità dovrà essere sostenuta da un continuo processo di confronto (non controllo) per favorire la crescita professionale e personale all’interno dell’azienda.

 

Quanto esposto in questi report rivela l’ampio raggio di temi che Top Employers Institute valuta all’interno delle organizzazioni. A tale riguardo, il processo di certificazione delle aziende si compone di quattro step: partecipazione, valutazione, certificazione, feedback. Per quanto concerne il primo passo, l’azienda può candidarsi per essere valutata rispetto al soddisfacimento di determinati requisiti di accesso. Per partecipare al Programma di Certificazione, infatti, l’organizzazione deve avere almeno 250 dipendenti a livello locale o almeno 2500 a livello globale, oltre ad una politica HR avanzata e formalizzata. Una volta accolta la candidatura, l’azienda compila il HR Best Practice Survey che analizza le pratiche HR di 6 macro aree che coprono i temi chiave delle risorse umane: Steer (Business strategy, People strategy, Leadership); Shape (Organisation & Change, Digital HR, Work environment); Attract (Employer branding, Talent acquisition, on-boarding); Develop (Performance, Career, Learning); Engage (Well-being, Engagement, Rewards and recognition, Off-boarding); Unite (Value, Ethics, Integrity, Diversity & inclusion, Sustainability). Il passo successivo è la valutazione delle risposte date al questionario attraverso la validazione dei documenti forniti, la revisione dei risultati, un audit esterno del processo di certificazione e l’assegnazione di un punteggio oggettivo in base ai risultati ottenuti.  A quel punto, se l’azienda risulta essere una Top Employer riceve il marchio di certificazione che attesta il suo status relativamente livello a cui viene svolta l’analisi (nazionale, continentale, globale). L’azienda, infatti, può decidere per quale livello di certificazione candidarsi a seconda di come è strutturata la sua organizzazione. Infine, è previsto un ampio confronto (feedback) sia come analisi complessiva del livello delle pratiche HR adottate sia sulle informazioni di benchmark attraverso le quali l’azienda può mettersi a confronto con il punteggio ottenuto dalle altre aziende certificate.

 

In conclusione, il modello adottato da Top Employers Institute risulta molto interessante per la capacità maturata negli anni di unire l’attività editoriale e di ricerca con quella di certificazione e valutazione delle pratiche HR nelle aziende, con particolare attenzione alla capacità di attrarre giovani talenti. Rimane, tuttavia, da esplorare se e come questo modello può essere applicato ad organizzazioni ben più piccole di quelle indicate nei requisiti di accesso per ambire al marchio di certificazione (almeno 250 dipendenti a livello locale). Infatti, non sempre nella realtà delle PMI è possibile riscontrare una precisa formalizzazione delle pratiche HR, altro requisito richiesto insieme ad un livello avanzato di queste stesse pratiche. Tuttavia, non è da escludere a priori che pur una gestione “informale” delle risorse umane e dell’organizzazione del lavoro, tipica delle realtà più piccole, possa comunque riservare dei punti di pregio degni di nota e di indagine.

 

Tommaso Galeotto

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@TommasoGaleotto

 

Top Employers Institute: un modello ibrido tra editoria e certificazione